Il papa in visita al Quirinale. Avanti nella cooperazione tra Italia e Santa Sede

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“Il Quirinale e il Vaticano non sono colli che si ignorano o si fronteggiano astiosamente; sono piuttosto luoghi che simboleggiano il vicendevole rispetto della sovranità dello Stato e della Chiesa, pronti a cooperare insieme per promuovere e servire il bene integrale della persona umana e il pacifico svolgimento della convivenza sociale”. Il papa per la seconda volta nel suo pontificato si è recato questa mattina al Quirinale, per rendere al presidente della Repubblica italiana la visita del 20 novembre del 2006. 

Il pontefice rinnova la sintonia con Giorgio Napolitano che risponde con un allarme per la “corrosiva caduta dell’etica nell’economia e nella politica”. Una visita che il papa ha voluto espressamente ridotta nella forma protocollare con un lungo colloquio privato e lo scambio dei discorsi ufficiali, e pochi saluti a ministri e funzionari. Una visita segnata, soprattutto, dalla cordialità assoluta tra i due capi di stato e da una convergenza sui temi culturali, sul logos e la razionalità, e la laicità positiva.

Erano circa le 10.30, quando il papa in macchina scoperta con un cielo che minacciava pioggia si è avviato verso il Quirinale. Con lui i cardinali Tarcisio Bertone, Giovanni Lajolo, Angelo Bagnasco, Agostino Vallini, i vescovi Fernando Filoni e Dominique Mamberti, Segretario per i Rapporti con gli Stati il nunzio Giuseppe Bertello. Il papa, scortato da corazzieri in motocicletta, a Piazza Venezia, ha ricevuto il saluto del Sindaco di Roma, Gianni Alemanno. 

Al Quirinale, saluti e onori militari; poi, il presidente Napolitano ha accompagnato il papa nella Sala degli Arazzi di Lilla per il saluto al presidente del Consiglio dei Ministri, Silvio Berlusconi, e ai rappresentati del Governo italiano. Nello Studio alla Vetrata, il colloquio privato, cordialissimo, iniziato con una spremuta d’arancia. Al termine, l’incontro con la signora Clio, la sosta alla cappella dell’Annunziata dove il papa si è fermato a pregare e infine i discorsi ufficiali nel Salone delle Feste.

Il papa ha ripercorso la storia delle relazioni tra stato Italiano e Vaticano, ha ricordato i papi come Pio VI e Pio VII, che sono stati “strappati con violenza” dalla loro sede e trascinati in esilio, ha ripercorso la complessità della “questione romana” risolta dai Patti Lateranensi con un ricordo delle parole di Pio XII: “Il Vaticano e il Quirinale, che il Tevere divide, sono riuniti dal vincolo della pace coi ricordi della religione dei padri e degli avi. Le onde tiberine hanno travolto e sepolto nei gorghi del Tirreno i torbidi flutti del passato e fatto rifiorire le sue sponde dei rami d’olivo” (Discorso del 28 dicembre 1939).

Storia che oggi si è trasformata in un sentire comune sempre più netto tra Quirinale e Vaticano: “una positiva realtà – dice il papa – verificabile quasi quotidianamente a diversi livelli, e alla quale anche altri Stati possono guardare per trarne utili insegnamenti”. C’è la vita di san Francesco nelle parole del pontefice, scelto come Patrono d’Italia per la “corrispondenza fra la personalità e l’azione del Poverello d’Assisi e la nobile Nazione italiana”. E c’ è l’esempio del santo “la cui figura attrae credenti e non credenti”, nella quale “possiamo scorgere l’immagine di quella che è la perenne missione della Chiesa, pure nel suo rapporto con la società civile”.

La Chiesa per la sua missone ha bisogno di libertà, e per contribuire “all’edificazione della società la Chiesa lo offre in maniera pluriforme, essendo un corpo con molte membra, una realtà al tempo stesso spirituale e visibile, nella quale i membri hanno vocazioni, compiti e ruoli diversificati”. La responsabilità maggiore è per i giovani. “Con urgenza, infatti, emerge oggi il problema dell’educazione, chiave indispensabile per consentire l’accesso ad un futuro ispirato ai perenni valori dell’umanesimo cristiano”, spiega il papa.

La Chiesa dunque, metterà sempre il suo massimo impegno, soprattutto in “questi momenti di incertezza economica e sociale” per “il bene comune del Paese, come pure dell’Europa e dell’intera famiglia umana”. E pertanto, “non vi è ragione di temere una prevaricazione ai danni della libertà da parte della Chiesa e dei suoi membri, i quali peraltro si attendono che venga loro riconosciuta la libertà di non tradire la propria coscienza illuminata dal Vangelo. Ciò sarà ancor più agevole se mai verrà dimenticato che tutte le componenti della società devono impegnarsi, con rispetto reciproco, a conseguire nella comunità quel vero bene dell’uomo di cui i cuori e le menti della gente italiana, nutriti da venti secoli di cultura impregnata di Cristianesimo, sono ben consapevoli”.

Il saluto del presidente è stato di piena sintonia con i temi di ampio respiro affrontati dal papa. Napolitano ha parlato di “rapporto di reciproco rispetto e di feconda collaborazione”. E ricorda che Benedetto “parla agli italiani, accolto da grandi manifestazioni di fede e di affetto anche nelle più recenti visite in varie regioni del nostro paese, e parla a uomini e donne di buona volontà in ogni parte del mondo, con discorsi di profonda ispirazione e di alta dottrina e cultura”. Ecco perché “nel muoverci sempre in piena aderenza ai valori della Costituzione, guardiamo in naturale sintonia con la visione di Vostra Santità a vicende critiche e motivi di allarme che accompagnano il cammino dell’umanità in un mondo pur così ricco di risorse e di potenzialità di progresso”.

Pace e sviluppo sono beni condivisi “contro ogni rischio di ritorno a contrapposizioni del passato sotto ogni aspetto fatali”. Così come fondamentale è il rispetto della dignità umana che ” si è tradotto nella grande conquista – sono ben vive in noi, Santità, queste Sue parole, di recente pronunciate a Castelgandolfo – del “superamento del razzismo” : di qui l’allarme per il registrarsi “in diversi paesi di nuove manifestazioni preoccupanti”, mentre nulla può giustificare “il disprezzo e la discriminazione razziale”. Diventa poi necessario superare quell’emergenza come precisa responsabilità dello Stato per “suscitare nel mondo d’oggi una grande ripresa di tensione ideale e morale. Non vediamo forse perfino negli avvenimenti che stanno scuotendo le fondamenta dello sviluppo mondiale i guasti di una corrosiva caduta dell’etica nell’economia e nella politica?” La laicità dello stato dunque per Napolitano non esclude una “operosa convergenza di sforzi per il bene comune, così concepito, non offusca in alcun modo “la distinzione”, da Lei richiamata anche a Parigi, “tra il politico e il religioso”.

Essa conforta la convinzione – da tempo affermatasi in Italia – che il senso della laicità dello Stato, quale si coglie anche nel dettato della nostra Costituzione, abbraccia il riconoscimento della dimensione sociale e pubblica del fatto religioso, implica non solo rispetto della ricerca che muove l’universo dei credenti e ciascuno di essi, ma dialogo. Un dialogo fondato sull’esercizio non dogmatico della ragione, sulla sua naturale attitudine a interrogarsi e ad aprirsi”.

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