Gutta cavat lapidem non vi sed saepe cadendo
La goccia perfora la pietra non con la forza ma col cadere spesso. Questa esortazione pedagogica – per ricordare che con una ferrea volontà si possono conseguire obiettivi altrimenti impossibili – sembra valere anche per il mondo dell’ectoplasma del #brancodibalordi arrabattati. Almeno si avverte qualche scossa… La notizia è di ieri, 18 ottobre 2021. La creatura dell’uomo beta della dittatura sanitocratica, Giuseppi, l’ex Commissario straordinario per l’emergenza Covid-19, Domenico Arcuri è indagato dalla Procura di Roma nell’inchiesta su alcune maxicommesse da 72 milioni di euro per l’importazione di 801 milioni di mascherine dalla Cina durante i primi mesi dell’emergenza coronavirus cinese di Wuhan. «Non gli è andata benotti», ha twittato il vaticanista dell’agenzia askanews, Iacopo Scaramuzzi. Di danni ne ha fatto questo Arcuri. E parecchi. Solo una questione di tempo che si affronta, dopo le mascherine, anche lo sperpero per i banchi a rotelli (pure questi – pare – “pericolosi”) e tutto il resto?
Nelle stesse ore del mattino di ieri, 18 ottobre 2021, in cui si diffondeva la notizia che Domenico Arcuri è indagato per peculato e abuso d’ufficio, si rendeva noto un decreto di quattordici pagine, con cui il 15 ottobre 2021 la Procura di Roma ha disposto il sequestro di una quantità enorme di mascherine di tutti i tipi – dalle chirurgiche fino alle FFP3 – perché non adatte al loro scopo (la protezione individuale contro il Covid-19) e, in alcuni casi, addirittura pericolose, “dannose per la salute”. La premesse per il sequestro: “La deroga per la produzione e la fornitura di mascherine di protezione dal Covid-19 concerne la procedura e la tempistica, non gli standard di qualità”.
Quindi, adesso Arcuri sarebbe accusato di peculato e di abuso d’ufficio. Già alla fine del 2020 la Procura della Repubblica aveva ipotizzato il reato di corruzione, ma al termine delle indagini i magistrati avevano chiesto l’archiviazione. Nei mesi scorsi erano state indagate altre otto persone: il giornalista Rai in aspettativa Mario Benotti, l’imprenditore Andrea Vincenzo Tommasi, Antonella Appulo, Daniela Guarnieri, Jorge Edisson Solis San Andrea, Daniele Guidi, Georges Fares Khozouzam e Dayanna Andreina Solis Cedeno.
Già l’11 aprile 2021 il quotidiano La Verità aveva anticipato, che Arcuri sarebbe stato iscritto dalla Procura della Repubblica di Roma nel registro degli indagati per peculato, in riferimento alle forniture di “dispositivi di protezione individuale” cinesi. Il 24 febbraio precedente, per l’arrivo in Italia di una parte di queste mascherine senza certificazione, c’erano stati un arresto e quattro misure interdittive. Allora Arcuri aveva comunicato di non avere notizia di quanto riportato da La Verità relativamente all’indagine sulla fornitura di mascherine. Egli stesso, nonché la struttura già preposta alla gestione dell’emergenza, avevano reso noto che “continueranno, come da inizio indagine, a collaborare con le autorità inquirenti nonché a fornire loro ogni informazione utile allo svolgimento delle indagini”.
Poi, nell’indagine sulle maxi commesse dei “dispositivi di protezione individuale” cinesi, Arcuri era uscito dall’inchiesta dopo una lettera scritta ai pm. In seguito allo scoop di La Verità, il Commissario straordinario si era rivolto al Procuratore di Roma alla ricerca di conferme. Dopo nove giorni arrivò l’istanza di archiviazione, mentre per Benotti fu chiesto l’arresto: «Cerca altri affari». Da quel giorno cala il silenzio intorno al Mister mascherine-monoposti-primule di Giuseppi. Fino a ieri.
Il 4 dicembre 2020 abbiamo scritto sull’inchiesta della Procura di Roma sulle commissioni per 72 milioni di euro per l’acquisto di 801 milioni di mascherine dalla Cina e che anche la Chaouqui figurava tra i quattro indagati [QUI].
