Le Chiese Orientali cattoliche e il Concilio vaticano II, un cammino di unità ed ecumenismo
E fu determinante l’apporto dei Vescovi orientali ai due decreti fondamentali per l’Oriente cristiano: Orientalium Ecclesiarum e Unitatis redintengratio. “L’approvazione finale fu eclatante- ricorda Sandri- e mostra come lo Spirito Santo stesse preparando per la Chiesa intera la nuova “ora” dell’Oriente. Per Orientalium Ecclesiarum su 2149 votanti i placet furono 2110. Per Unitatis redintengratio su votanti 2148 i placet furono 2137.” Il passo successivo fu quello della creazione di un codice di diritto canonico specifico per le Chiese orientali che fu promulgato il 18 ottobre 1990, il Beato Giovanni Paolo II. Il Concilio permise il “riconoscimento dell’origine apostolica delle Chiese cattoliche orientali”. “Anche se la maggior parte di esse risale al secondo millennio- ha spiegato Sandri- data la rottura della comunione ecclesiale tra i Patriarchi orientali e la Sede romana avvenuta in vari periodi storici e non superata dalle numerose iniziative unioniste, le Chiese cattoliche orientali attingono alle fonti delle Chiese primitive e alla tradizione che viene dagli Apostoli e dai Padri.” Quindi Chiese in comunione piena con Roma. “Il Concilio – ha spiegato i cardinale- perciò è «preso da sollecitudine per le Chiese orientali, che di questa tradizione sono testimoni viventi, desiderando che esse fioriscano e assolvano con nuovo vigore apostolico la missione loro affidata». Non è un semplice auspicio sentimentale e commovente, bensì una deliberazione teologica e giuridica, che vincola sia la Santa Sede verso le Chiese orientali cattoliche, sia le Chiese orientali cattoliche stesse ad intra e ad extra.”
Questo significa, anche canonicamente, che Chiese orientali e Chiesa latina formano l’unica Chiesa cattolica “e perciò sono uguali in dignità e godono della parità di diritti e doveri.” Un principio che fino al Vaticano II non era facilmente compreso, perchè si lasciava intendere che sol il rito latino “fosse garante in pienezza della cattolicità della vera fede cattolica.” Ma con il Concilio si dichiara che “la Chiesa latina non è, nel Cattolicesimo, sinonimo di Chiesa universale, e che le sue stese leggi non sono le uniche della Chiesa universale. Esse non obbligano gli Orientali, come del resto il Codice orientale non obbliga i Latini, a meno che la Chiesa Latina non sia espressamente in essi menzionata.” Altro tema fondamentale è che l’identità ecclesiale e rituale accompagna gli Orientali Cattolici ovunque! E questo è anche il compito della Congregazione delle Chiese orientali. Nel 1996 è stata pubblicata un’Istruzione “per l’applicazione delle prescrizioni liturgiche del Codice dei Canoni delle Chiese Orientali onde assistere le Chiese Orientali nel compito di operare tale progresso “organico”, ossia rispettoso delle origini e del percorso compiuto nei secoli pur dialogando con i tempi nuovi nei termini tipici di un organismo vivente, quale venne percepita la Chiesa nel Concilio.” Insomma fedeltà alle origini, ai riti e possibilità per i cristiani di quei riti di avere assistenza in ogni parte del mondo.
Un tema affrontato nel sinodo per le Chiese orientali che trova eco nella Esortazione Apostolica di Benedetto XVI Ecclesia in Medio Oriente che riconosce una volta di più il diritto di vigilanza dei Patriarchi e degli Arcivescovi Maggiore ovunque nel mondo. “Il fenomeno dell’emigrazione e dell’istallazione fuori dal territorio tradizionale delle comunità ecclesiali orientali- spiega Sandri- pongono fortemente l’esigenza di un ampliamento progressivo della nozione di territorio canonico e della giurisdizione episcopale.” Fondamentale resta la missione ecumenica delle Chiese cattoliche orientali. Un ruolo che i Pontefici hanno sempre riconosciuto con gesti e documenti che hanno sempre sollecitato la piena comunione dell’ Oriente cristiano.
Il testo della conferenza è stato distribuito nel Bollettino della Sala Stampa della Santa Sede insieme al comunicato della visita che il Prefetto ha svolto lo scorso 8 aprile al Monastero Russo della Dormizione della Madre di Dio, in via della Pisana, a Roma in occasione dell’arrivo di alcune aspiranti alla vita monastica in questi mesi. “La comunità- si legge nel comunicato– che in passato si è sostenuta grazie alla scrittura di icone e alla realizzazione di paramenti per Vescovi e Sacerdoti, intende riavviare le attività dei laboratori. Anche per tal motivo, ma soprattutto per garantire adeguata accoglienza alle Monache, si stanno studiando alcuni interventi di manutenzione e sistemazione degli spazi interni ed esterni, sotto la responsabilità della Congregazione per le Chiese Orientali, alla cui giurisdizione appartiene l’ Uspenskij, che già usufruisce della presenza di un cappellano per le celebrazioni e il sostengo alla vita spirituale.”