Il linguaggio corrotto e la lotta al pensiero unico. L’uso improprio del verbo “creare” e degli avverbi “mai” e “sempre”

Rimanevano di stucco i miei alunni le prime volte che sentivano dire dalla loro insegnante che non avrebbero dovuto far uso nei loro elaborati scritti e orali, tranne che nelle dovute eccezioni, delle parole: creare, mai e sempre. Un elaborato che si rispetti, spiegavo loro, deve essere logico, persuasivo e credibile. Certamente ricco nei contenuti e corretto dal punto di vista formale: grammaticale, sintattico e ortografico, deve anche passare attraverso quel filtro linguistico che selezioni i termini più pertinenti al raggiungimento dello scopo. In primis: la chiarezza.
Va di moda da un po’ di anni, dopo che per fortuna dell’uso smodato delle parole “cosa” e “cioè” ce ne siamo più o meno liberati, usare impropriamente ed abusare della voce del verbo creare. Nella dittatura del pensiero unico la divulgazione dell’uso smodato e inadeguato di questo verbo è ragionevolmente funzionale alla cancellazione del concetto di Dio e degli attributi che Gli sono propri. Obiettivo che viene raggiunto attraverso un lavaggio del cervello perpetuo, che passa attraverso la confusione linguistica, dove i termini vengono capovolti oppure svuotati del significato che gli è proprio. Così il bene è male e la verità è menzogna.
La confusione linguistica si fa quindi confusione mentale, scientifica, spirituale, psicologica, pedagogica e morale fino a far perdere a ciascuno ogni traccia della memoria di sé, del proprio passato, della propria funzione, dei propri desideri, obiettivi, scopi, progetti e missione.
Ovunque si legga, chiunque si ascolti è impossibile giungere alla conclusione di un argomento senza che all’interno dello stesso non sia comparso, anche una sola volta il verbo creare, così maneggiato e rimaneggiato che è ovunque declinato in tutti i modi e in tutte le forme: dal presente al participio passato, con una particolare predilezione per il passato prossimo. “Hai visto? Ho creato un gioco!”. “La sai l’ultima: ho creato una ricetta nuova”. “Ho creato un gruppo”. Ecc. Ecc.
Ma il verbo creare si coniuga solo con chi è onnipotente, visto che creare significa letteralmente: produrre dal nulla e istantaneamente. Dio creò dal nulla tutto ciò che esiste. “Sia fatta la luce” e la luce fu.
Rammentiamo invece che niente può essere creato dall’uomo. Egli infatti non può costruire dal nulla. Ogni operazione che compie necessita di elementi, strumenti, metodi e tempi. E ciò vale sia che compia un’opera materiale, intellettuale, artistica e scientifica. Nemmeno quando accoppiandosi mette al mondo un figlio, si può dire che l’uomo crei. La creatura umana infatti, genera un figlio, non lo crea e da qui la parola genitori (parola che adesso, non a caso, è considerata un pregiudizio antropologico, dal momento che la dittatura del pensiero unico tende allo smembramento della famiglia, spingendo per moderne forme di generazione: utero in affitto, compravendita di neonati, fluidità sessuale, ecc.).
Il verbo creare quindi è esclusività di Dio. L’uomo infatti genera un figlio, costruisce una casa, programma un’App e nessuna di queste cose le crea.
Esistono oltre 12.000 verbi considerando solo la sola forma attiva, mentre se si contano anche i verbi riflessivi il totale raggiunge i 20.000 verbi. Che facciamo li dimentichiamo tutti? O la facciamo finita con questa pessima moda linguistica?
Stesso discorso vale per due avverbi di tempo, quasi sempre impropriamente usati. Essi sono: mai e sempre, che per il loro valore intrinseco comunicano qualcosa di definitivo e immutabile. Dire ”questo non lo farò mai!”, oppure “io staro sempre con te !” sono affermazioni che costituiscono di per sé un non senso – se si esclude la promessa matrimoniale o sacerdotale – dato che non si può sapere in futuro come andrà e se si verificheranno le circostanze che faranno tenere fede alla promessa fatta.
