Giornata mondiale contro la pena di morte. Fare passi avanti verso l’abolizione
Una giornata contro la pena di morte. E’ quanto promuovono oggi Amnesty International, la Coalizione mondiale contro la pena di morte, la Rete asiatica contro la pena di morte e altri gruppi abolizionisti. Fondata nel maggio 2002, la Coalizione riunisce 74 organizzazioni per i diritti umani, associazioni legali, sindacati e autorità locali e regionali che agiscono insieme per liberare il mondo dalla pena di morte.
Nella regione asiatica, ogni anno, sono messe a morte più persone che in ogni altra parte del mondo. In occasione della Giornata mondiale contro la pena di morte, Amnesty International chiede a Corea del Sud, India e Taiwan di adeguarsi alla tendenza mondiale e di adottare immediatamente una moratoria sulla pena di morte. Le condanne a morte eseguite in Cina, Iran, Arabia Saudita, Pakistan e Usa rappresentano l’88% delle 1252 esecuzioni che Amnesty International ha documentato nel 2007.
Nell’area Asia/Pacifico, 14 paesi ancora eseguono condanne a morte, mentre 27 paesi hanno abolito la pena di morte per legge o nella pratica: “In Asia c’è terreno per la speranza ed esiste la concreta possibilità di un cambiamento. Amnesty International oggi sollecita India, Corea del Sud e Taiwan ad adeguarsi alla tendenza mondiale verso la fine delle esecuzioni e a dare il buon esempio al resto del mondo”, ha detto Irene Khan, Segretaria generale di Amnesty International. In Corea del Sud le ultime esecuzioni risalgono al mese di dicembre del 1997, quando 23 persone furono messe a morte. Dieci anni dopo, il 31 dicembre 2007, il presidente ha commutato in ergastolo le sentenze capitali di sei detenuti. Tuttavia, sono ancora 58 le persone rinchiuse nel braccio della morte. L’India non esegue condanne a morte dal 2004, anche se continuano a essere comminate sentenze capitali, almeno 100 nel 2007, spesso in seguito a
processi nei quali gli imputati più poveri non ricevono un’adeguata rappresentanza legale.
Taiwan non esegue condanne a morte dal dicembre 2005. Quest’anno due persone sono state condannate alla pena capitale, portando così a 30 il numero dei prigionieri nel braccio della morte.
“In numerosi paesi dell’Asia, la pena capitale continua a essere inflitta per una vasta serie di reati e i prigionieri vengono messi a morte spesso a seguito di processi iniqui. Riscontriamo inoltre un’enorme mancanza di trasparenza sull´uso della pena di morte”, ha aggiunto Irene Khan. In Giappone quest’anno vi sono state già 13 esecuzioni, rispetto alle nove del 2007. Sono almeno 100 le persone attualmente rinchiuse nei bracci della morte. Le impiccagioni in Giappone sono coperte dal segreto, i prigionieri sono informati della propria sorte solo qualche ora prima dell’esecuzione.
In Pakistan sono circa 7500 le persone attualmente sotto condanna a morte, inclusi diversi minorenni al momento del reato. La maggior parte di questi sono stati condannati per omicidio. Almeno 135 persone sono state messe a morte nel 2007 in seguito a processi spesso caratterizzati da iniquità e da mancanza di giustizia per gli imputati. In Vietnam 29 reati, compresi quelli connessi al traffico di droga, possono essere sanzionati con la pena di morte. Le statistiche sulle esecuzioni, che avvengono tramite fucilazione, sono classificate segreto di Stato. Tuttavia, da fonti giornalistiche, nel periodo che va da gennaio 2007 alla fine di maggio 2008, Amnesty International ha documentato 91 condanne a morte. Di queste, 15 riguardano donne.
“Un anno fa, una grande maggioranza di paesi ha votato a favore di una moratoria sulla pena di morte alle Nazioni Unite. Oggi chiediamo ai leader asiatici di agire per realizzare questo obiettivo e di ascoltare le richieste delle persone che, in ogni parte del mondo, si uniscono per chiedere la fine di questa punizione crudele e inumana”, ha concluso Khan. Amnesty International ritiene che la pena di morte violi il diritto alla vita, non abbia un sicuro effetto deterrente sui crimini e che non debba trovare posto in un moderno sistema di giustizia penale.