«Sono sbalordita, è tutto pazzesco. E un errore. Io curo la comunicazione e sono pagata per una attività lecita e alla luce del sole. Delle mascherine non so nulla. I pm mi convochino subito, chiarirò tutto: è un trauma», dichiarò Francesca Immacolata Chaouqui. Non si spiegava di essere finita nell’inchiesta della Procura di Roma su alcune maxicommesse da 72 milioni di euro per l’acquisto di 801 milioni di mascherine dalla Cina durante la prima ondata della pandemia. I reati ipotizzati, a seconda delle posizioni, erano di traffico di influenze illecite e ricettazione. «Sono sbalordita – diceva all’Adnkronos -. Io sono un fornitore di servizi per queste società. Nel senso che ne ho curato l’immagine: trovo il tutto surreale. Col mio avvocato stiamo compulsando gli uffici della Procura per farmi ascoltare subito dagli inquirenti, è pazzesco. Io non so nulla della vicenda delle mascherine, ho un contratto di fornitura di pubbliche relazioni, di ufficio stampa e messa in onda nel canale YouTube “Un democristiano in borghese” [il libro di Mario Benotti] e niente altro. Io delle mascherine lo ho appreso dai giornali, curo solo l’ufficio stampa di questa società. Sono sconcertata dall’errore fatto». La notizia dell’inchiesta era piovuta sulla Chaouqui come un fulmine a ciel sereno: «Io non c’entro nulla, io sono un’agenzia di pubbliche relazioni. Non ho idea, non so come sia possibile. Essere coinvolta in questa vicenda con persone che io non ho mai sentito nominare è surreale. Sono convinta che appena i pm mi ascolteranno si chiarisce tutto ma ora è un trauma assoluto perché in questi giorni io seguivo queste società solo come ufficio stampa». La pierre-lobbista calabrese rifletteva poi sul reato contestato: «Mi si contesta la ricettazione, cioè avere preso soldi da proventi illeciti ma io come potevo sapere che sono illeciti posto che lo siano? Io sono una persona per bene, anche i finanzieri si sono resi conto della attività che svolgo, alla luce del sole». Chaouqui aveva chiesto di essere sentita subito dagli inquirenti: «I pm sono persone serie, io devo chiarire immediatamente. Già stasera se mi ricevono, vado. Gestiamo social, l’ufficio stampa, “Il democristiano in borghese”, la parte di pubbliche relazioni in modo legale e sotto la luce del sole. Io sono stata pagata per attività lecita. Inoltre tutta la mia azienda interviene a fatti già compiuti. Non si spiega perché come società di comunicazioni ora ci troviamo così».
Poi, il 7 dicembre 2020 abbiamo riportato un’ulteriore notizia: La GdF di Roma avrebbe trovato timbri e documenti del Vaticano e della Santa Sede in casa della pierre-lobbista Chaouqui. Il resoconto di TgCom24… Gutta cavat lapidem non vi sed saepe cadendo [QUI].
Secondo TgCom24 [QUI], la Guardia di finanza di Roma avrebbe rinvenuto in casa della Chaouqui materiale di proprietà della Santa Sede e la donna sarebbe indagata per ricettazione. Secondo le informazioni riportate da TgCom24, documenti del Vaticano su Papa Francesco, sull’Amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica (APSA), ovvero la Banca Centrale dello Stato della Città del Vaticana, faldoni sul caso 60A (l’acquisto dalla Segreteria di Stato di Sua Santità del palazzo al numero 60 di Sloane Avenue a Londra, al centro dell’inchiesta finanziaria che ha portato al processo attualmente in gran parte arrenato [QUI]). E poi timbri con gli stemmi della Santa Sede, sigilli pontifici e pergamene pregiate con in filigrana la parola “Secretum”, utilizzate generalmente dalla Segreteria di Stato o dalla Congregazione per la Dottrina della Fede. È quanto avrebbero trovato – secondo TgCom24 – gli uomini del Nucleo Valutario della Guardia di Finanza di Roma, dopo una perquisizione negli uffici e nell’abitazione di Francesca Immacolata Chaouqui, la trentanovenne calabrese che sarebbe stata indagata per ricettazione nell’inchiesta della Procura di Roma sulle maxi commesse dalla Cina.
