Il fascino intramontabile del Premio Strega
In realtà, io sono un frequentatore anziano del principale premio letterario italiano: il Premio Strega. Entrai per la prima volta nel ninfeo di Villa Giulia nel 1972, quando fu premiato il romanzo Paese d’ombre di Giuseppe Dessì: ero un liceale e sedevo compunto al tavolo di scrittori e giornalisti dig ran nome. Qualcuno potrebbe dire: altri tempi. Invece a me il Premio Strega appare sempre lo stesso. Una gran quantità di gente (solo in piccola parte addetti ai lavori, letterati o amici della domenica), una serata non spettacolare, ma divisa in una allegra parte conviviale (con votazione) e in una lunga chiacchierata collettiva in attesa dei risultati. Immancabile la ripresa televisiva con commenti più o meno originali. Tale era, tale è rimasto. La storia del premio è lunga. Fin dal 1944, a Roma, presero a radunarsi giornalisti, scrittori, artisti, letterati, nella storica abitazione di Maria e Goffredo Bellonci. Erano gli originari Amici della domenica che diedero vita al premio e ne furono i primi giurati. Da allora, circa 1100 sono stati gli uomini e le donne che ne hanno animato le riunioni e le attività. Dal 1986 il testimone è passato alla Fondazione Maria e Goffredo Bellonci onlus, oggi presieduta da Tullio De Mauro, che si è posta come obiettivo la promozione della cultura e la diffusione della letteratura italiana contemporanea in Italia e all’estero. Per questo la giuria del premio è stata integrata da sedici voti collettivi (espressi da studenti delle scuole secondarie superiori di Roma e del Lazio, dal Dipartimento di studi filologici, linguistici e letterari dell’Università “Tor Vergata”, dal liceo “Giannone” di Benevento, dall’Albert-Einstein-Gymnasium di Berlino, dagli studenti di italianistica della Karl-Franzens-Universität di Graz, dai soci dei comitati italiani della “Dante Alighieri”, da gruppi di lettura coordinati da vari Istituti italiani di cultura all’estero) e da sessanta voti di singoli lettori “forti” designati da librerie indipendenti italiane associate all’ALI (l’Associazione Librai Italiani). Dopo una lunga serie di riunioni, presentazioni, convegni e selezioni preliminari, il 12 giugno è stata designata la cinquina dei finalisti che sono stati: Le colpe dei padri (Piemme) di Alessandro Perissinotto; Resistere non serve a niente (Rizzoli) di Walter Siti; Figli dello stesso padre (Longanesi) di Romana Petri; Mandami tanta vita (Feltrinelli) di Paolo Di Paolo e Nessuno sa di noi (Giunti) di Simona Sparaco. Serata conclusiva della 67a edizione del Premio Strega lo scorso giovedì 4 luglio, al Ninfeo di Villa Giulia a Roma. Alle 21.30 il presidente del seggio Alessandro Piperno, vincitore del Premio nel 2012, ha dato il via alle operazioni di voto. L’organizzazione è stata ottima. Ma I commenti tra I tavoli si sono divisi nelle usuali tre posizioni: gli entusiasti (un premio utile, che si rinnova e lancia autori nuovi), i delusi (un vero disastro, una kermesse commerciale tutta nelle mani degli editori, con scrittori e letteratura in cantina) e gli scettici (si, ma, non so, però il romanzo che ha vinto è proprio un buon libro). Comunque, verso la mezzanotte, al termine dello scrutinio (412 su 460 votanti, di cui 168 voti online), il Presidente Piperno e Tullio De Mauro, hanno proclamato vincitore il romanzo Resistere non serve a niente (Rizzoli) del critico, saggista e narratore Walter Siti con voti 165. L’autore ha ricevuto in premio un assegno di cinquemila euro e la classica bottiglia formato magnum di Liquore Strega, storico sponsor del Premio. Considerazioni generali finali: la narrativa si dimostra il genere più vitale della letteratura italiana contemporanea. Il pubblico dei lettori è ancora cospicuo e il romanzo italiano regge – anche se con fatica – al confronto con quello straniero. L’azione delle case editrici – e dei mass media – diventa sempre più decisiva: lo scrittore – l’intellettuale in genere – appare come il terminale di un processo produttivo più vasto che investe aziende editrici, addetti stampa, sponsor, televisione ed infine lo stesso pubblico. Le tematiche dei romanzi, più che scaturire dalle riflessioni e dalle storia personali degli autori, appaiono suggerite dall’attualità e da quel colloquio sociale che corre attraverso i media e di cui tutti siamo, in qualche modo, partecipi. Qui, forse, sta il limite della narrativa contemporanea: non sfugge alle sollecitazioni del suo tempo, nasce e perisce nel volgere di pochi anni, mentre la letteratura – quella dei classici – appare durare, solida e sempre reinterpretabile, nei decenni e nei secoli. Ma il Premio Strega non è, né vuole essere, il sinedrio dei custodi della Letteratura con la L maiuscola. Ambisce piuttosto a raccogliere, nel flusso delle vicissitudini dell’attualità, quei segnali e quelle personalità che possono arricchire, oltre al corso breve della narrativa, anche il grande magazzino della letteratura d’ogni tempo.