Alcuni aggiornamenti relativi alla crisi ucraina, introducendo la condivisione di due articoli significativi

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La pace non è l’assenza di guerra, ma il contrario di ignoranza (il cervello che non funziona e la ragione spenta) e di indifferenza (il cuore di pietra e l’anima spenta).

  • La guerra in Ucraina, un Afghanistan nel cuore d’Europa? Opinioni. Biden oggi in Europa. La narrativa che la Russia si è impantanata crea illusioni pericolose. E il fronte euro atlantico, reduce da epocali disastri, scopre che metà del mondo sta con Putin di Alberto Negri – Ilmanifesto.it, 24 marzo 2022
  • Milizie nazi, armi e stragi di civili: i veli sulla guerra. La cortina fumogena. Kiev, esercito allo sbando: mani libere ai paramilitari. Rifornirli aumenta ancora i rischi per la popolazione di Fabio Mini – Ilfattoquotidiano.it, 23 marzo 2022

Alberto Negri scrive che il pericolo «è che il sostegno occidentale all’Ucraina – alimentato dalla barbarie di Putin, dal successo ucraino e dall’ottimismo occidentale – si combini con la crescente debolezza del regime, creando le condizioni per un errore di calcolo nato dalla disperazione. E più la crisi dura e più grande è questo pericolo. Poi ci siamo noi Italiani: con un governo che aumenta verticalmente le spese per la difesa ma non accantona risorse sufficienti – abbiamo otto settimane di riserve, dice il credibile Sottosegretario Gabrielli – per acquistare materie prime energetiche. Allora spegneremo la luce e insieme, forse, anche il lume della ragione».

Chiunque ha voglia disintossicarsi dei media con l’elmetto e comprendere bene che cosa realmente stia rischiando l’Italia con la decisione di inviare armi in Ucraina, divenendo di fatto co-belligerante nel conflitto, non vi può essere lettura migliore che questo lungo e approfondito articolo del Generale di corpo d’armata Fabio Mini (Manfredonia, 11 dicembre 1942).
Tra i vari incarichi è stato portavoce del capo di Stato maggiore dell’Esercito italiano e, dal 1993 al 1996, ha svolto la funzione di addetto militare a Pechino. Ha inoltre diretto l’Istituto superiore di stato maggiore interforze (ISSMI). È stato Capo di Stato maggiore del Comando NATO per il Sud Europa e a partire dal gennaio 2001 ha guidato il Comando Interforze delle Operazioni nei Balcani. Dall’ottobre 2002 all’ottobre 2003 è stato comandante delle operazioni nello scenario di guerra in Kosovo nell’ambito della missione KFOR (Kosovo Force) a guida NATO. Commentatore di questioni geopolitiche e di strategia militare, scrive per Limes, la Repubblica, l’Espresso e il Fatto Quotidiano dal 2015. È membro del Comitato Scientifico della rivista Geopolitica e autore di diversi libri.

Comunicazione del Ministero della Difesa russo
Le forze armate ucraine in pratica non esistono più. Le navi militari sono state abbandonate dai marinai ucraini che hanno disertato. L’aviazione si trova nelle stesse condizioni. L’esercito si è disciolto o unito alle forze armate russe. Il grosso dei mercenari stranieri è stato eliminato da bombardamenti mirati. L’Ucraina Orientale si trova saldamente sotto il controllo della Russia e le zone intorno a Kherson e Kiev sono state bloccate per ridurre al minimo le perdite dei civili. Restano pochi miliziani nazisti nascosti in qualche città, ma sono a corto di armi e munizioni.

Polemica a distanza tra il Presidente turco Erdogan e il Ministro degli Esteri ucraino Kuleba
Il Presidente turco Erdogan ha detto che Kiev e Mosca potrebbero accordarsi sui seguenti punti:

  • L’Ucraina non aderirà alla NATO.
  • La lingua russa otterrà uno status di seconda lingua ufficiale del Paese
  • L’Ucraina accetterà di demilitarizzarsi.
  • L’Ucraina otterrà precise garanzie di sicurezza.

