Il ritorno della Tradizione

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Recentemente ho visitato la mia vecchia parrocchia in compagnia di mio figlio. Non vivo piu’ nel quartiere dove sono nato e cresciuto, vivo dall’altra parte del mondo, ma ogni tanto ritorno sui passi deall mia memoria e cerco me stesso là dove tutto cominciò. Se comincio questo scritto con un ricordo personale e’ solo perche’ esso mi fa pensare ad un concetto molto piu’ grande ed importante della mia persona, il concetto di tradizione. Quanto ci si è accapigliato e ci si accapiglia anche in ambito cattolico su chi si debba ritenere come l’autentico seguace della tradizione. Io non voglio naturalmente entrare in questo difficile dibattito, solo riferire di una percezione che ho avuto profonda e che mi sembra, senza voler sembrare presuntuoso, possa offrire qualche elemento di riflessione da una parte e dall’altra. Mentre ero in questa storica chiesa e osservavo mio figlio, pensavo anche a me e a tutti coloro che mi hanno preceduto nella mia famiglia, e che decenni e decenni prima che io nascessi si inginocchiavano e pregavano davanti a quelle statue, come me in quel momento.

Ora mio figlio è l’ultimo anello di una catena, è testimone di una essenzialita’ che si consegna (tradere, consegnare) generazione dopo generazione. Potrei considerare mio nonno come l’ultimo anello di questa catena che incarna la mia tradizione familiare? Naturalmente no, perche’ malgrado cambiamenti o pur anche tradimenti, qualcosa di essenziale persiste nelle generazioni dopo di lui, di cui io sono parte e mio figlio è al momento l’ultimo tramite. Proprio guardando lui, così bello e fresco, ripenso al significato piu’ profondo della tradizione, che non è immobilità ma e’ cambiamento nella continuità, non nella rottura. Certo qualcosa si perde, qualcosa si deve recuperare, ma il senso della nostra tradizione è ancora lì a nostra disposizione. Sta a noi farlo nostro nella condizione diversa in cui oggi ci troviamo. Se un giorno mio figlio vorrà prendere l’esempio da quello che di buono io ho fatto, sara’ bene; se vorrà fare di meglio e di piu’, muovendo dai limiti umani del padre, sara’ meglio; se penserà che cio’ che ho fatto non fosse stato efficace e volesse ripartire, sara’ il massimo.

Ma per ripartire dovra’ cominciare dove io ho cominciato, dovra’ tornare in questa chiesa e ripensare al senso di cio’ che ci fa in modo essenziale, non semplicemente in una prospettiva materiale e materialistica. Il figlio che vuole superare il padre fara’ bene, ma non potrà mai rinnegarlo senza rinnegare se stesso in quello che è di piu’ profondo. Siamo figli di molte tradizioni, non tutte sono importanti come quelle familiari o religiose. Ci sono tradizioni artistiche e culturali che pure rivestono la loro importanza e che vanno difese sempre intendendo che la loro vita è legata alla capacità di investire nelle persistenze e non nelle insistenze. Non vogliamo che i nostri figli si debbano vestire allo stesso modo in cui noi eravamo vestiti alla loro età, ma desideriamo che essi sentano vibrare la loro carne quando vengono a conoscere le pietre di quelle chiese dove generazioni e generazioni di loro antenati hanno potuto impregnare le mura delle loro gioie e sofferenze. Questo perche’ cambiare puo’ essere interessante, ma tornare è essenziale. Tutti aspiriamo ad Itaca. E tutti sediamo sui fiumi di Babilonia. Guardando mio figlio rivedevo questo processo ininterrotto che continuamente si rinnova per rimanere sempre e comunque, se stesso.

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