A 50 anni dall’enciclica ‘Pacem in Terris’

Quando Giovanni XXIII promulgò, l’11 aprile 1963, l’enciclica ‘Pacem in terris’ dominava la guerra fredda che spaccava il mondo in due parti. A partire da questa situazione, egli sviluppò la sua visione di un mondo nel quale si rispetta la dignità di tutti gli uomini e le nazioni vivono in pace. Il Papa, a quel tempo già segnato da una grave malattia, individuò tre ‘segni dei tempi’: l’avanzamento della classe operaia ha liberato in tutto il mondo molte persone dalla povertà estrema e ha portato a una crescita, mai conosciuta prima, dei cosiddetti ceti medi. All’ascesa dei ceti medi sono collegate anche nuove questioni che riguardano il consumo su scala globale di risorse naturali. La partecipazione delle donne alla vita pubblica è un tratto fondamentale della storia umana contemporanea. Infine, nell’enciclica si legge che ‘la famiglia umana, nei confronti di un passato recente, presenta una configurazione sociale-politica profondamente trasformata. Non più popoli dominatori e popoli dominati: tutti i popoli si sono costituiti o si stanno costituendo in comunità politiche indipendenti’. La ‘Pacem in terris’mette in risalto che la vera pace non significa solo assenza di guerra, bensì che la pace ‘si può costruire soltanto nella vicendevole fiducia’. Perciò ‘i rapporti fra le comunità politiche… vanno regolati nella luce della verità, della giustizia, della solidarietà operante’. Infine l’enciclica giovannea richiama l’attenzione sul bene comune: “Il bene comune universale pone ora problemi a dimensioni mondiali che non possono essere adeguatamente affrontati e risolti che a opera di poteri pubblici aventi ampiezza, strutture e mezzi delle stesse proporzioni; di poteri pubblici, cioè, che siano in grado di operare in modo efficiente sul piano mondiale. Lo stesso ordine morale quindi domanda che tali poteri vengano istituiti”.
Secondo mons. Giancarlo Bregantini, vescovo di Campobasso e presidente della Commissione episcopale per i problemi sociali e il lavoro, per la prima volta nella storia della Chiesa, un’enciclica si è rivolta non solo ai tradizionali destinatari, bensì a tutti gli uomini di buona volontà: “Papa Giovanni XXIII è stato il primo a parlare della pace nell’enciclica ‘Pacem in Terris’. Dietro il suo insegnamento è con papa Paolo VI celebriamo la giornata della pace. Occorre guardare con realismo i nodi e dire chi è che costruisce la pace. Costruisce la pace chi difende la vita, il matrimonio, la libertà religiosa e chi promuove il lavoro”.
Quale è il messaggio attuale della Pacem in Terris?
“Il messaggio sono i quattro messaggi su cui costruire la pace: dare all’uomo la verità; dare una capacità interiore di libertà; costruire relazioni positive, attraverso la carità; dare il gusto delle cose con la giustizia. Papa Giovanni XXIII ha lavorato su questi quattro pilastri, perché la casa regga”.
Ed ha invitato tutti gli uomini di buona volontà a costruire la pace: “Lo sguardo è fondamentalmente quello del Vangelo, il cui pensiero è inclusivo, non esclusivo e rappresenta un messaggio per tutti. Lui ci ha detto che ciò che unisce è molto più di ciò che divide, perché dobbiamo condannare il peccato, ma amare il peccatore. Sono cose importanti che papa Giovanni XXIII ci ha lasciato!”
Anche mons. Loris Capovilla, segretario di papa Giovanni XXIII, ha puntato la sua riflessione sull’attualità dell’enciclica: “La centralità della persona ha tutta una ricchezza di svolgimento e di applicazione nel corso dell’insegnamento di Papa Giovanni, in derivazione della autentica e mai smentita dottrina cattolica e del magistero dei papi più recenti, segnatamente di Pio XII. C’è un paragrafo dell’enciclica che sollecita sempre nuovi approfondimenti, là dove si afferma che le ideologie astratte possono essere svuotate, di fatto, storicamente, dallo svolgersi delle attività umane, sociali, culturali delle persone e dei gruppi, anche se si richiamano, molte volte nominalisticamente, alle matrici ideologiche, come miti, come parole vuote… La pace è conquista di sempre più profondi e consapevoli equilibri tra gli uomini e tra Dio e gli uomini, nell’arricchimento e nello svolgimento delle persone e delle comunità”.
Il teologo Giovanni Mazzillo, durante l’incontro svoltosi a Roma per riflettere sull’attualità dell’enciclica, si è soffermato sui ‘segni dei tempi’: “La Pacem in terris ascrive ai ‘segni dei tempi’ la sempre più diffusa convinzione ‘che le eventuali controversie tra i popoli non debbono essere risolte con il ricorso alle armi; ma invece attraverso il negoziato’ (n. 67). E’ appunto un segno dei tempi riscoprire i vincoli che legano gli esseri umani in quanto provenienti ‘dallo loro comune umanità’. E’ recepire tali vincoli come vincoli reali, perché basati su una comune natura, che tendono ad esprimere una delle più formidabili esigenze umane: la solidarietà come manifestazione di qualcosa di più che di una semplice percezione o intuizione. Insomma il vero progresso è la crescita percettiva del bisogno indispensabile della solidarietà. Come se si dicesse: nessuno può essere felice da solo. La frase, nota tra quelle estremamente sintetiche di Raoul Follereau, non è materialmente pronunciata nell’enciclica e tuttavia è ben espressiva dell’intero suo impianto tematico.
Nasce dalla convinzione che tutto il mondo tende verso il meglio e che tale progresso escatologicamente (irreversibilmente e definitivamente) impresso nella storia dalla morte e risurrezione di Cristo e dall’agire dello Spirito Santo, è chiaramente avvertito da chi si lascia guidare da Dio. Ma è anche avvertito da una sorta di profezia esterna, esterna talvolta all’istituzione ecclesiastica o alla fede esplicita, quando evidentemente queste deviano dalla carreggiata maestra del Vangelo come buona notizia al mondo e al suo futuro e si ripiegano solo su un futuro paludato e privilegiato da garantire alla Chiesa…
L’impegno per la sopravvivenza del pianeta rientra in questa profezia esterna e si esprime attraverso la solidarietà. E’ quella solidarietà presente come trama dell’enciclica e che l’ ‘Apostolicam Actuositatem’ indicherà nel Vaticano II come uno dei grandi segni del nostro tempo, insistendo sulla solidarietà tra le nazioni, che allora sembrava affermarsi sempre di più”.