Il Ministro degli esteri ucraini Kuleba ha replicato che:

  • L’unica lingua di Stato in Ucraina sarà l’ucraino.
  • L’Ucraina non farà alcuna concessione sui territori (Donetsk, Luhansk e Crimea sono Ucraina).
  • L’Ucraina non abbandonerà mai l’idea di aderire alla NATO perché lo chiede la Russia.

La Turchia e la “sua” NATO
«Erdogan nella NATO fa quel che vuole e tutti zitti. Confermato l’acquisto delle batterie russe anti-missile S-400, confermata la ripresa dei voli da Mosca delle compagnie russe, confermata la linea “no-sanzioni” a Putin, che incontrerà a giorni. E naturalmente gas russo a volontà. Questa è la “sua” NATO bellezza, e tu non ci puoi fare niente Magari ha pure successo» (Alberto Negri).

Biden a Brussel. Paolo Liguori: “È venuto a vendere il gas e il petrolio americano, non ad aiutare l’Ucraina”
“Biden a Brussel è venuto a vendere il gas e il petrolio americano al posto di quello russo”. Così Paolo Liguori, il Direttore di Tgcom24 a “Stasera Italia”, commenta la visita del Presidente degli Stati Uniti d’America Joe Biden al Consiglio Europeo a Brussel avvenuta al termine del summit della NATO e della riunione dei leader del G7 [foto di copertina, per chi si domandava cosa stava a fare lì]. Secondo il giornalista “Biden non è vento in Europa ad aiutare l’Ucraina, ma a raccogliere quello che è stato seminato con la guerra: cioè – ribadisce – la vendita del petrolio e del gas americano al posto di quello russo”. “Non volete capire che le guerre – considera Liguori – si sono sempre fatte per questo: un tempo era per il petrolio, adesso è per il gas”.
E sull’aumento delle spese militari da parte di alcuni Stati, compresa l’Italia, il Direttore di Tgcom24 cita direttamente il Papa che ritiene questa misura una pazzia e per la quale ha espresso vergogna. “Sono scandalizzato perché per questo il Papa è stato censurato da tutti i grandi giornali. Una cosa del genere – ricorda Liguori – è successa in passato un’altra volta: quando Benedetto XV, durante la Prima Guerra Mondiale, si era rifiutato di assumere una posizione belligerante e lo avevano silenziato. Questo è successo in Italia dove i grandi giornali hanno silenziato il Papa a cui perfino gli Ucraini e i Russi hanno attribuito una possibilità di trattativa”, conclude.

Ma quale gas americano!
Gli USA vogliono venderci il gas. Ma quale gas? Ne hanno a malapena per loro. E poi non ci sono abbastanza navi gasiere, né rigassificatori in Europa. E a prezzi stellari non sarebbe comunque utile.
Comunque: «Il gas americano ce lo siamo comprato, direi che Biden può dare a Zelensky l’ordine di arrendersi, la guerra non ha più ragion d’essere. O magari dobbiamo prendere altro? Perline colorate? Collanine? Specchietti?» (Alberto Scotti).

Il consiglio di Biden a Zelensky
E infatti, il Presidente Joe Biden nella Conferenza Stampa a Brussel, venduto il suo gas fa eco a Erdogan: “Ukraine must decide for itself whether it needs to make any territorial concessions in negotiations with the Russian Federation”.
“Biden ha detto ieri che spetta all’Ucraina fare delle concessioni territoriali alla Russia. Questo è esattamente ciò che non vogliono né la NATO né l’UE. Il blocco Euro-Atlantico vuole preservare l’integrità territoriale dell’Ucraina perché un giorno spera di riconquistarla per utilizzarla come una base per lanciare attacchi e provocazioni nei confronti della Russia. Dicendo che non ha obiezioni ad acquisizioni di territorio ucraino da parte della Russia, Biden si colloca di fatto nella direzione opposta voluta dall’euro-atlantismo. Biden continua quindi a seguire le linee di politica estera di Trump che ha allontanato gli Stati Uniti dalla sfera della NATO e dell’UE” (Cesare Sacchetti).

