«“Non siamo tutti uguali, non tutti abbiamo gli stessi diritti, alcuni hanno i diritti, altri no”. Dove questo verbo attecchisce alla fine c’è il lager» (Primo Levi)
I triggerati con il loro mantra, che i paragoni non si possono fare, se ne dovranno faranno una ragione, obtorto collo. Intanto ritengo sia utile riproporre le parole di Primo Levi, tratte dalla celebre intervista Rai del 25 gennaio 1975. Sono 7 minuti da ascoltare [QUI]. Lui non esternava un suo pensiero, ma comunicava quello che sapeva, “con precisione”. Ed è lì tutta la differenza. Ascoltate l’ammonizione di Levi e poi riflettete su cosa blatera il #brancodibalordi che ci “governa”, sulla NECESSITÀ di limitare, sospendere, sopprimere, comprimere i diritti civili. Levi dice quelle che sa e loro sanno ma non lo dicono.
«Degli insulti dei pro vax non mi importa nulla. Forse non hanno capito. Siamo noi che giudichiamo loro per ciò che sono. La loro codardia poi li rende già di per sé completamente innocui. Pecore che seguono il pastore. Il vero problema è che la loro stupidità rafforza il regime» (Marco Mori @MarcoMo37436232 – Twitter, 6 novembre 2021).
«Primo Levi: Non sono soltanto i 4 milioni di Auschwitz, ma sono i 6 e 7 milioni di vittime di ebrei, e sono i 60 milioni di morti nella Seconda Guerra Mondiale che sono il frutto del nazismo e del fascismo. Questa è una cosa che io personalmente non posso dimenticare per motivi evidenti ma vorrei che anche gli altri, insomma tutti quelli che non sono stati in un lager o in un campo di concentramento, le ricordassero e le sapessero. Cioè che i lager, Auschwitz, erano la realizzazione del fascismo, era il fascismo integrato, completato. Aveva quello che in Italia mancava, cioè il suo coronamento».
«Intervistatore: Lei pensa che siano ancora possibili queste atrocità?».
«Prima Levi: Oggi come oggi certamente no, ma non dubito che i tedeschi e perché solo i tedeschi, qualunque altro paese, forse che non ci sono campi di concentramento in Grecia, ci sono stati in Grecia, o in Algeria o in Brasile, e in Cile, ci sono, quindi perché? Anche in Italia non ci vorrebbe molto. Io purtroppo devo dirlo, lo so questo, non è che lo pensi, i lager si possono fare dappertutto, possono esistere. Dove un fascismo, non è detto che sia identico a quello, un fascismo cioè un nuovo verbo, come quello che amano i nuovi fascisti d’Italia, cioè che “non siamo tutti uguali, non tutti abbiamo gli stessi diritti, alcuni hanno i diritti, altri no”. Dove questo verbo attecchisce alla fine c’è il lager, questo io lo so con precisione. (…) Fate attenzione, alla fine del fascismo c’è il lager».
A corollario proponiamo i ritratti di Primo Levi ad opera di Larry Rivers e di seguito l’editoriale a firma di Fabrizio Giulimondi, pubblicato questa mattina da Lab Parlamento.
«La memoria umana è uno strumento meraviglioso ma fallace. È questa una verità logora, nota non solo agli psicologi, ma anche a chiunque abbia posto attenzione al comportamento di chi lo circonda, o al suo stesso comportamento» (Primo Levi, Incipit di “I sommersi e i salvati”, 1986).
L’ultimo saggio che Primo Levi scrisse, prima di togliersi la vita l’11 aprile dell’anno successivo, è un’analisi dell’universo concentrazionario che l’autore compie partendo dalla personale esperienza di prigioniero del campo di sterminio nazista di Auschwitz ed allargando il confronto ad esperienze analoghe della storia recente, tra i cui i gulag sovietici. La narrazione descrive con lucidità e senza distacco ma con un tocco di particolarità simile a quella slava- nonostante l’averne vissuto l’esperienza diretta – i meccanismi che portano alla creazione di “zone grigie” di potere tra oppressori e oppressi, la corruzione economica e morale delle persone che vivono nei sistemi concentrazionari, gli scopi e gli utilizzi politici e sociali di tali sistemi, la replicazione di analoghe dinamiche comportamentali nelle realtà quotidiane odierne.
