Un esempio di informazione libera. Una videointervista dal Donbass in cui viene detto quello che non piace ai gestori del pensiero unico a far sentire

Ho costatato come da tempo il mondo virtuale – rispecchiando il mondo reale – diventa sempre di più luogo di maleducazione. È segno di mancanza di educazione intimarmi come, su che cosa e quando dovrei scrivere (non scrivo sotto dettato e non copio delle veline); di negarmi di decidere sulle regole per i commenti ai post sul mio diario Facebook, che è casa mia (finché mi sarà permesso) e a casa mia decido io – non sono un’attivista e quindi da comunicatore – quali argomenti trattare, quando e in che modo. Certamente, non mi faccio intimidire dai modi liberticidi e autoritari da chi vuole comandarmi a casa mia. Se qualcuno per questo mi vorrà togliere la parola e l’amicizia, ne ha facoltà. Nessuno è obbligato a leggermi o a commentare quello che comunico. Ma chi lo fa è pregato di accendere prima il cervello e armarsi non di bombe virtuali ma di buon senso. Questo è uno spazio pacifico, dove viene ripudiato la guerra (ogni guerra, sia virtuale che reale) #restiamoliberi.

C’è chi vuole impedirmi a far vedere la parte fondamentale di una realtà ucraina, che esiste dal 2014, totalmente ignorata con la volontà di censurare, da chi oggi fa il guerrafondaio, da chi sparge odio contro chi non la pensa come lui, da chi vuole portarci alla Terza Guerra Mondiale. Con la motivazione dell’invasione della Russia in Ucraina, ma che non ha mai mosso un dito quando l’Ucraina bombardava il Donbass. Non obiettivi militari, ma città e villaggi, donne, bambini e anziani. Inoltre, questo filmato aiuta anche a capire cosa sta succedendo in città come Mariupol, roccaforte dei neo-nazisti ucraini che si nascondono dietro gli scudi umani.

Vi consiglio di accendere il cervello e il cuore, e di vedere tutto questo video (come altri) di Giorgi Bianchi Photojournalist, inviato nel Donbass per Visione TV: «I volontari stranieri che sono andati a combattere per difendere la popolazioni russofone del Donbass sono stati definiti, nella migliore delle ipotesi, “terroristi”, mentre i mercenari che si stanno recando in questi giorni in Ucraina vengono celebrati dai media come eroi. I civili morti in otto anni di assedio del Donbass non hanno quasi mai fatto notizia, mentre oggi tutti gli occhi sono puntati verso il dramma del popolo ucraino. Spartaco e Liza conoscono tutta la storia e ci raccontano la loro versione dei fatti».

Chi vuole, dopo aver sentito tutto, può anche spegnere il cervello e il cuore, per restare nella sua zona di conforto, e chiamarlo “propaganda russa”. E togliermi parola e amicizia, perdendoci. Perché leggerà solo fonti di cui condivide la parziarietà. Me ne farò una ragione e continuerò a guardarmi nello specchio.
Postscriptum
Cosa dite, dopo aver visto il video, è ora di porsi qualche domanda? Nella realtà di quanto viviamo, non nel mondo virtuale e dell’ideologia unilaterale.
Corollario
Perché nessuno in Donbass parla di vendetta?
«C’è un grande assente nelle chiacchiere e nelle interviste in Donbass. Non da oggi, da sempre.
È il desiderio di vendetta.
Qui nessuno ha mai avuto nulla contro l’esercito regolare, né tantomeno contro la popolazione civile.
Nonostante la guerra, nonostante i bombardamenti.
Odiano i nazionalisti, questo è certo, ma contro quella che potremmo definire la società civile, non c’è mai stato alcun sentimento di astio.
E oggi soffrono. Nessuno gode nel vedere l’Ucraina distrutta e la popolazione morire o piombare nella disperazione. Qui lo sanno benissimo cosa significhi vedere la propria vita distrutta. E lo percepiscono come lo si farebbe per un fratello.
L’anima di questo popolo è lacerata.
Non ha mai voluto essere diversa da quello che è, e non ha mai desiderato andare altrove.
Voleva e vuole semplicemente continuare a vivere come ha fatto per decenni. Con i loro fratelli ucraini. Continuare a cenare alla stessa tavola, andare allo stadio assieme, festeggiare le feste negli stessi luoghi di culto, lavorare gomito a gomito.
Per questo non serpeggia alcun desiderio di vendetta tra questa gente.