La zappa sui piedi delle sanzioni alla Russia
«Il dramma dell’agricoltura italiana: mancano i mangimi, il bestiame va al macello. Altro che il gas: qui si tratta del pranzo e della cena. Le vacche da latte stanno andando al macello perché ormai mancano i mangimi zootecnici. Ma anche noi dobbiamo mangiare: e possibilmente due volte al giorno. Se ne parla poco, ma cominciano a venire al pettine le grane più grosse legate alla guerra in Ucraina e alla quasi completa rottura dei rapporti commerciali con la Russia. Tutti e due sono grandi esportatori di grano e prodotti alimentari anche verso l’Italia. Ma non si tratto “solo” di penuria di mangimi zootecnici, rincaro dell’energia, rincaro del gasolio agricolo. Innanzitutto, i fertilizzanti chimici senza i quali non cresce praticamente niente: l’Italia dipende largamente dalle esportazioni provenienti dalla Russia e anche dalla Cina, con la quale il barometro dell’Occidente segna sempre più tempesta. E poi, secondo aspetto da affrontare: la radicale ristrutturazione della produzione agricola. Ora importiamo derrate alimentari base, tipo il grano, ed esportiamo prodotti di pregio e in qualche modo voluttuari tipo il vino. Solo che col grano si mangia e si campa: col vino no. L’Italia ha bisogno di 130 chili di fertilizzanti per ettaro di terreno: un po’ meno della media UE, pari a circa 155 chili per ettaro. Esistono tre tipi di fertilizzanti chimici, tutti fondamentali. Sono a base, rispettivamente, di fosforo, azoto e potassio. Ammesso di riuscire a risolvere la grana dei fertilizzanti, resta quella della riconversione della produzione agricola. L’Italia, con appena 60 milioni di abitanti, è il quinto importatore mondiale di grano. Ne produce, certo: ma non a sufficienza. Al netto dell’esportazione della pasta, le importazioni annue riguardano circa 6 milioni di tonnellate. Non a caso le vacche da latte ora vengono mandate al macello. E non solo il latte e la carne: anche i polli, dunque le uova, e perfino i prosciutti e i salami dipendono dai mangimi zootecnici. Le esportazioni? Innanzitutto la già citata pasta, nel quadro però di una pesante importazione netta di grano. A seguire, vino e bevande non alcoliche. Solo quello, per ora, abbiamo in casa» (Fonte Visone Tv).

L’India da il due di picche all’ex impero britannico
L’India ha chiesto alla delegazione del parlamento britannico di non disturbarsi più a venire. Volevano insegnare all’India che relazioni avere con la Russia. Nel frattempo, il Ministro degli esteri cinese Wang Yi sarà in India oggi. La frattura crescente tra l’Occidente e il resto del mondo si intensifica.

Non sarebbe il caso di iniziare a farsi qualche domanda? Ecco, invece di sbraitare su “Putinversteher”, putiniani, pro-Putin, ecc, poniamoci qualche domanda e proviamo a vedere un po’ come stanne le cose nel mondo reale.