Da Orwell all’Italia di oggi
di Fabrizio Giulimondi
Lab Parlamento, 7 novembre 2021
Sino a che soglia può arrivare un Governo nella limitazione di diritti e libertà? Può un diritto o una libertà tiranneggiare su tutti gli altri sino a metterli in un angolo?
La Costituzione è ancora un quadro armonico e composito di tutele e garanzie o forse si è ridotta in un unico articolo, il 32, con una improvvisa e nascosta abrogazione delle altre disposizioni?
Può un Governo decidere ogni giorno delle esistenze dei propri cittadini, delle loro libertà e dei loro diritti in nome di un unico diritto che diviene sovrano assoluto su tutti gli altri, assorbiti in esso, estinti in esso?
Può un Governo appannare l’habeas corpus che, dalla Magna Charta (n. 39, linea 40) voluta da Re Giovanni d’Inghilterra “Senza Terra” (15 giugno 1215) alla ancora regnante Regina Elisabetta II, è alla base della monarchia di Sua Maestà Britannica e della civiltà europea ed occidentale?
Può l’Austria limitare sensibilmente le libertà e i diritti di un individuo solo perché non ha accettato l’inoculazione di un vaccino molto discusso in tutto il globo?
Possono i contenuti dell’agire normativo di un Governo essere “disposti” da una scienza niente affatto monolitica, che varia in uno stretto giro di tempo ed è espressa da mutevoli “voci”, una scienza trasformatasi in scientismo, una sorta di teocrazia laica caratterizzata da un linguaggio di sapore religioso?
Può l’Unione europea dimenticare le ceneri da cui è sorta? I diritti umani su cui si basa? I principi su cui si erge la propria Carta dei diritti fondamentali del 2000, a partire da quelli della libertà in tutte le sue sfaccettature e di non discriminazione?
Può l’ulteriore procrastinazione dello “stato di emergenza” camuffare, proprio per la durata della sua permanenza, un autentico “stato di eccezione” così come concepito da Carl Schmitt?
Un richiamo, questo, non messo a caso, ma in ragione della storia di questo importante costituzionalista il cui pensiero, dismessa la camicia bruna caduto il regime hitleriano, fu riconsiderato ed ammesso nel consesso internazionale dei giuristi del mondo libero post-bellico.
Una nuova forma di Stato assoluto appare ai nostri occhi: assoluto ma con vestigia diverse, nell’apparenza democratiche, nella forma liberali, ma sotto la sottile buccia niente affatto democratiche, niente affatto liberali.
Uno Stato assoluto che non indossa certamente più le vesti vetuste e polverose del fascismo, del militarismo, del comunismo e del nazismo, congegnando nuove modalità di azione, più raffinate, non necessitanti di carrarmati.
Uno Stato capace di incidere nell’intimo delle persone, trasformandole in “libere” opprimenti di sé stesse e delle altre, una nuova forma di Stato assoluto, anticipata già da anni dalla letteratura distopica (vocabolo assonante con dispotica): uno Stato orwelliano che simula una democrazia dissimulando, invero, una dittatura “democratica” o, se si predilige, una democrazia autoritaria in cammino verso una dittatura avente lo sguardo rivolto in direzione di una tirannide.
La qualificazione di Stato orwelliano innova ed integra la forma di Stato di tipo assoluto, qualificazione di cui la Dottrina nel futuro non potrà non tenere in debito conto. Studiosi del diritto, della storia e della filosofia (discipline, anche inconsapevolmente, del tutto complementari fra di loro) volgano la mente allo Stato vessatorio descritto nel “Leviatano” di Hobbes, in una versione, però, nella quale i suoi abitanti partecipano, volontariamente e quasi con gioia ed entusiasmo, alle catene che vengono avvolte ai loro polsi.
Tutto questo, come ogni privazione delle libertà che la storia ci insegna, è fatto per il bene supremo del popolo sovrano, per proteggerne la salute fisica, dimentichi che l’art 32 della Carta difende anche la salute psichica.
La storia non è affatto maestra di vita perché non insegna mai nulla agli esseri umani, troppo presi dal contingente per girarsi indietro verso un passato non solo remoto ma, purtroppo, anche prossimo.
Foto di copertina: Francesca Leone, Volto P.L. (Primo Levi), 2015, tecnica mista su tela, cm 180×150.