Il Papa: come testimoniamo la nostra fedeltà a Cristo?

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“Come io sono fedele a Cristo? Sono capace di “far vedere” la mia fede con rispetto, ma anche con coraggio? Sono attento agli altri, mi accorgo di chi è nel bisogno, vedo in tutti fratelli e sorelle da amare?” Papa Francesco fa queste domande a tutti i cristiani del mondo nella omelia della messa delle sue prime canonizzazioni. Due sante latino americane Madre Laura Montoya e Madre María Guadalupe García Zavala, e i 500 Martiri di Otranto Una vicenda storica che se pur lontana nel tempo a molto in comune con i tempi che viviamo nei quali la libertà religiosa è messa in pericolo in molte parti del mondo. “Dopo la conquista di Costantinopoli nel 1453- spiega il cardinale Angelo Amato Prefetto della Congregazione per le cause dei santi all’ Osservatore romano- l’impero ottomano mirava all’espansione nell’Italia meridionale. Per questo, il 28 luglio 1480, una flotta di circa 140 navi con 15.000 uomini apparve al largo della città di Otranto, che allora contava non più di 6.000 abitanti. Il disegno era quello di cominciare dall’estrema punta della penisola salentina per conquistare l’Italia meridionale. In quel momento la difesa della città era sguarnita, perché il presidio aragonese era impegnato militarmente in Toscana. Alla richiesta di resa, gli idruntini rifiutarono decisamente. La città fu bombardata fino al 12 agosto, quando fu conquistata dagli ottomani, che la saccheggiarono e profanarono la cattedrale, uccidendo l’arcivescovo Stefano, i canonici e tutti i sacerdoti e i fedeli che si erano rifugiati in essa. Il giorno dopo il comandante della flotta Gedik Achmed Pascià, cristiano di origini albanesi convertitosi all’islam, ordinò che tutti gli uomini superstiti — circa ottocento dai quindici anni in su — fossero condotti presso l’accampamento turco e costretti a rinnegare la loro fede. Di fronte a questa ingiunzione, la loro riposta fu immediata e decisa. La espresse, a nome di tutti, il laico Antonio Primaldo, un umile artigiano, che disse: «Noi crediamo in Gesù Cristo Figlio di Dio, nel quale siamo salvati. Preferiamo mille volte morire che rinnegarlo e farci musulmani».

Fu lui a incoraggiare ognuno a perseverare nella fede. Davanti a questo rifiuto, Gedik Achmed Pascià ordinò l’immediata esecuzione capitale di tutti gli ottocento idruntini. Furono decapitati e il loro corpo successivamente straziato. Per circa un anno i cadaveri giacquero insepolti sul luogo del supplizio, il colle chiamato poi dei martiri, fino a quando non vennero ritrovati nel maggio del 1481 dalle truppe aragonesi tornate per liberare Otranto dagli ottomani. Immediatamente il popolo li considerò martiri della fede e cominciò a venerarli e a invocarli. I resti mortali furono collocati nella vicina chiesa al fonte della Minerva e poi trasferiti in cattedrale. Alcuni di questi corpi furono, per volere di Alfonso d’Aragona, trasportati a Napoli.”

E prosegue il cardinale Amato: “La vicenda è singolare da un punto di vista storico, perché contribuì ad arrestare l’espansione musulmana in Europa, prima ancora di Lepanto, nel 1571, e prima ancora dell’assedio di Vienna, nel 1683. Da un punto di vista religioso poi, il comportamento di questi 800 uomini è un esempio straordinario di fortezza cristiana, di difesa della propria identità battesimale. Ed è anche un grido di libertà di coscienza, profondamente umiliata dalla negazione dei fondamentali diritti umani. Non si può obbligare a convertirsi. Il cristianesimo ha sempre vissuto in questa libertà.” “Dove trovarono la forza per rimanere fedeli?- ha detto Papa Francesco nella omelia di oggi- Proprio nella fede, che fa vedere oltre i limiti del nostro sguardo umano, oltre il confine della vita terrena, fa contemplare «i cieli aperti» – come dice santo Stefano – e il Cristo vivo alla destra del Padre. Cari amici, conserviamo la fede che abbiamo ricevuto, rinnoviamo la nostra fedeltà al Signore, anche in mezzo agli ostacoli e alle incomprensioni; Dio non ci farà mai mancare forza e serenità. Mentre veneriamo i Martiri di Otranto, chiediamo a Dio che sostenga tanti cristiani che ancora soffrono violenze e dia loro il coraggio della fedeltà e di rispondere al male col bene.”

