Il Papa chiede ai movimenti ecclesiali di testimoniare Gesù
“Volete vivere e morire in questa fede?” Al termine della professione del Credo, Papa Francesco inserisce, a braccio, questa formula, rivolta ai 250 mila esponenti di movimenti ecclesiali che hanno affollato piazza San Pietro e via della Conciliazione nella veglia di Pentecoste. A loro aveva detto prima – “fraternamente” – che più che acclamare Papa Francesco, dovevano acclamare Gesù. E così, dopo il sì, tutti urlano il nome di Gesù, davanti allo sguardo compiaciuto di Papa Francesco. Il quale, in una lunga conversazione a braccio con la folla, ha sottolineato anche sottolinea come “oggi ci sono più martiri che nei primi secoli del cristianesimo” . E denuncia che “la mancanza di etica nella vita pubblica fa tanto male all’umanità intera”.
Il Papa entra in piazza San Pietro dall’Arco delle Campane intorno alle 18. Sulla piazza, si erano già alternate testimonianze di membri dei movimenti, storie di vita, modi di vivere il Vangelo. Francesco percorre sulla jeep scoperta tutta la piazza, e poi fende via della Conciliazione, salutando quante più persone può.
Comincia l’incontro. Rino Fisichella, presidente del Pontificio Consiglio per la Nuova Evangelizzazione, presenta i movimenti, i quali “con entusiasmo pazienza e coraggio avvicinano quanti sono più lontani e spesso ricevono la parola del Vangelo per la prima volta”. Poi è la volta di John Waters, ex rocker e compagno di Sinead Connor, che ha poi vissuto una conversione da lui raccontata nel libro Elapsed Agnostic (Agnostico Apostotata) e che ha già avuto modo di raccontare la sua conversione sulle colonne dell’Osservatore Romano. Una conversione che Waters spiega così: “Ho indagato su di me e sul mio posto nel mondo, quelli erano stati i momenti della mia vita nei quali il mio essere era stato profondamente in armonia con la mia natura e la mia struttura. Una scoperta stupefacente, per molti aspetti uno scandalo, ma potevo ancora dire la parola Cristo come qualcosa di vero riguardo a me”. Poi parla Paul Bhatti, il fratello di Shahbaz, ministro pakistano delle minoranze religiose ucciso per la sua opposizione alla legge della blasfemia. “La Bibbia su cui mio fratello pregava – dice – è una reliquia, ed è custodita nella Chiesa di San Bartolomeo, la chiesa dei martiri di oggi”.
Quindi, le domande al Papa. Come ha potuto raggiungere con certezza la fede? Come comunicare la fede? In che modo l’uomo sofferente è una domanda per la nostra fede? Quale contributo possiamo dare alla Chiesa e alla società per affrontare questa grave crisi che tocca l’etica pubblica? Come possiamo aiutare i nostri fratelli?
Papa Francesco sorride. Fa vedere dei fogli di carta. “Io conoscevo già le vostre domande. Prima di tutto la verità”. E poi risponde ad ogni tema. Racconta di aver “avuto la grazia di vivere in una famiglia in cui si viveva la fede in maniera semplice e concreta”, e che è stata la nonna a spiegargli la fede, e un giorno di Venerdì Santo, mostrandogli il Cristo deposto, gli ha detto: “Ora è morto, ma tra tre giorni risorge”. “Ho avuto lì il mio annuncio di Resurrezione”, dice. Quindi, Papa Francesco ricorda un giorno preciso: 21 settembre del 1953, quando, a 17 anni, mentre va a scuola entra in Chiesa e sente il bisogno di confessarsi. “Ho trovato che qualcuno mi aspettava, non so cosa è successo, non ricordo, perché c’era là quel prete che non conoscevo. Dopo questo incontro ero convinto che dovevo diventare sacerdote”. Dice in spagnolo: “Il Signore sempre ci primarea”, “il Signore sempre ci precede”, sempre ci aspetta.
Come evangelizzare? “Dirò tre parole. La prima è Gesù. Gesù è la cosa più importante. Se noi andiamo avanti con l’organizzazione, senza Gesù, non va. Gesù è più importante. Ma adesso io vorrei fare un piccolo rimprovero, ma fraternamente tra noi: tutti voi avete gridato nella piazza Francesco, ma Gesù dove era? Io avrei voluto che voi gridaste Gesù è il Signore, proprio in mezzo di noi. Da qui in più, niente Francesco. Gesù!”.
La seconda parola è la preghiera, “guardare il volto di Dio, ma soprattutto sentirsi guardati. Sento tanto conforto quando penso che lui mi guarda. Più importante dei calcoli, per essere veri evangelizzatori dobbiamo lasciarci guidare da lui. “Pietro forse – racconta – stava facendo la siesta dopo pranzo e ha avuto quella visione della tavola con tutti gli animali, Gesù qualcosa gli diceva ma non capiva. In quel momento sono venuti alcuni non Ebrei per chiamarlo per andare in una casa e ha visto come lo Spirito Santo era laggiù. Pietro si è lasciato guidare per arrivare alla prima evangelizzazione ai Gentili, e così è tutta la storia”.
