Papa Francesco, il popolo ed il potere
“Voi sapete che il dovere del Conclave era di dare un Vescovo a Roma. Sembra che i miei fratelli Cardinali siano andati a prenderlo quasi alla fine del mondo … ma siamo qui … Vi ringrazio dell’accoglienza. La comunità diocesana di Roma ha il suo Vescovo: grazie! E prima di tutto, vorrei fare una preghiera per il nostro Vescovo emerito, Benedetto XVI. Preghiamo tutti insieme per lui, perché il Signore lo benedica e la Madonna lo custodisca. E adesso, incominciamo questo cammino: Vescovo e popolo. Questo cammino della Chiesa di Roma, che è quella che presiede nella carità tutte le Chiese. Un cammino di fratellanza, di amore, di fiducia tra noi. Preghiamo sempre per noi: l’uno per l’altro. Preghiamo per tutto il mondo, perché ci sia una grande fratellanza. Vi auguro che questo cammino di Chiesa, che oggi incominciamo e nel quale mi aiuterà il mio Cardinale Vicario, qui presente, sia fruttuoso per l’evangelizzazione di questa città tanto bella! E adesso vorrei dare la Benedizione, ma prima, vi chiedo un favore: prima che il vescovo benedica il popolo, vi chiedo che voi preghiate il Signore perché mi benedica: la preghiera del popolo, chiedendo la Benedizione per il suo Vescovo. Facciamo in silenzio questa preghiera di voi su di me. Adesso darò la Benedizione a voi e a tutto il mondo, a tutti gli uomini e le donne di buona volontà”.
Con queste parole di saluto si è presentato, subito dopo la sua elezione, al popolo cristiano papa Francesco, il 13 marzo scorso. Ormai è trascorso più di un mese da quella data ed il papa ha ‘preso’ sempre più il ‘cuore’ della gente, perché il popolo lo sente come un padre. Papa Francesco parla di una esperienza di Gesù, che il cristiano può vivere quotidianamente: “Questa storia della prima comunità cristiana ci dice una cosa molto importante, che vale per la Chiesa di tutti i tempi, anche per noi: quando una persona conosce veramente Gesù Cristo e crede in Lui, sperimenta la sua presenza nella vita e la forza della sua Risurrezione, e non può fare a meno di comunicare questa esperienza. E se questa persona incontra incomprensioni o avversità, si comporta come Gesù nella sua Passione: risponde con l’amore e con la forza della verità”.
Papa Francesco parla di Dio incarnato nella città, facendosi carico della sofferenza dell’uomo, come disse il 25 agosto 2011 al primo congresso di pastorale urbana a Buenos Aires, come vescovo della città: “Lo sguardo che desidero condividere con voi è quello di un pastore che cerca di andare a fondo nella sua esperienza di credente, di uomo che crede che ‘Dio vive nella sua città’… Le immagini del Vangelo che più mi piacciono sono quelle che mostrano ciò che Gesù suscita nella gente che incontra per la strada… Essere popolo e costruire città vanno di pari passo; e così essere popolo di Dio ed abitare nella città di Dio. In questo senso l’immaginario teologico può essere lievito per ogni immaginario sociale… Il nostro Dio che vive nella città, nella cui vita quotidiana si coinvolge, non discrimina né relativizza. La sua verità è quella del volto che scopre volti, e ogni volto è unico. Includere persone con volti e nomi propri non implica relativizzare valori né giustificare antivalori; al contrario, non discriminare e non relativizzare implica avere la fortezza per accompagnare i processi e la pazienza del fermento che aiuta a crescere.
La verità che accompagna è quella che mostra percorsi futuri più che giudicare le chiusure del passato. Lo sguardo dell’amore non discrimina né relativizza perché è misericordioso. La misericordia crea la maggior vicinanza, che è quella dei volti, e siccome desidera aiutare per davvero, cerca la verità che più fa male, quella del peccato, ma per trovarne il vero rimedio. Questo sguardo è personale e comunitario… L’amore gratuito è fermento che mette in movimento tutto ciò che c’è di buono e lo perfeziona, trasforma il male in bene, i problemi in opportunità”.
Quindi la città è il luogo dove vive il popolo e dove il vescovo agisce per il bene del popolo: infatti papa Francesco lo specifica nel ‘saluto’ del 13 marzo: vescovo e popolo camminano insieme; non un esercizio di potere, ma un esercizio di fratellanza, attraverso l’esperienza della comunità. Ora è curioso leggere queste ‘umili’ (in quanto provengono dalla terra che produce humus) e profondo secondo l’interpretazione dei mass media, che non hanno avvertito il suo stile. Per alcuni mass media il papa diventa papa Francesco I, quasi un’insistenza a designare un ‘potere’ terreno; un voler vedere ancora con occhi terreni una dimensione temporale e non anche spirituale ed ecclesiologica. Ma papa Francesco non ha sconvolto nessuna regola della Chiesa; ha solamente portato a compimento quello che è stato vissuto nelle comunità cristiane.
Lo ha spiegato molto bene papa Paolo VI nell’udienza del 28 giugno 1972, esaminando alcuni ‘simboli’ petrini: “Un altro simbolo: le chiavi. Cristo a Pietro preannuncia la consegna delle chiavi. Quali chiavi? ‘Le chiavi del regno dei cieli’ dice il Signore. Che cosa vuol dire? le chiavi indicano la potestà, indicano la facoltà di disporre, di aprire e di chiudere per incarico del padrone di casa. Di quale casa? il regno dei cieli, cioè l’economia della salvezza, il disegno misterioso dell’ordine soprannaturale nascosto da secoli e instaurato da Cristo fra Dio e gli uomini. Pietro, e con lui il collegio degli altri Apostoli, è nominato intermediario necessario per l’accesso regolare al regno dei cieli… Anche questo simbolo così semplice e così chiaro, ma così denso di significato, invita a pensare…
Possiamo concludere questa serie di simboli ricordando l’ultimo, quello del Pastore, altro titolo proprio di Gesù, che il Signore risorto, dopo aver fatto salire dal cuore di Pietro tre volte la professione dell’amore, tre volte gli affida la missione d’essere per eccellenza il pastore del gregge di Cristo; il pastore, in sua vece, della sua Chiesa. Meditate: Pietro Pastore, vivente nei suoi successori, ‘perpetuo e visibile principio e fondamento dell’unità’ (Lumen Gentium, 23), nella fede, nella speranza, nella carità!”