Loro sognano di poter un giorno tornare ad essere lo stesso popolo.
Se si capisce questo, si capisce tutto» (Giorgio Bianchi Photojournalist).
Sugli scudi umani
«Eppure al giorno d’oggi, non esiste persona che non sia munita di smartphone e che quindi non sia in grado di fare foto e video da far arrivare in qualche modo a media e influencer.
Quando incontro le persone in fuga da Mariupol, la prima domanda che gli pongo è come mai non siano fuggiti per tempo dalla catastrofe e si siano tutti ridotti all’ultimo momento. La risposta, praticamente unanime, è che nessuno ha organizzato la loro evacuazione, anzi, che in generale venivano scoraggiati ad andare via in quanto gli veniva detto che non esistevano corridoi umanitari (i cosiddetti corridoi verdi) e che le strade erano minate.
A quel punto gli chiedo se non abbiano la sensazione di essere stati utilizzati come scudi umani. La risposta è quasi sempre “Сто процентов”, al cento percento.
In pratica la tenuta dell’esercito ucraino si sta basando esclusivamente sulla difficoltà dei russi di avanzare, senza con questo commettere stragi tra la popolazione civile, altro che Resistenza.
In pratica si tratta della riproposizione in salsa ucraina della strategia adottata dai jihadisti in Siria.
Le analogie tra i nazionalisti e i jihadisti siriani si fanno sempre più preoccupanti. Del resto però, in cabina di regia, c’è sempre la NATO.
Ora come allora vengono aperti corridoi umanitari, ma nessuno li utilizza: per paura, per disorganizzazione, quando non si tratta di vero e proprio boicottaggio e ostruzionismo da parte delle autorità locali.
La domanda che vorrei porre ai politici venditori d’armi e ai fanatici sostenitori acritici della fantomatica Resistenza Ucraina è la seguente: come giudichereste un governo che impedisse ai propri cittadini di mettersi al sicuro dalla guerra e che li utilizzasse come scudi umani?
Secondo voi può essere considerato un comportamento morale, legittimo?
OK, la Russia è il male perché ha invaso l’Ucraina; ma come la mettiamo con un esercito e con delle milizie nazionaliste che si appostato nei centri abitati e che nascondono i loro mezzi tra gli edifici abitati dai civili?
I Russi non si fermeranno, è chiaro. Hanno fatto all-in e il loro futuro è tutto lì, sul tavolo da gioco.
Gli Ucraini, finché saranno armati e spalleggiati dalla Nato, resisteranno, anche perché Zelensky e il suo governo, in questa fase, non controllano praticamente nulla; l’iniziativa oramai è interamente in mano ai comandanti locali.
In una situazione del genere, i civili sono condannati a morire a migliaia.
E la colpa è di tutti, nessuno escluso: dei Russi che avanzano, dei soldati e dei miliziani che li utilizzano come scudi umani e della Nato, che fa finta di spalleggiare l’Ucraina, ma che invece desidera soltanto il protrarsi di una guerra dall’epilogo già segnato. Per alimentare la propaganda che giustifica le sanzioni e indebolire così la Russia e schiacciare l’Europa per annetterla definitivamente.
Dei civili ucraini, in sostanza, non frega un cazzo a nessuno. Sono soltanto un mezzo per raggiungere scopi diversi» (Giorgio Bianchi Photojournalist).
“Putinisti d’Italia”. Persino Travaglio dà una lezione a Letta
di Claudio Romiti
Nicolaporro.it, 25 marzo 2022
Oramai accade di tutto in questo disgraziato Paese, persino di assistere ad una più che condivisibile lezione di tolleranza impartita in diretta televisiva da Marco Travaglio. È successo martedì scorso su La7, durante Otto e Mezzo sul tema caldo della guerra in Ucraina. La conduttrice, chiede al direttore de il Fatto Quotidiano il suo parere sulla seguente dichiarazione di Enrico Letta: “Il filoputinismo in Italia è impressionante.” Immediata e molto tagliente la risposta di Travaglio il quale, dopo aver definito una sciocchezza l’asserzione del segretario dem, ha segnalato che in Italia “c’è una specie di caccia alle streghe da parte delle Sturmtruppen che non consentono nemmeno un ragionamento, nemmeno un pensiero diverso. C’è una specie di caccia all’uomo che criminalizza chi cerca le cause della guerra, scambiando ciò con il dar ragione a Putin”.
