Domenica 23 gennaio 2022. III Domenica del Tempo Ordinario. III Giornata della Parola di Dio

«Poich’egli parlò, e la cosa fu; egli comandò e la cosa apparve» (Salmi 33,9). Con la sua Parola creò l’Universo e egli in Cristo ci ha scelto prima della Creazione.
«Benedetto sia il Dio e Padre del nostro Signore Gesù Cristo, che ci ha benedetti di ogni benedizione spirituale nei luoghi celesti in Cristo. In lui ci ha eletti prima della formazione del mondo perché fossimo santi e irreprensibili dinanzi a lui, avendoci predestinati nel suo amore a essere adottati per mezzo di Gesù Cristo come suoi figli, secondo il disegno benevolo della sua volontà, a lode della gloria della sua grazia, che ci ha concessa nel suo amato Figlio. In lui abbiamo la redenzione mediante il suo sangue, il perdono dei peccati secondo le ricchezze della sua grazia, che egli ha riversata abbondantemente su di noi dandoci ogni sorta di sapienza e d’intelligenza, facendoci conoscere il mistero della sua volontà, secondo il disegno benevolo che aveva prestabilito dentro di sé, per realizzarlo quando i tempi fossero compiuti. Esso consiste nel raccogliere sotto un solo capo, in Cristo, tutte le cose: tanto quelle che sono nel cielo, quanto quelle che sono sulla terra. In lui siamo anche stati fatti eredi, essendo stati predestinati secondo il proposito di colui che compie ogni cosa secondo la decisione della propria volontà, per essere a lode della sua gloria; noi, che per primi abbiamo sperato in Cristo. In lui voi pure, dopo aver ascoltato la parola della verità, il vangelo della vostra salvezza, e avendo creduto in lui, avete ricevuto il sigillo dello Spirito Santo che era stato promesso, il quale è pegno della nostra eredità fino alla piena redenzione di quelli che Dio si è acquistati a lode della sua gloria» (Ef 3,14).
Noi contempliamo la Parola eterna di IHWH, Adonai, il Signore, Colui che si fa carne in Gesù Cristo. Il Figlio di Dio è la Parola del Padre pronunciata dall’eternità ed entrata nel nostro tempo con il mistero dell’Incarnazione. Conoscere la Parola di Dio, la Sacra Scrittura, la Bibbia, è fondamentale perché essa ci parla del Cristo Salvatore. San Girolamo affermava che ignorare la Sacra Scrittura significa ignorare Cristo.

Nell’anno 1885 Vincent van Gogh perdeva il padre, morto per un attacco apoplettico in chiesa a Neunen. Qualche mese dopo, in ottobre, eseguiva di getto, in una sola giornata, la tela intitolata Natura morta con Bibbia aperta, firmata in basso a sinistra con del colore rosso sangue.
Una grande Bibbia aperta, così potente e solenne che la stessa tavola su cui è posta diventa una specie di altare. Sappiamo che questa Bibbia era quella appartenuta al padre dell’artista, pastore calvinista: era la Bibbia che il padre leggeva, che meditava e che apriva durante la liturgia festiva.
Accanto al Sacro Libro una candela spenta posta su un candeliere. La scena pur impostata su toni bruni, terrosi, un po’ tristi, è tuttavia illuminata da una viva luce che scende dall’alto.
Il genere adottato è quello di una classica “natura morta”. La ragione fondamentale per cui venivano realizzate, era quella di creare delle allegorie che richiamassero valori morali e riflessioni sapienziali e spirituali. Ciò che si vedeva in questi dipinti doveva essere come uno specchio della realtà che passa, che è caduca: la “natura morta” è una specie di “memento mori” che deve allontanare l’uomo da ogni vanità e cerca di fargli considerare che ogni piacere dei sensi è destinato a perire. Van Gogh riprende certamente questi simbolismi antichi: la candela spenta, che richiama la morte, per esempio, è un simbolo ben conosciuto e largamente diffuso in questo genere pittorico.