Milizie nazi, armi e stragi di civili: i veli sulla guerra
La cortina fumogena
Kiev, esercito allo sbando: mani libere ai paramilitari. Rifornirli aumenta ancora i rischi per la popolazione
di Fabio Mini
Ilfattoquotidiano.it, 23 marzo 2022


Sembravano teorie del complotto o fantasie dei “filo putiniani”, le valutazioni che fin da prima dell’attacco confutavano la narrazione fornita dall’Ucraina, ma orchestrata e preparata dall’esterno. Alle voci dubbiose di alcuni storici ed esperti occidentali, compresi quelli americani, subito tacciati di filoputinismo, si sono aggiunte in questi giorni voci inaspettate, oltre alla nostra: il Bollettino n.27 di Jacques Baud, il Colonnello dell’intelligence svizzera, ora analista internazionale di professione con un attivo di decine di libri e rapporti su questioni militari diventati dei “must read” in Europa e nel mondo e il Financial Times del 20 marzo con le molte altre voci di esperti europei raccolte da Sam Jones da Zurigo e John Paul Rathbone da Londra.

Genesi e operazioni

A parte la provocazione della NATO nei confronti della Russia iniziata nel 1997 con l’espansione a est, secondo Baud la questione russo-ucraina non è sorta a causa del separatismo o indipendentismo del Donbass. Il conflitto nasce invece da fenomeni interni all’Ucraina e l’Occidente, non la Russia, ha fatto in modo che esso si ampliasse e degenerasse. Dal 2014, con i fatti di Maidan e i massacri in Donbass e Odessa, si dimostra la debolezza delle forze armate ucraine, succube di regimi che non si fidano di esse, che deliberatamente le abbandonano e si rivolgono alla componente paramilitare per l’ordine interno. L’esercito ucraino, teoricamente forte di quasi trecentomila uomini, era in uno stato disastroso. «Ad ottobre del 2018 il capo procuratore militare ucraino Anatoly Matios riferì che l’Ucraina aveva perso 2.700 uomini nel Donbass: 891 per malattia, 318 per incidenti stradali, 177 per altri incidenti, 175 per avvelenamento (alcol, droghe), 172 per incauto maneggio delle armi, 101 per violazione delle norme di sicurezza, 228 per omicidio e 615 per suicidio». In compenso, dal 2014 in Donbass operavano le milizie mercenarie ed estremiste che dopo aver trasformato piazza Maidan in una trappola per migliaia di cittadini incluse le forze regolari di polizia si spostarono ad est per massacrare i presunti “separatisti”. Il Ministero della difesa ucraino si rivolse alla NATO per rendere le sue forze armate più “presentabili”. Compito ingrato e lungo. Così, per compensare la mancanza di soldati, il governo ucraino e la NATO hanno rafforzato le milizie paramilitari. Ma non è solo questo e il Donbass è un pretesto. Nel 2014 è anche avvenuto l’intervento russo in Crimea. In pochi giorni e senza sparare un colpo la Russia annette la penisola e mette in sicurezza la base navale di Sebastopoli. Nessuno interviene e il segnale per gli Ucraini è che gli Americani, la NATO e l’Europa non sono disposti a sacrificare un solo uomo per l’Ucraina. Tantomeno per il Donbass, ma se si trattasse di colpire direttamente la Russia, allora sì, si potrebbe sacrificare l’intera Europa. Tutti ricordiamo il fuck Europe della Victoria Nuland. La Crimea viene sottoposta ad assedio, alla Russia vengono comminate sanzioni e alla popolazione russa della Crimea viene tagliata l’acqua. Dal 2018 in poi le forze armate ucraine ricevono più di un miliardo di dollari in armamenti e “consulenti” e dislocano le forze migliori a sud, dove già operano le bande paramilitari e private sostenute e finanziate dall’oligarca ucraino Kolomiosky, signore e padrone di Dnipro, centro della produzione di armamenti di tutta la ex URSS. “Sono composte principalmente da mercenari stranieri, spesso militanti di estrema destra. Nel 2020, costituiscono il 40% delle forze ucraine e contano circa 102.000 uomini, secondo Reuters. Sono armati, finanziati e addestrati anche da Stati Uniti, Gran Bretagna, Canada e Francia. Ci sono più di 19 nazionalità – compresa quella svizzera” – osserva amaramente Baud. «La qualifica di “nazista” o “neonazista” data ai paramilitari ucraini è considerata propaganda russa. Forse, ma questa non è l’opinione del Times of Israel, del Simon Wiesenthal Center o del Centro per il Controterrorismo di West Point». Tuttavia, la reale natura potrebbe anche essere peggiore: «Nel 2014 la rivista Newsweek sembrava associarli di più all’Isis». Per queste forze, la nostra stampa ha inventato la categoria dei “nazisti patrioti e perbene” che, proclamata da membri della comunità ebraica, non suona affatto bene.

