Libertà di pensiero – un diritto protetto dalla Costituzione – Ddl Zan la “concede” anche ai non LGBTQI+, “purché” non rifiutano la propaganda dell’ideologia gender, che impone per legge
Condividiamo un articolo a firma di Marcello Palmieri da Avvenire, presentando l’analisi del testo Zan da parte dei giuristi Maria Pia Baccari (Professore di Diritto Romano, LUMSA), Roberto Zannotti (Professore di Diritto Penale, LUMSA), Giovanni Doria (Professore di Diretto Privato, Tor Vergata), Mario Esposito (Professore di Diritto Costituzionale, Salento) e Alfredo Mantovano (Consigliere di Cassazione), che in un convegno alla LUMSA di Roma hanno “vivisezionato” il Ddl Zan e evidenziato le sue numerose incongruenze giuridiche. Riteniamo che questi illustri accademici hanno da imparare niente dal piddino, e meno ancora dal suo compare rapper social dipendente e dalla loro lobby LGBTQI+, incluso ideologia gender, mire liberticide con il sistema della censura e il carcere, e rieducazione tipo laogai con una pedagogia della repressione delle idee.
Il testo. L’analisi dei giuristi: «Così com’è, il ddl Zan è solo propaganda»
di Marcello Palmieri
Avvenire, 10 luglio 2021
«Ha senso utilizzare il diritto penale come strumento di promozione di nuovi diritti?». È stato Roberto Zannotti, penalista dell’Università Lumsa di Roma, ad aprire con questo interrogativo il convegno giuridico online organizzato venerdì dall’ateneo cattolico. Sotto i riflettori il ddl Zan. Ad accenderli quattro giuristi, moderati da Maria Pia Baccari, professore di Diritto romano. Ormai lo si sa: il disegno di legge Zan vuole essere una norma penale, che prevede anche pene detentive. Ma, secondo Zannotti, quando una nuova norma penale si fa promotrice dei “nuovi diritti” questi generalmente sono condivisi. Nel nostro caso, invece, non solo la materia ma anche «le definizioni non presentano unanimità di consensi». Basti pensare all’identità di genere, concetto tutt’altro che chiaro anche a livello sociologico. Ma non solo: «Quando la norma all’articolo 4 fa salve dalla punizione le “condotte legittime riconducibili al pluralismo delle idee”, precisando poi “purché non idonee a determinare il concreto pericolo del compimento di atti discriminatori o violenti, a cosa si sta riferendo?».
Sono considerazioni che fanno sorgere dubbi sul rispetto del principio della tassatività della norma penale, vale a dire che il fatto oggetto di punizione debba chiaramente essere delineato. Proprio su questo tema si è innestato Giovanni Doria, professore di Diritto privato all’Università Tor Vergata di Roma, secondo cui «c’è il pericolo che in via interpretativa si arrivi a una nozione di atto discriminatorio tale per cui chi vive una sessualità in modo diverso dal dato biologico debba vedersi garantite le stesse prerogative di chi esercita questo suo modo d’essere secondo quanto attribuitogli dalla natura».
Con queste parole Doria non vuole riferirsi solo a grandi temi sociali e antropologici, come il “matrimonio egualitario”, ma anche a situazioni di diverso profilo, come l’esistenza o meno del diritto di un uomo che si sente donna a essere annoverato tra le “quota rosa”. Ma «è ammissibile – si chiede Doria – che una persona che si rifiuti di accogliere questa richiesta rischi per ciò solo il carcere?». Da qui una considerazione di più ampio respiro: «Ho l’impressione che questa iniziativa legislativa, più che a un’esigenza di tutela, risponda a una necessità di propaganda politica, attuata per il tramite di un’iniziativa legislativa».
Il ddl “vivisezionato” durante il convegno della Lumsa pone qualche problema anche sotto il profilo del Diritto costituzionale. Mario Esposito, che lo insegna all’Università del Salento, ricorda come la nostra Carta fondamentale preveda «stretti limiti alla limitazione della libertà personale. E il primo criterio è l’aderenza alla natura delle cose». Aderenza in questo caso assente se, come già sottolineato da Doria, il testo normativo vuole prescindere dal dato biologico di ogni persona. Fatto sta che per Esposito la legge in fieri introdurrebbe una «pedagogia della repressione delle idee, un sistema di censura».
La cosiddetta “clausola salva idee”, quella che all’articolo 4 dichiara di voler far salve le idee legittime, sarebbe proprio la prova del fatto che il testo in esame qualche problema di censura lo pone. Ne è convinto Alfredo Mantovano, consigliere della Corte di Cassazione, che ritiene particolarmente grave anche il fatto che questa «libertà delle idee» sia stata precisata «in una legge ordinaria». Come a dire: la libertà di pensiero è un diritto protetto dalla Costituzione, fisiologicamente destinata a durare: inserirlo in una legge ordinaria, per sua natura modificabile con maggioranze parlamentari, potrebbe invece configurarsi come una pericolosa scalfittura della nostra Carta. Lancia poi una provocazione, Mantovano, commentando la possibilità – a beneficio di una persona condannata in forza del ddl – di evitare il carcere prestando un’attività a favore della collettività: «Vi immaginate un sacerdote sanzionato per “propaganda anti-gender” cui viene proposto di organizzare un gay pride? Sembra la legge dantesca del contrappasso».