Al centro dell’opera, sta dunque questo grande, Sacro Libro che domina la scena: è messo in evidenza da una specie di leggio che lo solleva dal piano della tavola. Questo dettaglio, insieme al candeliere e ai due fermagli aperti, conferisce all’immagine uno spessore liturgico, echeggiando le parole del Vangelo: «Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno» (Mt 24,35).
La Bibbia è come aperta nella notte; essa genera la luce soprannaturale della Fede che illumina il Mistero. Non c’è più bisogno della luce fisica, terrestre della candela. Questa Bibbia aperta è una Professione di Fede e, nello stesso tempo, è un segno di Speranza. Dunque, al Requiem per il padre defunto, si accompagna, in questa tela, l’Alleluja della Pasqua. La Bibbia è aperta non a caso, su Isaia 53 dove si delinea il ritratto del “servo del Signore”, l’“uomo dei dolori che ben conosce il patire”, che la tradizione cristiana non ha avuto esitazione a identificare nel Messia sofferente, Cristo:
«Chi avrebbe creduto alla nostra rivelazione?
A chi sarebbe stato manifestato il braccio del Signore?
È cresciuto come un virgulto davanti a lui
e come una radice in terra arida.
Non ha apparenza né bellezza
per attirare i nostri sguardi,
non splendore per provare in lui diletto.
Disprezzato e reietto dagli uomini,
uomo dei dolori che ben conosce il patire,
come uno davanti al quale ci si copre la faccia,
era disprezzato e non ne avevamo alcuna stima.
Eppure egli si è caricato delle nostre sofferenze,
si è addossato i nostri dolori
e noi lo giudicavamo castigato,
percosso da Dio e umiliato.
Egli è stato trafitto per i nostri delitti,
schiacciato per le nostre iniquità.
Il castigo che ci dà salvezza si è abbattuto su di lui;
per le sue piaghe noi siamo stati guariti.
Noi tutti eravamo sperduti come un gregge,
ognuno di noi seguiva la sua strada;
il Signore fece ricadere su di lui
l’iniquità di noi tutti.
Maltrattato, si lasciò umiliare
e non aprì la sua bocca;
era come agnello condotto al macello,
come pecora muta di fronte ai suoi tosatori,
e non aprì la sua bocca.
Con oppressione e ingiusta sentenza fu tolto di mezzo;
chi si affligge per la sua sorte?
Sì, fu eliminato dalla terra dei viventi,
per l’iniquità del mio popolo fu percosso a morte.
Gli si diede sepoltura con gli empi,
con il ricco fu il suo tumulo,
sebbene non avesse commesso violenza
né vi fosse inganno nella sua bocca.
Ma al Signore è piaciuto prostrarlo con dolori.
Quando offrirà se stesso in espiazione,
vedrà una discendenza, vivrà a lungo,
si compirà per mezzo suo la volontà del Signore.
Dopo il suo intimo tormento vedrà la luce
e si sazierà della sua conoscenza;
il giusto mio servo giustificherà molti,
egli si addosserà la loro iniquità.
Perciò io gli darò in premio le moltitudini,
dei potenti egli farà bottino,
perché ha consegnato se stesso alla morte
ed è stato annoverato fra gli empi,
mentre egli portava il peccato di molti
e intercedeva per i peccatori» (Is 53 1,12).
Van Gogh non ha dipinto in modo minuzioso le pagine della Bibbia aperta, ma le ha presentato come una specie di miniatura sfumata trasformandosi in un tappeto di campi coltivati rappresentando il respiro e la spiritualità, la mano e il cuore dell’autore.
Accanto alla Bibbia aperta è collocato un libro più piccolo, identificabile dal titolo e dall’autore: si tratta di “La gioia di vivere”. Van Gogh amava questo romanzo del 1884 di Emile Zola (si vede dalla copertina e dalle pagine sgualcite la frequentazione da parte del pittore) identificandosi nel personaggio di Lazare, nelle sue angosce, nella sua ricerca del senso della vita. Dunque, questo testo rappresenta, in un certo senso, la personificazione di van Gogh, che ora sta ai piedi del padre, identificato nella Bibbia aperta. Sappiamo che la relazione tra padre e figlio fu segnata da un’autentica ammirazione, ma anche da un’accesa conflittualità: l’artista rimproverava al padre di essere moralista e chiuso alle novità del proprio tempo, compresa la scienza, l’arte e la letteratura.