Dopo otto anni di guerra civile in Ucraina ai danni della popolazione russofona, «il 16 febbraio 2022 la Russia riconosce ufficialmente le repubbliche del Donbass (senza annetterle) e sigla accordi bilaterali di assistenza e sicurezza». L’artiglieria ucraina continua i bombardamenti sulla popolazione e il 23 febbraio le due repubbliche chiedono l’assistenza militare russa. «Il 24 febbraio, Vladimir Putin ha invocato l’articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite, che prevede l’assistenza militare reciproca nel quadro di un’alleanza difensiva». Ovvero: l’obbligo internazionale della “responsabilità di proteggere” (R2P). La Russia sa però che, a prescindere dagli aspetti legali, l’intervento limitato in Donbas o un’azione più vasta scatenerebbero le stesse ritorsioni e sanzioni minacciate e già da tempo applicate dall’Occidente. «Questo è ciò che Putin aveva già spiegato nel suo discorso del 21 febbraio» e perciò decide di invadere l’Ucraina per definirne lo status (neutralità) e mettere in sicurezza la fascia di territorio russofono. Tradotte in termini operativi, le direttive di Putin di “demilitarizzazione e denazificazione”, comportano la distruzione a terra delle forze aeree ucraine, dei sistemi di difesa aerea e dei mezzi di ricognizione; la neutralizzazione delle strutture di comando e di intelligence (C3I), l’interdizione delle principali vie logistiche nella profondità del territorio; l’accerchiamento del grosso dell’esercito ucraino ammassato nel sud-est del paese; la distruzione o neutralizzazione dei battaglioni di “volontari” che operano nelle città di Odessa, Kharkiv e Mariupol, così come in varie strutture del territorio.