Ci risiamo, dunque. Dopo l’allucinante ricerca con ogni mezzo di un surreale unanimismo sulle misure di contrasto al coronavirus, bollando come eretico chiunque sostenesse un pensiero appena diverso da quello proposto dal dogma ufficiale, oggi assistiamo ad una analoga demonizzazione di coloro i quali esprimono giudizi non perfettamente allineati con la versione del conflitto veicolata dal mainstream mediatico. Non abbiamo fatto in tempo a mandare in soffitta il soffocante conformismo sul coronavirus e sulle ricette per contrastarlo, che già ce ne ritroviamo un altro, che si preannuncia altrettanto soffocante, sulla guerra in atto in Europa orientale.
Ciò, per quel che mi riguarda, non significa considerare legittima la linea guerrafondaia decisa dal Cremlino. Così come non si può fare a meno di evidenziare che nella minoranza di filoputiniani si raccoglie un coacervo di persone anti-eshtablishment e anti-sistema, che pur appartenendo a culture politiche assai lontane tra loro, vedono nell’America, nella Comunità europea e nella NATO i veri nemici. Ma ci sono anche persone che, pur condannando senza se e senza ma l’attacco russo ad uno Stato sovrano, avanzano critiche ragionate alla linea fin qui seguita dall’Occidente.
Ora, senza chiamare in causa il grande Voltaire, che non da oggi continua sicuramente a rivoltarsi nella tomba, forse sarebbe il caso si smetterla con una tale, forsennata ricerca di unanimismo su una questione tanto complessa. Una tendenza nefasta che non ha proprio nulla a che spartire con quella tanto decantata libertà di cui i nostri massimi esponenti politici e istituzionali si riempiono costantemente la bocca. In tal senso il conformismo, la ricerca dell’unanimismo a tutti i costi non fa assolutamente rima con la libertà di pensiero di espressione. Meditate gente, meditate.

Stamane l’Ambasciatore russo in Italia, Sergey Razov, ha presentato una querela contro La Stampa, il quotidiano degli Elkann, per il suo articolo nel quale si ventila espressamente la possibilità di uccidere Vladimir Putin
«Sergey Razov, Ambasciatore russo in Italia, interviene al Tribunale di Roma: “Parlare dell’ipotesi di uccidere il Presidente Vladimir Putin è fuori ogni etica e morale del giornalismo. Per questo sono qui per presentare querela per istigazione a delinquere e apologia di reato”» (Francesca De Martino).
Le parole di oggi dell’Ambasciatore russo Razov: Razov: preoccupati che armi italiane siano usate contro i Russi. Questo per chi non avesse capito ancora verso quale tipo di abisso ci sta portando la peggior classe politica della storia repubblicana
L’Ambasciatore riguardo l’informazione ha lanciato un invito a “seguire entrambi i messaggi e non solo quelli della parte ucraina. Ogni giorno leggo la stampa italiana e vedo ogni giorno alcune foto la provenienza della quale è molto dubbiosa”.
“La cosa che ci preoccupa è che gli armamenti italiani saranno usati per uccidere cittadini russi.” Lo ha dichiarato, come riporta l’Agenzia AGI, l’Ambasciatore della Federazione Russa in Italia, Sergey Razov, arrivato a piazzale Clodio per depositare un esposto per istigazione a delinquere e apologia di reato per alcuni articoli pubblicati sui quotidiani italiani. “Voglio ricordare che la decisione è stata presa quando è iniziata la prima tappa delle trattative: i fucili vengono distribuiti non solo tra i militari, ma anche tra i cittadini e non si capisce come e quando saranno usati”, ha aggiunto.
“Lavoro in Italia da otto anni e ho lavorato con Renzi, Conte, Letta e adesso Draghi. Abbiamo fatto di tutto per costruire ponti, rafforzare i rapporti in economica, cultura e altri campi. Con rammarico adesso tutto è stato rivoltato”, ha lamentato.
Razov riguardo l’opzione di armi nucleari ha precisato che “non c’è “nessuna minaccia nucleare da parte di Mosca, ma riflessioni di scenari in caso di minacce per la sicurezza della Federazione Russa”.
Riguardo la missione russa in Italia durante la prima ondata della pandemia da Covid-19, il rappresentante di Mosca ha ricordato che “con la missione del marzo del 2020 al popolo italiano è stata tesa una mano di aiuto, ma se qualcuno morde quella mano non è onorevole. La missione è andata solo nei posti indicati dall’Italia, precisamente a Nembro, centro della pandemia in quel momento, facevano solo quello che veniva detto dai colleghi italiani e la missione russa è terminata quando l’Italia ha proposto di concluderla. Le autorità italiane hanno espresso gratitudine per quanto fatto” (L’AntiDiplomatico, 25 marzo 2022).
