In memoria di un uomo buono: il musicista Alberico Vitalini

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Gli anni passano inesorabili per tutti, anche gli anni che ci separano dalla scomparsa di una persona cara, di una persona che si e’ incontrata durante la nostra vita e che ora non e’ piu’ con noi. Quando si parla di chi non è più tra noi, c’è il sempre il rischio di scadere nella retorica più sdolcinata. Ma non sarà retorica, credetemi, quello che sto per dire: Alberico Vitalini scomparso a Roma, il 9 dicembre 2006, all’età di 85 anni, era veramente un musicista di tutto rispetto, una persona con una seria preparazione tecnica alle spalle, un artista che aveva avuto la gioia di una carriera lunga e feconda al servizio della musica e della Liturgia; ma era soprattutto e prima di tutto, una persona profondamente buona.

Se non lo avete conosciuto, non mi accusate di retorica a priori: chiunque lo avesse incontrato rimaneva affascinato dal suo tratto umano cordiale, dalla sua gentilezza, dalla sua umiltà a prova di “genio e sregolatezza”. Già, in un mondo di artisti sregolati (e di sregolati che si credono artisti) a lui era stato risparmiato il lato caratteriale burrascoso, geloso di tutto e di tutti, egocentrico. Questo fardello non gli apparteneva.

Lui era veramente un uomo buono.

Ricordo quando ci siamo conosciuti: aveva quasi 50 anni più di me, ma mi rispettava e considerava come se fossi un suo collega affermato, quando non ero che un giovane musicista che si affacciava alla professione per la prima volta. Lui sì che avrebbe avuto diritto ad essere conosciuto e rispettato in altro modo nell’ambiente musicale e ecclesiastico: per il suo servizio di tanti anni alla Radio Vaticana, in cui era stato responsabile dei programmi musicali e per la quale aveva prodotto tanti canti per i programmi liturgici (tra i suoi canti più famosi, ricordiamo “A te, nostro Padre”); per la sua attività di compositore di musica sinfonico-corale più volte eseguita nei principali teatri italiani ed esteri (“Magnificat”, “Davide Re”, “Il mistero del corporale” ed altro ancora); per la sua attività di direttore di orchestra. Lui invece, ci teneva sempre ad occupare l’ultimo posto, a non farsi notare né applaudire, a non mettere troppo sé stesso al centro dell’attenzione. Ricordo di suoi pezzi che  gli feci pubblicare su una rivista. Tra le altre cose di lui era stata pubblicata un “Ave Maria”, la stessa eseguita poi all’offertorio per il suo funerale nella chiesa romana di Santa Maria in Traspontina.  Io ero all’organo.

Questo bravo Maestro era un laico, un musicista di Chiesa laico, come tanti altri nella tradizione liturgica e musicale cattolica. Era un cattolico devoto e sincero: quando nei Vespri di San Pietro e Paolo, nella Basilica di San Pietro in Vaticano, venne eseguito un suo brano (“Oremus pro Pontifice”), gli telefonai per farglielo sapere: lui, come sempre, mi aveva risposto con quella gioia spontanea di chi coglie le buone cose come un dono di Dio, e non come qualcosa che è dovuto alla sua “grandezza”.  Non posso veramente dimenticare, anche dopo anni, la gentilezza con cui mi accoglieva ogni volta che lo visitavo o il tono che aveva quando potevo parlarci al telefono. Non mi faceva mai sentire inopportuno.

Vorrei che fosse ricordato così: come un uomo buono che vivrà ancora con noi attraverso la sua musica; vorrei che quando capiterà di pensare a lui ci fosse il lieto ricordo di qualcuno che, seppur benedetto da Dio con ricchi doni artistici e umani, non ha mai trovato disdicevole condividere con gli altri compagni in umanità, importanti o meno, il dono del suo sorriso e la grazia di una vita lunga e operosa. Era anche un modello di bontà e gentilezza; che Dio lo tenga accanto a se e che possa da lì, intercedere per tutti noi.

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