I risultati del primo mese

Secondo Jacque Baud, «l’offensiva russa è stata condotta in modo molto “classico” con la distruzione delle forze aeree a terra nelle primissime ore. Poi, abbiamo assistito ad una progressione simultanea su diversi assi secondo il principio dell’”acqua che scorre”. Le forze russe sono avanzate ovunque la resistenza fosse debole lasciando le città (molto voraci di truppe) per dopo. Nel nord, la centrale di Chernobyl è stata occupata immediatamente per evitare atti di sabotaggio. Le immagini dei soldati ucraini e russi che sorvegliano insieme l’impianto non sono state ovviamente mostrate…». È strumentale anche l’idea che la Russia abbia cercato di impadronirsi di Kiev, la capitale, per eliminare Zelensky. «È un’idea che viene tipicamente dall’Occidente: è quello che esso ha fatto in Afghanistan, Iraq, Libia e quello che voleva fare in Siria con l’aiuto dello Stato Islamico. Ma Vladimir Putin non ha mai voluto abbattere o rovesciare Zelensky. Anzi, la Russia sta cercando di mantenerlo al potere spingendolo a negoziare circondando Kiev». Da un punto di vista operativo, «l’offensiva russa è stata un esempio nel suo genere: in sei giorni, i russi hanno acquisito un territorio grande come il Regno Unito, con una velocità di avanzata superiore a quella che la Wehrmacht aveva raggiunto nel 1940». Inoltre, «il grosso dell’esercito ucraino è stato schierato nel sud del paese in preparazione di una grande operazione contro il Donbass. Ecco perché le forze russe sono state in grado di circondarle dall’inizio di marzo nel “calderone” tra Slavyansk, Kramatorsk e Severodonetsk, con una spinta da nord-est attraverso Kharkiv e un’altra da sud dalla Crimea. Le truppe delle repubbliche di Donetsk (DPR) e Lugansk (LPR) completano le forze russe con una spinta da est». «Il ‘rallentamento’ che i nostri “esperti” attribuiscono alla cattiva logistica è solo la conseguenza di aver raggiunto i loro obiettivi. La Russia non sembra volersi impegnare in un’occupazione dell’intero territorio ucraino. In effetti, sembra che la Russia stia cercando di limitare la sua avanzata al confine linguistico del paese». I nostri media divulgano un’immagine romantica della resistenza popolare. È questa immagine che ha portato l’Unione Europea a finanziare la distribuzione di armi alla popolazione civile. «Questo è un atto criminale. In qualità di capo della dottrina del mantenimento della pace all’ONU, ho lavorato sulla questione della protezione dei civili. Abbiamo scoperto che la violenza contro i civili ha avuto luogo in contesti molto specifici. In particolare, quando c’è abbondanza di armi e nessuna struttura di comando». In città come Kharkiv, Mariupol e Odessa, la difesa è effettuata da milizie paramilitari. Non hanno né struttura né scrupoli e «sanno che l’obiettivo della “denazificazione” è rivolto principalmente a loro». Con la questione del bombardamento del reparto ostetricia dell’ospedale di Mariupol «sembra che gli Ucraini abbiano riprodotto l’episodio della maternità di Kuwait City del 1990, che fu totalmente inscenato da Hill & Knowlton per 10,7 milioni di dollari per convincere il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite a intervenire in Iraq per l’operazione Desert Shield/Storm». In sostanza, quello che fanno gli Ucraini e i Russi oggi, l’hanno imparato da noi. Invece di esserne fieri ce ne dovremmo vergognare.

Accanto alla solita enfasi sulla strabiliante resistenza ucraina, anche il Financial Times apre spiragli di narrazione diversa. «Il risultato è ancora lontano dalla certezza…». Mentre hanno diffusamente parlato dei successi ucraini «i capi militari di Stati Uniti e Regno Unito sono stati in gran parte in silenzio sui problemi militari di Kyiv». In particolare, Kyiv dice di aver perso 1.300 soldati mentre le stime statunitensi parlano di 7.000, «ma i funzionari e gli analisti occidentali hanno detto che le perdite ucraine sono probabilmente molto più alte». Inoltre, «il dominio dell’informazione ucraina ha mascherato le sue perdite». Sono girate migliaia d’immagini di carri russi distrutti e nessuna delle perdite subite. «Questo ha portato a un pregiudizio naturale nel contenuto online che viene esaminato da molti analisti». Il Cremlino ha tuttavia ripetutamente insistito che le sue operazioni stanno andando secondo i piani. «Non ho visto prove che il suo intento generale sia cambiato», ha detto un funzionario della difesa occidentale. «Nel sud, la Russia ha avuto qualche successo. Pesanti perdite ucraine sono state sostenute quando le forze russe hanno superato le posizioni che difendono il ponte di terra dalla Crimea…». Almeno una brigata di marines ucraini – la 36ª brigata di fanteria navale – è intrappolata nella difesa della città assediata di Mariupol». Ci sono anche segni di superamento dei problemi logistici a nord est dove i rifornimenti passano attraverso le strade della Bielorussia piuttosto che con i treni. «Ciò è avvenuto grazie all’aumento dell’uso di droni nell’ultima settimana – secondo un funzionario militare occidentale – ne volano a dozzine sopra l’Ucraina e vengono utilizzati per colpire obiettivi e fornire capacità di intelligence, sorveglianza e ricognizione ai gruppi di battaglia russi». Inoltre, i Russi non sono ancora passati alla difensiva «che è la prima cosa che farebbero se fossero veramente preoccupati per i rifornimenti», ha detto Kusti Salm, Segretario permanente al Ministero della difesa estone. «Forse la più grande vulnerabilità tattica dell’Ucraina è la sua Joint Forces Operation (JFO), dove la maggior parte delle risorse militari dell’Ucraina sono schierate ad ovest di Donetsk e Luhansk. La Russia sta cercando di accerchiare le truppe ucraine, tagliandole fuori da Kyiv e attirandole in un aperto combattimento ad armi combinate che gioca a favore della superiorità dei suoi gruppi di battaglia. Schiacciare le forze ucraine in questo modo sarebbe una vittoria tanto quanto catturare Kyiv». «Pochi credono che la lotta in Ucraina finirà presto. Anche nelle migliori ipotesi, questa sarà una guerra con molte pause operative», ha detto Kaushal del Rusi (autorevole think tank inglese). «Una guerra fatta di scatti e partenze che probabilmente si trascinerà per molto tempo». Considerato il volume di affari che la guerra alimenta, non è soltanto una profezia, ma un auspicio di molti.