La terza parola è la testimonianza, perché “la comunicazione della fede soltanto si può fare con la testimonianza e quello è l’amore. Ma non con le nostre idee, col Vangelo che si vive nella propria vita e che lo spirito Santo fa vivere dentro. È come una sinergia fra noi e lo Spirito Santo. Ma la Chiesa lo portano avanti i santi, che sono quelli che danno questa testimonianza. Giovanni Paolo II e anche Benedetto XVI hanno detto che il mondo di oggi ha tanto bisogno dei testimoni. Non tanto di maestri, ma di testimoni. Non parlare tanto, ma parlare con tutta la vita, con la coerenza propria di vita”.
E’ da qui che il Papa parte per spiegare come affrontare questa grave crisi che tocca l’etica (“e questo è importante”, sottolinea, rileggendo la domanda). “La Chiesa – dice il Papa- non è un movimento politico, né una struttura ben organizzata. Noi non siamo una ONG, e quando la Chiesa diventa una ONG perde il sale, non ha sapore, è soltanto una vuota organizzazione. Siate furbi, perché il diavolo ci inganna. C’è il pericolo dell’efficientismo: una cosa è predicare Gesù, un’altra cosa è l’efficacia. La Chiesa è chiamata a rendere presente nella società il lievito del regno di Dio e lo fa con la sua testimonianza. Si pensa a un’efficacia soltanto mondana”. Mette in guardia dalle menzogne, il Papa, perché “non è una crisi solo economica, culturale. È una crisi dell’uomo, è quello che può diventare distrutto è l’uomo. Ma l’uomo è immagine di Dio. In questo momento di crisi non possiamo preoccuparci di noi soli, non possiamo chiuderci nella solitudine, nello scoraggiamento, nel senso di impotenza. Quando la Chiesa diventa chiusa si ammala”.
E dunque – dice Francesco – “dobbiamo andare verso le periferie esistenziali. Ma, direte, se uno va fuori da se stesso, può succedere un incidente. Preferisco una Chiesa incidentata che una Chiesa malata perché chiusa. Quante volte Gesù bussa alla porta per uscire fuori e noi non lo lasciamo uscire per le nostre sicurezza perché siamo chiusi in strutture caduche che servono per farci schiavi e non liberi figli di Dio?”
Si chiede, il Papa, perché “se gli investimenti nelle banche calano un po’ ci si preoccupa, ma se le persone non hanno da mangiare non succede niente. La testimonianza di una Chiesa povera per i poveri va contro questa mentalità”.
“Dobbiamo fare della nostra fede – dice il Papa – una cultura dell’incontro, dell’amicizia, dove troviamo fratelli e possiamo parlare con quelli che non la pensano come noi, che hanno un’altra fede. Ma tutti hanno qualcosa in comune: sono immagine di Dio, sono figli di Dio. Dobbiamo fare incontro con tutti, senza negoziare la nostra appartenenza. Questo è importante con i poveri. Se usciamo da noi stessi troviamo la povertà”.
Aggiunge il Papa: “Oggi, e questo fa male al cuore dirlo, trovare un barbone morto di freddo non è notizia. Oggi è notizia forse uno scandalo, quello è notizia. Oggi pensare che tanti bambini non hanno da mangiare non è notizia. Questo è grave, noi non possiamo restare tranquilli. Le cose sono così. Non possiamo diventare cristiani inamidati che parlano di cose teologiche che prendono il tè tranquilli. Dobbiamo andare a cercare quelli che sono la carne di Cristo”.
Perché “se noi andiamo verso la carne di Cristo cominciamo a capire cosa sia questa povertà del Signore, e quello non è facile. Ma anche c’è un problema: che la mondanità spirituale non fa bene ai cristiani, che ci porta ad una sufficienza a vivere lo spirito del mondo e non quello di Gesù”. Andare verso il povero è la risposta ad una “crisi che spoglia l’uomo dell’etica. E nella vita pubblica, nella politica non c’è etica. La mancanza di etica nella vita pubblica fa tanto male all’umanità intera.
E allora chiede Francesco di andare nelle periferie, di toccare la carne dei poveri. “Quando confessavo nella mia diocesi precedente chiedevo sempre. ‘Fai l’elemosina?’ Mi rispondevano di sì. Allora facevo un’altra domanda: guardi negli occhi la persona cui fai l’elemosina? E poi: tocchi la persona cui fai l’elemosina?”
In fondo, ci sono piccoli martiri ogni giorno, cristiani emarginati che sopportano anche “conflitti religiosi in cui la religione è solo una scusa”, e sopportano, e soffrono perché “un cristiano deve vincere il male con il bene”.
Questi martiri sono i poveri di oggi, che fanno l’esperienza del limite tra la vita e la morte. Dice il Papa: “Cerchiamo di far sentire loro, a fratelli e sorelle, che siamo uniti. Siamo cristiani che sono entrati in pazienza. Farlo sapere a loro, ma anche farlo sapere al Signore. Io riporto la domanda: pregate per questi fratelli e queste sorelle. Voi pregate per loro? Nella preghiera di tutti i giorni?Anche a noi questa esperienza ci deve portare a promuovere la libertà religiosa per tutti”.
E, prima del Credo, conclude arringando la folla: “Niente di una Chiesa chiusa. Una Chiesa che va fuori verso le periferie dell’esistenza. Che il Signore ci guidi laggiù”.