Cecità
di Andrea Zhok
Sfera, 25 marzo 2022
La vera sfida in questa fase storica, se sei un occidentale moderatamente vigile, e a maggior ragione se sei italiano, è non soccombere alla depressione. Già, perché chi riesce ancora a unire i puntini e a intuire almeno la forma generale di quello che ci sta succedendo, vede che siamo di fronte a qualcosa che ha la portata della caduta dell’impero romano. Il decentramento dell’impero americano ha ed avrà conseguenze non minori di quell’illustre precedente sulle sue province.
Il dato di partenza è che il mondo non è già più unipolare, come è stato dagli anni ’90, e non è neppure bipolare, come è stato dopo il 1945, ma sta divenendo sempre più chiaramente multipolare.
In questo contesto l’Occidente europeo vive una doppia tragedia, geopolitica e culturale.
Sul piano geopolitico si sta capendo sempre più chiaramente come l’Europa in tutte le sue versioni non si sia mai davvero allontanata dalla cuccia predispostale nel secondo dopoguerra dagli USA.
Gli europeisti, o almeno una parte di essi, si erano illusi che l’Europa (CEE, CE, UE) fosse nata come contraltare e polo alternativo agli USA, ma il perfetto allineamento degli “alleati” degli USA prima nella vicenda pandemica ed ora nel conflitto russo-ucraino ha mostrato a chi ne avesse ancora bisogno che l’Europa è e rimane sostanzialmente una colonia americana, tenuta a catena corta dal padrone.
Il fatto che in questo momento tutta l’Europa stia scavando la propria tomba economica opponendo pochissima o nulla resistenza alle spintarelle americane dice tutto quello serve per capire.
Tralasciando l’Italia, che scondinzola attorno all’amministrazione USA in modo molesto e imbarazzante persino per il padrone, anche paesi un po’ più accorti del nostro circa i propri interessi (Germania e Francia) stanno tutt’al più mugugnando, senza riuscire davvero a prendere una posizione differente. Si dirà: perché accade? Parte della risposta sta semplicemente nel fatto che il nostro asservimento strutturale agli USA passa attraverso la dipendenza totale sul piano militare (dal ’45 siamo e restiamo pieni di basi militari americane) e sul piano delle telecomunicazioni (la “rete” è sì “mondiale”, ma in effetti è sotto diretto o indiretto controllo americano – salvo per quei paesi che hanno adottato verso di essa per tempo e sistematicamente modalità di filtraggio e sorveglianza su base sovrana.)
Ma c’è anche una seconda parte della risposta, che è assai più triste, e con ciò veniamo alla tragedia culturale.
L’Europa è soprattutto una colonia culturale americana.
Il mondo in cui ci muoviamo è integralmente formato da modelli, format e contenuti di importazione: passeggiamo virtualmente per le strade di San Francisco e tra gli attici di Manhattan, viviamo come nostri i problemi di razzismo di un’eredità schiavista e facciamo seriosi interventi legislativi per porre rimedio ai problemi dell’Alabama.
Persino l’apprezzamento che abbiamo per le nostre città o per i nostri territori passano attraverso la patinatura della filmografia americana e ci emozioniamo nel vedere con gli occhi di Hollywood il glamour di Parigi o le vie di Roma.
Gli USA si sono dimostrati essere sì una potenza militare, ma soprattutto un’immensa potenza propagandistica, una macchina monopolistica micidiale di creazione dell’immaginario. Ed è perciò che noi europei non siamo più in grado nemmeno di immaginare forme di vita diverse da quelle fittizie proiettate dall’advertising americano. I cinesi, russi, arabi, ecc. che la nostra immaginazione evoca sono proiezioni passate attraverso gli studios californiani.
Ora, finché gli USA erano il padrone unipolare del mondo, questa nostra collocazione di province culturali dell’impero americano poteva non risaltare, ed essere relativamente innocua. Ci consentiva di proseguire nel sogno europeo anteguerra di essere i “civilizzatori del mondo” che si facevano carico del “fardello dell’uomo bianco” (white man’s burden), anche se ora il comando centrale era passato dalla rissosa Europa al di là dell’Atlantico. Abbiamo continuato a percepirci come il centro culturale del mondo, e lo abbiamo fatto in modo vicario, parassitario, grazie alle portaerei americane e alla filmografia americana. Certo, sapevamo di non essere più davvero al centro, ma finché ci pensavamo come ricca e colta periferia dell’impero, non c’era bisogno di sottilizzare. Potevamo persino permetterci di fare un po’ gli snob nei confronti dell’ingenuità plastificata dei cugini americani, permettendoci tratti di paternalismo sul piano dell'”alta cultura”.
