Sessualità e contraccezione. La differenza fra un affondo e una proposta
“Il papa contro la contraccezione”, “Affondo di Benedetto XVI”, “Parole durissime del papa”, “La contraccezione nega la fine del matrimonio”, “No alla contraccezione, altrimenti non c’è amore”. Titoli, lanciati dalle agenzie di stampa e a tutta pagina sui più grandi siti di informazione nazionali (e a seguire sui quotidiani), che rendono conto delle parole spese da Benedetto XVI in occasione dei 40 anni dell’enciclica Humanae Vitae. E, a leggerle così, come vengono presentate, puoi pensare solo una cosa: che per l’ennesima volta la Chiesa si infila sotto le lenzuola e con argomentazioni vecchie si ostina nei suoi incomprensibili (oltre che inutili) divieti, con l’atteggiamento arrogante e persino un po’ terrorista di chi si pone sul piedistallo a giudicare gli altri, spingendosi anche ad affermare che “altrimenti, non c’è amore”.
Poi, siccome non ti accontenti dei titoli strillati in prima pagina, vai a leggerti il discorso del papa, e ci trovi tutt’altro stile e tutt’altri intenti. Per carità, non è una novità: ci siamo abituati, e sarebbe stato presuntuoso pretendere che le consuetudini giornalistiche cambiassero proprio su un tema come la contraccezione. Nel discorso di Benedetto XVI non ci trovi affatto giudizi, accuse, anatemi, aut-aut, e quant’altro. Ci trovi invece, solo a volerla vedere, una proposta coraggiosa che – in quanto proposta – ha i connotati del progetto, della promessa, di una visione del rapporto di coppia (e del matrimonio) che è certamente arduo comprendere in tutti i suoi aspetti, ma che rappresenta un modo nient’affatto vetusto o inconcepibile di vivere i propri affetti e la propria sessualità. Una proposta che – vivaddio, ognun è libero di far ciò che sente – può anche essere rifiutata, ma che meriterebbe almeno di essere approfondita, e non giudicata, sbeffeggiata o disprezzata per partito preso.Perché semplicemente “la Chiesa è roba vecchia” o perché “i preti sono tutti gente complessata e di sesso non capiscono niente”. E meriterebbe anche di esser spiegata meglio e a fondo proprio dai cristiani, da chi si è sposato e ha provato a viverla: da uomini e donne dunque, oltre ai sacerdoti o religiosi. Perché se anche fra i cattolici i comportamenti sono dissonanti, un autocritica bisognerà pur farlo.
Ad ogni modo, ecco le parole del papa, quelle che erano state descritte come un affondo. Parole che parlano di un amore da vivere in pienezza, della bellezza del generare figli (cosa che è descritta addirittura come “una partecipazione all’amore di Dio”, che detto da un papa non è proprio una cosa di poco conto), della necessità di un limite al dominio dell’uomo sul proprio corpo (suvvia, è quanto mai ragionevole), sui figli accolti e pensati come dono da accogliere, sulla necessità e prudenza nel distanziare le nascite, con l’utilizzo di quei metodi naturali che la vulgata comune considera una sorta di rimedio medievale e che invece portano con sé una conoscenza e un rispetto per il proprio corpo che la scarica di ormoni artificiali prodotta da farmaci e quant’altro neppure sa immaginare. Insomma, ce n’è abbastanza per non etichettare il tutto come roba vecchia. Almeno per questo, ce n’è abbastanza. Dopo di che, di tutto si può e si deve discutere.
A questo link le parole del papa. Questo il passaggio chiave: “La possibilità di procreare una nuova vita umana è inclusa nell’integrale donazione dei coniugi. Se, infatti, ogni forma d’amore tende a diffondere la pienezza di cui vive, l’amore coniugale ha un modo proprio di comunicarsi: generare dei figli. Così esso non solo assomiglia, ma partecipa all’amore di Dio, che vuole comunicarsi chiamando alla vita le persone umane. Escludere questa dimensione comunicativa mediante un’azione che miri ad impedire la procreazione significa negare la verità intima dell’amore sponsale, con cui si comunica il dono divino: “se non si vuole esporre all’arbitrio degli uomini la missione di generare la vita, si devono necessariamente riconoscere limiti invalicabili alla possibilità di dominio dell’uomo sul proprio corpo e sulle sue funzioni; limiti che a nessun uomo, sia privato sia rivestito di autorità, è lecito infrangere” (Humanae vitae, 17). E’ questo il nucleo essenziale dell’insegnamento che il mio venerato predecessore Paolo VI rivolse ai coniugi e che il Servo di Dio Giovanni Paolo II, a sua volta, ha ribadito in molte occasioni, illuminandone il fondamento antropologico e morale.
A distanza di 40 anni dalla pubblicazione dell’Enciclica possiamo capire meglio quanto questa luce sia decisiva per comprendere il grande “sì” che implica l’amore coniugale. In questa luce, i figli non sono più l’obiettivo di un progetto umano, ma sono riconosciuti come un autentico dono, da accogliere con atteggiamento di responsabile generosità verso Dio, sorgente prima della vita umana. Questo grande “sì” alla bellezza dell’amore comporta certamente la gratitudine, sia dei genitori nel ricevere il dono di un figlio, sia del figlio stesso nel sapere che la sua vita ha origine da un amore così grande e accogliente.
E’ vero, d’altronde, che nel cammino della coppia possono verificarsi delle circostanze gravi che rendono prudente distanziare le nascite dei figli o addirittura sospenderle. Ed è qui che la conoscenza dei ritmi naturali di fertilità della donna diventa importante per la vita dei coniugi. I metodi di osservazione, che permettono alla coppia di determinare i periodi di fertilità, le consentono di amministrare quanto il Creatore ha sapientemente iscritto nella natura umana, senza turbare l’integro significato della donazione sessuale. In questo modo i coniugi, rispettando la piena verità del loro amore, potranno modularne l’espressione in conformità a questi ritmi, senza togliere nulla alla totalità del dono di sé che l’unione nella carne esprime. Ovviamente ciò richiede una maturità nell’amore, che non è immediata, ma comporta un dialogo e un ascolto reciproco e un singolare dominio dell’impulso sessuale in un cammino di crescita nella virtù”.