Ancora una suggestione dal romanzo di Zola: la protagonista è Pauline, figura femminile in cui l’onestà, la bontà d’animo e il sacrificio di se stessi per gli altri, malgrado le molte vicissitudini, non vengono mai meno. Nonostante tutto, Pauline mantiene sempre la sua visione ottimistica verso la vita e l’amore e il romanzo si chiude lodando le gioie inerenti alla lotta per la vita di fronte alla tristezza e all’infelicità.
È così che Vincent van Gogh rilegge la sua vita in questi due libri.
Nel 1873 lavora a Londra per poi trasferirsi nel 1875 a Parigi. Fra il 1878 e il 1880 vive nel Borinage, regione delle miniere di carbone in Belgio, dove si era recato con un contratto di evangelizzatore laico. Teneva letture bibliche nelle stanze sul retro dei locali e nelle sale da ballo, insegnava la Bibbia ai bambini e visitava i malati. Viveva tra i minatori e le loro famiglie nel Borinage, condividendo la loro povertà. Dormiva per terra e dava le sue coperte e i suoi vestiti ai poveri. La sua dedizione fu tale da essere soprannominato “Il Cristo della miniera di carbone”. La sua grande devozione fu lodata, tuttavia, non riuscì comunque a stabilire una affiatata comunità di fedeli e dopo soli sei mesi il suo contratto non fu rinnovato.
Negli anni successivi, van Gogh dipinge delle scene in riferimento al tempo trascorso nel Borinage, concentrandosi sul tema della povertà, e sulle figure di contadini e minatori.

In una sua lettera del 1877, a 25 anni, a proposito della Bibbia scisse: «Io non posso comunicare fino a che punto ho bisogno della Bibbia; ogni giorno vi leggo qualcosa. Ma ciò che io desidererei ardentemente sarebbe di averla tutta nella mia testa, per vedere la vita alla luce di queste parole. C’è un testo biblico che dice: “La tua parola è lampada ai miei passi, luce sul mio cammino”».
Questa Bibbia aperta posta sul tavolo a casa di van Gogh si trasforma in un nutrimento, evocando i versetti dell’Apocalisse, dove si parla del libro da mangiare: «Poi la voce che avevo udito dal cielo mi parlò di nuovo: “Va’, prendi il libro aperto dalla mano dell’angelo che sta ritto sul mare e sulla terra”. Allora mi avvicinai all’angelo e lo pregai di darmi il piccolo libro. Ed egli mi disse: “Prendilo e divoralo; ti riempirà di amarezza le viscere, ma in bocca ti sarà dolce come il miele. Presi quel piccolo libro dalla mano dell’angelo e lo divorai; in bocca lo sentii dolce come il miele, ma come l’ebbi inghiottito ne sentii nelle viscere tutta l’amarezza. Allora mi fu detto: “Devi profetizzare ancora su molti popoli, nazioni e re”» (Ap 10, 8-11).
Questi versetti ci ricordano, che anche noi possiamo accostarci a questa mensa, così da nutrirci e vivere non soltanto di pane, come si legge nel libro del Deuteronomio: «Egli dunque ti ha umiliato, ti ha fatto provare la fame, poi ti ha nutrito di manna, che tu non conoscevi e che i tuoi padri non avevano mai conosciuto, per insegnarti che l’uomo non vive soltanto di pane, ma che vive di tutto quello che procede dalla bocca del Signore» (Dt 8,3).
Allora, stimolati da questa opera d’arte, possiamo essere aiutati a riscoprire la Bibbia nella sua infinita preziosità ricordandoci che questo Sacro Libro della Parola del Signore non è una fine ma un inizio. Non lasciamoci vincere dall’indifferenza, accendiamo quella candela ora spenta, leggiamo, meditiamo e vegliamo.
[Liberamente tratto e integrato, dal supplemento di Evangelizzare, settembre 2009].