Interessanti le vite e le opere di Laura Montoya “strumento di evangelizzazione prima come insegnante e poi come madre spirituale degli indigeni, ai quali infuse speranza, accogliendoli con l’amore appreso da Dio e portandoli a Lui con una efficacia pedagogica che rispettava la loro cultura e non si contrapponeva ad essa.” Una santa che “ci insegna ad essere generosi con Dio, a non vivere la fede da soli – come se fosse possibile vivere la fede in modo isolato -, ma a comunicarla, a portare la gioia del Vangelo con la parola e la testimonianza di vita in ogni ambiente in cui ci trovaimo. Ci insegna a vedere il volto di Gesù riflesso nell’altro, a vincere indifferenza e individualismo, accogliendo tutti senza pregiudizi né costrizioni, con amore, donando loro il meglio di noi stessi e soprattutto condividendo con loro ciò che abbiamo di più prezioso: Cristo e il suo Vangelo.”

Di María Guadalupe García Zavala, conosciuta e amata come Madre Lupita, il Papa ha ricordato la rinuncia ad “una vita comoda per seguire la chiamata di Gesù, insegnava ad amare la povertà, per poter amare di più i poveri e gli infermi. Madre Lupita si inginocchiava sul pavimento dell’Ospedale davanti agli ammalati e agli abbandonati per servirli con tenerezza e compassione. Anche oggi le sue figlie spirituali cercano di riflettere l’amore di Dio nelle opere di carità, senza risparmiare sacrifici e affrontando con mitezza, con perseveranza apostolica (hypomonē) e con coraggio qualunque ostacolo. Questa nuova Santa messicana ci invita ad amare come Gesù ci ha amato, e questo comporta non chiudersi in se stessi, nei propri problemi, nelle proprie idee, nei propri interessi, ma uscire e andare incontro a chi ha bisogno di attenzione, di comprensione, di aiuto, per portagli la calorosa vicinanza dell’amore di Dio, attraverso gesti di delicatezza e di affetto sincero.”

Il Papa aggiungendo a braccio in spagnolo alcuni pensieri ha voluto ricordare che “la vita comoda” porta a dimenticare Dio e i fratelli e che non dobbiamo “avere paura di toccare la carne di Cristo ” nei fratelli poveri e bisognosi.

Il rito della canonizzazione, solenne ed articolato, con le invocazioni ai santi e allo Spirito Santi, ha visto come sempre la lettura delle vite dei nuovi santi e la esposizione dei reliquiari sul sagrato a fianco all’altare.

Al termine della celebrazione il Papa ha ricordato la beatificazione di Luigi Novarese, fondatore del Centro volontari della Sofferenza e dei Silenziosi Operai della Croce. “Mi unisco al rendimento di grazie per questo prete esemplare, che ha saputo rinnovare la pastorale dei malati rendendoli soggetti attivi nella Chiesa.” Un saluto anche ai partecipanti della “Marcia per la vita” e alla iniziativa europea di raccolta di firme che oggi si tiene in molte parrocchie italiane “Uno di noi” “per garantire protezione giuridica all’embrione, tutelando ogni essere umano sin dal primo istante della sua esistenza. Un momento particolare per coloro che hanno a cuore la difesa della sacralità della vita umana sarà la “Giornata dell’Evangelium Vitae”, che avrà luogo qui in Vaticano, nel contesto dell’Anno della fede, il 15 e 16 giugno prossimo.”

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