La Santa Sede all’Onu: vita e libertà religiosa, diritti spesso trascurati
Mons. Celestino Migliore, osservatore permanente della Santa Sede presso le Nazioni Unite a New York, intervenuto alla 63ma Assemblea generale sull’attività dell’Organizzazione, in corso mentre mancano due mesi al 60° anniversario della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, denuncia le lesioni alle libertà di pensiero e di religione.
“I diritti alla vita e alla libertà di pensiero, coscienza e religione costituiscono il cuore del sistema dei diritti umani”; tuttavia “troppo spesso questi diritti sono trascurati a favore di temi politicamente più convenienti, e solo quando le voci di chi è privato del diritto di voto o discriminato divengono troppo forti per essere ignorate, viene prestata loro doverosa attenzione”. La denuncia è di “solo rispettando il diritto alla vita, dal concepimento alla morte naturale, e la coscienza di tutti i credenti, ha ammonito mons. Migliore nel suo intervento , promuoveremo un mondo consapevole e rispettoso”.
Rammentando l’adozione da parte dell’Assemblea generale, l’anno scorso, della “Dichiarazione dei diritti delle popolazioni indigene”, il diplomatico vaticano ha incoraggiato a proseguire “in questo impegno comune in vista di una maggiore comprensione tra governi e comunità indigene”. Nella prima parte del suo intervento all’Onu, mons. Migliore ha deplorato gli “insolubili conflitti in molte regioni del mondo” che sembrano perpetuare la convinzione che “la violenza e la guerra possano prendere il posto della cooperazione e del dialogo per il bene comune” al conseguimento del quale si frappongono ancora molti ostacoli. Rammentando l’affermazione di Paolo VI “lo sviluppo è il nuovo nome della pace”, il rappresentante della Santa Sede ha sottolineato l’urgenza di “concentrarsi sulle cause” che sottostanno ai conflitti.
Preso atto dei “numerosi contrattempi nel nostro impegno di globalizzare la solidarietà verso i poveri”, mons. Migliore ha espresso l’auspicio che “l’imminente conferenza sulla finanza per lo sviluppo in programma a Doha rappresenti per la comunità internazionale un’opportunità per consolidare le promesse e rinnovare la cooperazione tra Paesi sviluppati e Paesi in via di sviluppo”.
Da parte sua, mons. Silvano M. Tomasi, osservatore permanente della Santa Sede presso le Nazioni Unite di Ginevra, intervenuto alla 59ª sessione generale del Comitato esecutivo dell’Alto commissariato Onu per i rifugiati (Unhcr), ha ribadito che la realtà degli esodi forzati “non è un fenomeno isolato dalle altre realtà sociali” ma “il risultato di decisioni politiche, di mancanza di azioni preventive, ed anche di eventi naturali imprevisti”.
“Per questo rientra nelle responsabilità dello Stato e della comunità internazionale”. Nel suo discorso mons. Tomasi ha rilevato che “lo sforzo continuo di tutelare i diritti umani di tutti i profughi è in linea con una coerente etica di vita e con una sempre maggiore attuazione della Dichiarazione universale dei diritti umani di cui quest’anno celebriamo il 60° anniversario. Oggi i riflettori dell’opinione pubblica sono puntati sulla crisi dei mercati finanziari, sull’attuale forma dell’organizzazione economica e sulla irresponsabilità e avidità di alcuni dirigenti che la hanno provocata. Le conseguenze di questa crisi producono un grave impatto sui gruppi vulnerabili della società e dimostrano l’interconnessione e la mancanza di equità nel mondo”. Identificando nei “cambiamenti climatici”, che “provocano scarsità di cibo e di acqua, degrado dell’ambiente e aumento dei disastri naturali”, e nei conflitti i principali responsabili della “intensificazione degli esodi forzati” di milioni di persone, mons. Tomasi ha affermato la necessità di “risposte politiche, assistenza immediata e capacità tecniche”; ma ha precisato che “occorre mettere al centro del dibattito” sulla protezione di rifugiati e profughi “una chiara dimensione etica”.
Diversi gli strumenti di tutela: oltre alla Convenzione di Ginevra del 1951, il diplomatico vaticano ha rammentato recenti documenti riguardanti “nuovi gruppi bisognosi di protezione: apolidi, persone che rientrano e sfollati interni” e ha sottolineato l’urgenza di “adeguare gli strumenti giuridici all’evoluzione” del fenomeno. Tuttavia, ha ammonito, “anche se gli strumenti giuridici sono necessari, alla fine una cultura della solidarietà e lo sradicamento delle cause degli esodi forzati dovranno sostenere il sistema di protezione”.