La guerra in Ucraina, un Afghanistan nel cuore d’Europa?
Opinioni. Biden oggi in Europa. La narrativa che la Russia si è impantanata crea illusioni pericolose. E il fronte euro atlantico, reduce da epocali disastri, scopre che metà del mondo sta con Putin
di Alberto Negri
Ilmanifesto.it, 24 marzo 2022


Avremo un Afghanistan nel cuore dell’Europa? Tre vertici a Bruxelles in un giorno (Consiglio europeo – Nato – G7) in cui Joe Biden oggi ci dice se intende – Putin permettendo – finire la guerra o affrontare la Russia in un conflitto di logoramento per procura che dura da un mese esatto.

La narrativa di una Russia che non può vincere o comunque restare impantanata è già pronta. Il Presidente americano arriva accompagnato dal parere del Pentagono secondo cui Putin ha perso più del 10% della sua forza militare, si dice che l’offensiva è in stallo, la logistica delle truppe russe in crisi e gli Ucraini sarebbero passati in alcune aeree alla controffensiva.

E come informa sul New York Times del 22 marzo l’ex generale americano che pianificò i raid di Desert Storm in Iraq, gli Ucraini hanno ancora una forza aerea segreta che combatte contro i jet Sukhoi russi.

Inutile girarci intorno: Biden è il capo del fronte euro-atlantico in una guerra dove gli Ucraini sono la fanteria, come lo erano i Curdi nella lotta al Califfato. Nonostante gli USA non vogliano assolutamente una no-fly-zone per evitare una terza guerra mondiale, sono gli Americani con gli Inglesi che hanno riempito di armi l’Ucraina e gli Stati Uniti rappresentano il maggiore fornitore di aiuti militari e civili a Kiev, quasi 14 miliardi di dollari. Questi sono un recipiente finanziario e militare per continuare il conflitto. Al quale l’Italia di Draghi, nel giorno dell’accoglienza di Zelenski in Parlamento, si è accodata immediatamente.

Eppure toccherebbe a Biden trovare una via di uscita per Putin e fermare il massacro degli Ucraini. Ma avrebbe dovuto cercarla prima, quando gli Americani per due mesi si sono detti sicuri di un’invasione russa dell’Ucraina e non hanno fatto nulla di concreto.

Andrei Grachev – portavoce di Gorbaciov quando annunciò la dissoluzione dell’URSS – in una recente intervista ha affermato che “bisogna accompagnare i due Paesi impegnati nel conflitto verso un’uscita d’emergenza, tornando alla formula discussa degli accordi di Minsk (2015), alla neutralità e fare dell’Ucraina uno stato federale, per garantire i diritti di una minoranza di lingua russa, che corrisponde a quasi un terzo della popolazione. Questo tipo di soluzioni potrebbero calmare il gioco, offrire a Putin la possibilità di giustificare l’alt all’offensiva.

