Migrazioni: l’importanza del lavoro diplomatico della Santa Sede

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“Forse la Chiesa ancora non ha ben assorbito l’importanza dell’influenza sugli Stati da parte delle strutture internazionali o governative”. Silvano Maria Tomasi, osservatore permanente della Santa Sede presso le Nazioni Unite a Ginevra, parla a margine di un convegno sul fenomeno delle migrazioni nella Pontificia Università Lateranense. C’è bisogno, spiega, di ancora più consapevolezza dell’importanza del ruolo della Santa Sede all’interno dei tavoli diplomatici, spiega che c’è “un processo lungo” che porta dei documenti ad essere decisivi, ma alla fine “dipende dalla volontà condizionata dalla cultura internazionale per fare accettare e fare procedere queste conclusioni”. E la Santa Sede ha un ruolo importante proprio nel formare le coscienze. Anche e soprattutto sul fenomeno delle migrazioni.

Un fenomeno cui la Santa Sede da sempre guarda con attenzione. Tanto da aver deciso di entrare nell’Organizzazione Internazionale delle Migrazioni come Stato membro, portando con forza la sua esperienza in umanità.

È una delle tante iniziative che la Santa Sede mette in campo con il suo ombrello diplomatico. Basterebbe vedere il lavoro e la sollecitudine messe in campo nel difendere il diritto dei migranti per comprendere come la struttura diplomatica vaticana ha un peso e una rilevanza necessari per portare avanti la missione della Chiesa. Una missione che passa anche attraverso i negoziati internazionali, le clausole inserite per la “coscientizzazione” dei diritti umani, addirittura un documento ONU degli anni Ottanta in cui viene promosso lo “sviluppo umano integrale”, la protezione dei diritti umani e a promozione di questi, come delineato dalla Pacem in Terris cinquanta anni fa.

Sul campo delle migrazioni, Tomasi sostiene che si debba “favorire l’idea di un diritto internazionale capace di operare una riconciliazione”, dà particolare attenzione al fenomeno della tratta degli esseri umani, sottolinea che “parliamo, tra migranti, rifugiati, migranti interni, vittime della tratta, di più di un miliardo di persone! Quindi è un settore della pastorale della Chiesa che deve essere sostenuto e che l’azione e la sensibilità umana e cristiana del Santo Padre rafforzerà”.

Il Rapporto Mondiale del 2011 sulle Migrazioni dell’Organizzazione Mondiale per le Migrazioni (OIM) stima circa 214 milioni di migranti internazionali, cioè il 3% della popolazione mondiale – in aumento rispetto al 2005 (nonostante gli effetti della crisi mondiale), quando il calcolo raggiungeva i 191 milioni.

Cifre che fanno sottolineare a Tomasi come le migrazioni non possano “più essere valutate al di fuori di un contesto più ampio, di uno sviluppo mondiale unitario e socialmente sostenibile”, e per questo il ruolo della Chiesa fondamentale. “Molte comunità religiosa – dice Tomasi – e altre organizzazioni cattoliche si stanno impegnando continuamente a riscattare specialmente le donne e i bambini che sono oggetto della tratta delle persone. La sensibilizzazione dell’opinione pubblica che viene fatta continuamente dalla Chiesa aiuta i governi a provveere a delle misure che possono prevenire questo problema”.

Tomasi ripercorre tutti i documenti in cui la Chiesa ha parlato di migranti, sottolinea che il suo contributo è “quello di educare il popolo, i responsabili e le istanze della società in modo che l’opinione pubblica e il senso di responsabilità portino ad una convivenza pacifica e fraterna”.

E “in maniera parallela allo sviluppo dottrinale, la Chiesa ha creato un sistema di assistenza sociale e religiosa che è storicamente ben documentato specialmente per quanto riguarda il primo impatto dell’arrivo di nuovi immigrati in un Paese ospite”.

Il problema è comunque quello della governance, ovvero “un coordinamento” efficace tra le migrazioni. “Alla Conferenza del Cairo su Popolazione e Sviluppo del 1994 – racconta Tomasi – ho avuto l’occasione di negoziare i due capitoli del Programma di Azione sulle migrazioni internazionali e interne. Ma anche questo documento, approvato da 160 governo, non ebbe un seguito molto concreto per le migrazioni”.

Non si trova – spiega Tomasi – un “equilibrio tra sovranità nazionale e permeabilità delle frontiere”. Ad esempio, i Paesi membri dell’Unione Europea hanno “rinunciato ad una parte reale della loro sovranità per un coordinamento comune”, e questo “ha permesso il libero movimento delle persone all’interno dell’Unione, ma ha creato dei meccanismi di controllo ambigui per le frontiere esterne, delegando a governi non molto sensibili ai diritti umani la gestione di richieste di asilo e campi di detenzione”.

La governance internazionale sta crescendo, e anche la Santa Sede sta avendo una “sensibilità crescente per la struttura internazionale”. Anche se – dice Tomasi – forse ancora la Chiesa non “assorbe l’importanza della governance internazionale” eppure ci si dovrebbe dar conto che “l’influenza degli Stati da parte delle strutture internazionali e governative diventa sempre più decisiva, perché attraverso la rete degli uffici dei vari organismi internazionali nei vari Paesi, le decisioni che vengono prese a Vienna, New York, Ginevra vengono poi usate per trattare con gli Stati. Viene in pratica detto agli Stati che se vogliono essere in linea con gli standard internazionali, lo si deve essere solo basandosi su quei documenti. Persino gli aiuti finanziari sono legati all’accettazione di quei trattati che vengono conclusi a livello internazionale”.

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