Anche il quotidiano La Verità aveva riferito, che la Guardia di finanza aveva compiuto delle perquisizioni, oltre che nell’abitazione di Mario Benotti, indagato nell’inchiesta e legato alla Chaouqui, anche in casa e nella sede dell’agenzia di comunicazione, la View Point Strategy srl (azienda fondata nel 2016 dalla Chaouqui insieme al marito Corrado Lanino). Le Fiamme gialle non avrebbero trovato documenti riguardanti società cinesi, ma, in compenso, numerose carte vaticane, sigilli e timbri della Santa Sede, distinte, bilanci, lettere, un quaderno di appunti con versi di poesie ripetuti centinaia di volte e che contenevano, attraverso la sequenza di Fibonacci, un codice per aprire uno scrigno, antiche copie della Divina Commedia e altri documenti finanziari risalenti anche all’epoca in cui la Chaouqui era membro della COSEA, la Pontificia commissione referente di studio e di indirizzo sull’organizzazione della struttura economico-amministrativa, che venne istituita il 18 luglio 2013 da Papa Francesco con lo scopo di raccogliere informazioni in vista della riforma finanziaria.
“La Papessa” finì al centro dello scandalo Vatileaks 2 e fu condannata dal Tribunale dello Stato della Città del Vaticano il 7 luglio 2016 a 10 mesi di carcere (pena sospesa per 5 anni) per concorso con Monsignor Lucio Angel Vallejo Balda nella diffusione di documenti riservati del Vaticano.
Una notizia, quella delle carte vaticane, dei timbri e delle pergamene ritrovate, parrebbe, in possesso della Chaouqui, che ha colto di sorpresa numerose personalità in Vaticano, anche perché nel 2018 la donna aveva annunciato di aver dato mandato al notaio Pasquale Landi di restituire al Vaticano tutti i dossier che in più occasioni aveva detto di custodire in casa o in un caveau.
A quanto pare – ha scritto TgCom24 -, però, altre copie di quei documenti, insieme a materiale ad uso esclusivo della Santa Sede, sarebbe rimasto in possesso della donna dai tempi del suo incarico in Vaticano, nonostante il Regolamento Generale della Curia Romana, in vigore dal 1999, vieti esplicitamente al personale in servizio di “asportare documenti originali, fotocopie, copie elettroniche o altro materiale d’archivio e di lavoro riguardante l’Ufficio e tenere fuori dall’ufficio note o appunti privati circa le questioni che si trattano nei Dicasteri”.
Rimane comunque il dubbio – osservava TgCom24 -, in particolare per i timbri, sulla loro eventuale autenticità: Chaouqui nel 2016 era stata condannata per falso, tentata truffa e truffa aggravata, pena patteggiata ad otto mesi, per aver utilizzato fino al 2014 il pass di una zia disabile morta nel 2008 con l’obiettivo di attraversare con l’auto la Ztl nel centro storico di Roma. Le indagini evidenziarono che vennero utilizzati anche dei timbri falsificati per rendere credibili i rinnovi dei documenti della zia defunta.
Sulla questione è tornata oggi la vaticanista Maria Antonietta Calabrò, in occasione della notizia che Domenico Arcuri è indagato per peculato e abuso d’ufficio nell’ambito dell’indagine sulle maxi forniture dalla Cina, con un articolo per L’Huffington Post [QUI]: «Anche un filone vaticano nell’inchiesta sulle “mascherine di Arcuri”? Il mediatore Benotti vicino alla Segreteria di Stato vaticana. Le indiscrezioni di un contratto con il Governatorato».
La Calabrò scrive su Huffpost, che «da sabato 16 ottobre, nel maxi-scandalo delle mascherine comprate dallo Stato italiano nella primavera del 2020 è entrato ufficiosamente anche il Vaticano».
Il 16 ottobre 2021 è il giorno in cui Arcuri è stato interrogato dai pubblici ministeri, nell’ambito dell’istruttoria della Procura di Roma. Parlando dell’intermediario, il giornalista Rai in aspettativa Mario Benotti, nel suo interrogatorio Arcuri ha detto di averlo conosciuto come “professore” quando collaborava con l’ex ministro delle Infrastrutture Graziano Delrio, che gli era stato indicato come “particolarmente vicino alla Segreteria di Stato”. “Era uno dei tanti che popolano gli interstizi del potere politico-economico italiano, un po’ Ministero e un po’ Vaticano”.