È interessante che la stessa posizione, con sfumature diverse, sia espressa dal giornale americano The Atlantic. Che sottolinea la tentazione illusoria dei leader occidentali. I funzionari occidentali stanno rafforzando la loro retorica e il loro sostegno all’Ucraina per solidarietà morale e geopolitica, ma anche per il successo iniziale dell’Ucraina nel resistere all’attacco russo. Più a lungo l’Ucraina resisterà, più l’Occidente potrebbe convincersi di poter ottenere qualcosa di più grande dello status quo, e cioè che Putin e il suo regime non sopravvivano alla crisi che hanno generato.

È la debolezza stessa della Russia a creare una serie di pericoli. Si stanno facendo strada ipotesi sul collasso della Russia, convincendosi per esempio che l’esercito di Mosca non sia all’altezza, che le sue difficoltà in Ucraina rivelino un sistema pervaso dalla corruzione, che Putin sia una tigre di carta, o che il regime di Mosca cadrà presto.

Ma dobbiamo ricordare che l’autoritarismo cinese è sopravvissuto alle proteste di piazza Tienanmen, la teocrazia iraniana è sopravvissuta per decenni alle sanzioni USA e, più recentemente, Bashar Assad è sopravvissuto alla guerra civile siriana e ora è stato riaccolto nel consesso arabo con la visita di venerdì scorso negli Emirati.

Ma forse è questo che fa più paura al fronte euro-atlantico, reduce da disastri epocali in Afghanistan, Iraq, Libia: scoprire che metà del mondo sta con Putin o simpatizza per lui. È il fronte “zero sanzioni” a Mosca. Dalla Cina, all’India, al Pakistan, alle monarchie del Golfo, senza contare le esitazioni di Turchia e Israele. Tutti stati che vogliono tenere aperti i canali con Mosca. Come dimostra lo storico vertice dell’altro giorno a Sharm el Sheikh tra il Premier israeliano Bennett, il Principe degli Emirati Mohammed bin Zayed e il dittatore egiziano Al Sisi.

C’è il pericolo che la narrativa di impantanare la Russia in Ucraina alimenti pericolose illusioni. È possibile che il regime di Putin sia davvero indebolito. Ma questa debolezza della Russia può creare una serie di pericoli. In primo luogo, l’Occidente potrebbe diventare troppo sicuro di sé nel testare i limiti di Mosca. La prospettiva di una sconfitta in Ucraina, poi, aumenta la possibilità che Putin intensifichi il conflitto.

L’escalation può cominciare da subito. Putin potrebbe decidere che, semplicemente, non può perdere. Questo aumenterebbe la probabilità che usi armi di distruzione di massa per cambiare la realtà sul campo. La natura del suo regime fa sì che a essere in gioco non sia solo il suo potere ma perfino la sua vita. In questa situazione non si dovrebbe dare per scontato si fermerà prima di aver raso al suolo Kiev: ha già dimostrato di essere disposto a farlo, prima a Grozny, in Cecenia, e poi ad Aleppo, quando la potenza aerea russa ha sostenuto Assad.

Il pericolo, quindi, è che il sostegno occidentale all’Ucraina – alimentato dalla barbarie di Putin, dal successo ucraino e dall’ottimismo occidentale – si combini con la crescente debolezza del regime, creando le condizioni per un errore di calcolo nato dalla disperazione. E più la crisi dura e più grande è questo pericolo.

Poi ci siamo noi Italiani: con un governo che aumenta verticalmente le spese per la difesa ma non accantona risorse sufficienti – abbiamo otto settimane di riserve, dice il credibile Sottosegretario Gabrielli – per acquistare materie prime energetiche. Allora spegneremo la luce e insieme, forse, anche il lume della ragione.

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