Ma gli USA sono in crisi da tempo, e il resto del mondo non è più un’espressione geografica su cui semplicemente muovere le pedine americane. Gli USA sono riusciti a contenere negli anni ’80 l’autonomia giapponese e riescono ancora, con qualche fatica a tenere in piedi la “dottrina Monroe” nel continente americano. Ma l’emergere della potenza cinese, la rinascita russa dalle ceneri dell’URSS e anche la tumultuosa insofferenza dell’intero mondo islamico hanno ridato fiato a tutte quelle parti del mondo lontane dai paradigmi americani, e che ora riescono ad immaginare che il loro destino includa la possibilità di esplorare strade proprie.
In questo quadro la tragedia europea si staglia in tutta la sua angosciosità.
L’Europa oggi appare in effetti culturalmente incapace di comprendere e accettare che possano esistere forme di vita diverse da quella euroamericana.
Si tratta di una forma di spettacolare cecità antropologica, di cui le élite europee, e in ampia misura anche il popolo minuto cresciuto davanti alla TV, sono espressione.
Non riusciamo proprio a capacitarci di come si possa essere e soprattutto desiderare di essere diversi da “noi”, laddove questo “noi” è l’idealizzazione mediatica e fascinosa della “vita occidentale”.
Così noi, i nostri ceti politici e le nostre cassi dirigenti, oggi si trovano paralizzati nell’incapacità di pensare al resto del mondo in termini che non siano quelli di un “grande errore”.
Questa cecità culturale poteva essere un mero difetto sovrastrutturale finché comunque al centro della scena della potenza mondiale c’eravamo noi europei, ed era comunque un difetto privo di conseguenze drammatiche finché, come provincia dell’impero americano, non dovevamo davvero confrontarci con niente di davvero diverso.
La “diversità” che il mondo euroamericano celebra è sempre solo la diversità innocua e magari buffa del “folclore” o della “eccentricità” interna alla propria forma di vita. Ma una diversità che si pensi come mondo alternativo è per noi concepibile solo come un “grande errore”.
La tragedia è che oggi, per evitare di uscire dall’illusione che ci siamo costruiti attorno, dobbiamo assumere in modo sempre più netto posture dogmatiche, dobbiamo chiudere non solo gli occhi, ma le orecchie e il naso, e tappare la bocca ai dissenzienti, perché solo ed esclusivamente il mondo fittizio delle liberaldemocrazie idealizzate che ci è stato teletrasmesso ci appare abitabile.
È per questo che i leader europei non possono davvero oggi opporsi alle volontà americane: non solo per oggettivi rapporti di forza, ma anche perché tutti gli argomenti, tutti i modelli, tutto l’immaginario su cui possono fare leva dice a loro e al loro elettorato una sola cosa: nessun altro mondo è possibile. Gli altri, tutti gli altri, tutte le epoche diverse dalla nostra, tutte le forme di umanità diverse dalla nostra – così come ci viene rappresentata idealmente – sono solo errori, incomprensibili brutture, residui dogmatici.
Solo che oggi, questa nostra cecità ci induce a raccontarci bugie sempre più grandi, e ci spinge ad essere sempre più intolleranti verso chi non regge il gioco di queste illusioni. E questa cecità ci rende anche incapaci di valutare il pericolo reale di continuare a crederci l’indispensabile centro del mondo, mentre potremmo ritrovarci in tempi straordinariamente rapidi ad essere solo la periferia ottusa e impoverita di un impero americano, a sua volta decentrato e in crisi.
“Quando la guerra sarà finita e tra un annetto o giù di lì ci diranno che c’è una inspiegabile emergenza nazi violenti, quanti ricorderanno chi è stato a tirarli fuori dalle fogne ed armarli fino ai denti? Più o meno lo stesso numero di persone che ricordavano chi avesse armato fino ai denti gli estremisti islamici, quando ci hanno abboffato con la guerra di civiltà, ovvero praticamente nessuno. È normale usare sempre le stesse tattiche quando funzionano, quando è chiaro che più nessuno è in grado di fare due più due e avere una memoria che oltrepassi le 24 ore” (Alberto Scotti).