Ancora peggio se, alla frase usata appena sopra come esempio, l’interlocutore aggiungesse: “Lo giuro!”, espressamente sconsigliato anche dai testi sacri. ”È meglio non fare voti che farli e poi non mantenerli», dice la sapienza divina (Qoèlet 5,4), dato che solo Dio è fedele. Egli è il Fedele per eccellenza e solo in Lui mai e il sempre corrispondono nella sostanza al significato: Egli perdonerà sempre chi si pente. Non abbandonerà mai le sue creature.
Per l’essere umano, invece, l’uso degli avverbi mai e sempre è pertinente solo se usati al passato: “Non sono mai stato in America” (non è detto che non ci andrò in futuro). “Sono sempre stato un fumatore” (non è detto che lo sarò ancora). Quindi non si appropri l’uomo di ciò che appartiene e compete a Dio. Stia al suo posto l’uomo. Non tenti nemmeno con le parole di sostituirsi a Lui. Ma questo è proprio ciò che il Nuovo Ordine Mondiale intende instillare nelle menti e nei cuori: che l’uomo possa fare a meno di Dio; che Dio è l’uomo stesso.
Una valida opposizione al lavaggio del cervello in atto, sarà praticabile soprattutto attraverso la difesa del linguaggio in termini di proprietà ed uso adeguato, pena appiattimento del pensiero. E non è proprio il caso.
Dopo un primo momento di smarrimento di fronte all’impegno che i miei alunni dovettero prendere con la loro insegnante, quello di imparare ad usare adeguatamente questi termini, ebbero presto modo di verificare che lo sforzo di cercare il lessico adeguato li aiutava a mettere ordine nei pensieri e a riferirli correttamente e con disinvoltura. Le loro prestazioni scolastiche migliorarono in un crescendo continuo anche perché vocabolario e testo di grammatica e di letteratura erano il nostro pane quotidiano.
Molti di quegli alunni mi ringraziarono. Un po’ meno i genitori che mi riferivano di essere spesso redarguiti dai figli quando in casa dialogando si esprimevano con “Ho creato…”, ”… mai… ” e “…. sempre…:” “Mamma, no! Ha detto la prof che non si dice!”. Che ridere!
Coraggio dunque! Restiamo Le genti del bel paese là dove ‘l sì suona (Inferno XXXIII, vv. 79-80) con il quale Dante definì lingua e popolo italiano.
L’autonomia mentale, in particolar modo adesso, è un’arma necessaria!
Veronica Cireneo

Foto di copertina: Domenico di Michelino, su un disegno di Alesso Baldovinetti, Dante col libro della Commedia, tre regni e la città di Firenze, 1465, tempera su telo, 232×290 cm, navata della cattedrale di Santa Maria del Fiore di Firenze.
Il dipinto raffigura il poeta al centro, con la Divina Commedia aperta nella mano sinistra e con la destra che indica i mondi ultraterreni raccontati nell’opera: in basso a sinistra la fossa dell’Inferno, poi il monte del Purgatorio, e infine i cieli concentrici del Paradiso. A destra una visione di Firenze (in questa rappresentazione si vede già la lanterna del Duomo, completata nel 1461, e la palla con la croce dorata, sicuramente già in progetto, ma messa in opera dal Verrocchio solo nel 1468-1472). Dal libro si dipartono raggi d’oro in direzione della città, verso la quale guarda anche Dante, autocelebrando come l’opera diede lustro a tutta Firenze. La lunga iscrizione, probabilmente dettata da Bartolomeo Scala: «Qui Coelum cecinit mediumque, imumque tribunal, Lustravitque oculis cuncta Poeta suis, Doctus adest Dantes sua quem Florentia saepe Sensit consiliis, ac pietate patrem. Non potuit tanto mors saeva nocere poetae Quem vivum virtus carmen imago facit» (l sapiente Dante, il poeta che cantò il cielo e il mediano e l’infimo tribunale, che tutte le cose illuminò col suo pensiero, è presente in questa pittura, egli di cui spesso la sua Firenze ha sperimentato il paterno consiglio e l’amore. In nulla poté la morte pur così crudele nuocere al poeta che la virtù il carme e l’immagine fanno vivere).