Nella sua biografia, Mario Benotti [QUI] (che è tutto un programma) non ne fa un mistero e dopo l’elenco delle sue (vaste) attività in ambito politico e ministeriale, si legge: «Collaboratore per la Politica Internazionale nelle Missioni Pontificie. Per Radio Vaticano accreditato al seguito del Santo Padre Giovanni Paolo II e ne segue i viaggi apostolici, seguendo in maniera particolare i risvolti di politica internazionale nelle missioni pontificie. Collaboratore dell’Ufficio per le Comunicazioni Sociali del Vicariato di Roma, del quotidiano Avvenire, Radio Vaticana, Il Tempo e delle pagine di cronaca di Roma del Corriere della Sera».
La Calabrò scrive al riguardo dell’interrogatorio di Arcuri: «Il 21 marzo 2020 Benotti parla ad Arcuri della fornitura all’Italia e Arcuri risponde di inviare una proposta alla struttura: “Da quel momento Benotti e i suoi collaboratori interagiscono con le persone della struttura, e iniziano una trattativa del cui sviluppo io non so nulla”. Ma, nella ricostruzione fatta da Arcuri nel suo interrogatorio, Benotti avrebbe continuato a cercarlo con insistenza anche dopo; fra l’altro per portarlo in Vaticano, più precisamente alla cosiddetta Terza Loggia, la Segreteria di Stato. (…) Ma non si sa poi cosa sia effettivamente accaduto. Benotti potrebbe anche aver intermediato una fornitura di mascherine (che secondo quanto accertato dalla magistratura italiana che ne ha disposto il sequestro, non solo sono inefficaci per proteggere dal Covid-19, ma addirittura “pericolose per la salute”) per il Vaticano, stipulando un contratto con il Governatorato».
Il Direttore della Sala Stampa della Santa Sede, Matteo Bruni «non ha risposto a una specifica domanda di Huffpost al riguardo e cioè se effettivamente questo contratto esista, se le mascherine eventualmente fornite siano ancora nella disponibilità del Vaticano e, se sì, se saranno sequestrate per impedire danni alla salute, come ha fatto la Procura di Roma», aggiunge la Calabrò, che poi continua: «Benotti aveva affidato le pubbliche relazioni per il suo libro “Un democristiano in borghese“ alla pr Francesca Immacolata Chaouqui (condannata in Vaticano per il cosiddetto Vatileaks 2) che all’inizio di dicembre del 2020 aveva subito una perquisizione da parte della Gdf italiana nell’ambito dell’inchiesta sulle mascherine per cui è stato interrogato Arcuri, perché pagata da Benotti, ma dichiarò allora la donna, “per un’attività professionale del tutto lecita“. Nel corso della perquisizione sarebbe stata sequestrata documentazione riguardante l’attività precedente della Chaouqui, come commissario della Cosea vaticana, la Commissione d’ inchiesta sulle finanze di Oltretevere».
Quanto viene ricordato sull’Huffington Post (giornale online di proprietà del gruppo GEDI) dalla sempre attenta e acuta Maria Antonietta Calabrò, è quello che hanno scritto a suo tempo, con i dettagli del caso, TgCom24 (sito di Mediaset) e La Verità (quotidiano indipendente a diffusione nazionale diretto da Maurizio Belpietro, che nel 2019 detiene più del 58% della proprietà, La Verità Srl), come abbiamo riferito pocanzi. Finché sappiamo, da allora nessuno ha fatto nulla a tal proposito. La domanda quindi è: la Segreteria di Stato si è mossa in riferimento ai gravissimi fatti; l’Ufficio del promotore di giustizia dello Stato della Città del Vaticano ha aperto un’indagine penale e con una rogatoria ha chiesto gli atti all’Italia? Se sì, con quale esito? Se no, perché no? Finché non arrivano le risposte a queste domande, il quadro nella foto di copertina rimane vuoto (perché non è bianco, come si potrebbe pensare, vedendo, ma non guardando e non osservando).