Civiltà Cattolica, più che una rivista uno stile di comunicare, una conversazione con il Direttore Antonio Spadaro

Condividi su...

La Civiltà Cattolica come forma e sostanza dell’impatto del Vangelo nel Mondo. Ne ho parlato con Padre Antonio Spadaro qualche tempo fa. Ecco come si è arrivati alla piccola rivoluzione mediatica della Rivista.

Partiamo da uno dei temi che più ricorre nel dibattito ecclesiale è quello dell’ analfabetismo catechetico. Ma che che problema è ? E soprattutto è un fenomeno universale?

In primo luogo questo è un problema molto occidentale. Sarei cauto nel dire che il fatto religioso non è più significativo per l’uomo e per il mondo. In effetti dovremmo avere uno sguardo più vasto e la secolarizzazione è un fenomeno “geolocalizzato”.

Ma resta la questione di fondo della rilevanza del fattore religioso nella vita di una persona e della società. La cultura religiosa dipende da questo.

Io credo che l’uomo sia sempre lo stesso, i suoi bisogni fondamentali, le sue domande di senso non siamo cambiate. Piuttosto cambia la forma in cui si presentano e il luogo in cui si esprimono.

Fino a qualche tempo fa il luogo delle grandi domande dell’uomo era l’ambito religioso, che è anche il luogo delle risposte. L’uomo che si poneva di fronte a se stesso per guardare la propria vita, e non solo i singoli problemi, ma proprio la sua esistenza in quanto tale avendo la capacità di percepirla come un’ unità, trovava nel fatto religioso il luogo in cui esprimere le domande e cin cui trovare una risposta. Quello che accade ora in occidente è che la dimensione religiosa sta diventano solo una delle risposte, dei luoghi.  E il frastuono mediatico, legato a scandali e quant’altro rischia di  gettare un’ombra sul religioso come “luogo” in cui domande e risposte si possono articolare. L’uomo di fede, chi pensa la propria fede deve aprire gli occhi e chiedersi dove l’uomo pone le domande che si è sempre posto. Le domande di sempre, sul senso della vita, sul senso del mondo, se esiste un Dio. E poi c’è da capire quali sono le risposte che l’uomo si da. Le domande ci sono, ma non le riconosciamo più perchè siamo abituati e cercarle e trovarle in un ambito consueto, quello religioso.

Allora dove oggi l’uomo esprime queste sue tensioni?

Credo che il mondo dell’espressione artistica sia oggi il luogo privilegiato in cui l’uomo si pone queste domande. Giovanni Paolo II nella sua lettera agli artisti parlava di “luogo di accesso all’ abisso del cuore dell’ uomo”. L’espressione creativa dell’uomo, che arrivi ad essere arte o no, è il luogo in cui le domande vengono poste perché l’espressione creativa dell’uomo supera la sua coscienza tematica. Nell’espressione artistica l’uomo dice sempre più di quello che ha in mente di dire. L’arte non è la trascrizione automatica di ciò che uno pensa.  Poi magari riflettendo su quello che ha fatto capisce molto di più di quello che voleva dire. L’ispirazione arriva alla penna o allo scalpello prima che alla tematizzazione della coscienza.Leggendo con animo libero il fenomeno artistico è possibile rintracciare le domande forti che la religiosità dell’ uomo riconosce immediatamente per sintonia.

E se questo vale per le espressioni artistiche più canoniche, pittura, scultura, musica, letteratura, questo vale anche per le forme più popolari. La Chiesa nei secoli è sempre stata abituata a confrontarsi con le espressioni della creatività alta dell’uomo. Con l’elevazione generale della cultura media e con una maggiore disponibilità di mezzi espressivi, anche per maggiori disponibilità economiche, sta assumendo un ruolo molto importante la cultura pop, popolare. Cioè quelle  espressioni di creatività che non sono canonizzate, ma circolano nella fruizione popolare e ne esprimono l’indole.

Anche nella canzonette che si fischiettano si possono trovare certe domande. In effetti già Karl Rhaner si era posto delle domande: perchè l’uomo canticchia? Che valore ha da un punto di vista teologico il fatto che l’uomo si esprima cantando?

La genialità di Rahner è quello di aver declinato la teologia con tutte le attività più ordinarie dell’uomo, dal sognare, mangiare, lavorare. Una intuizione enorme da recuperare, perché la teologia sta diventando un sapere specialistico marginale.

Quindi dalle canzonette ai fumetti, letteratura, nuovi generi musicali, sono forme non canoniche ma tendono ad avere un ruolo nella vita e nella cultura della gente.  Ecco questo è un campo poco esplorato ma decisamente importante. Perchè è quello di cui la gente normale vive. Questo plasma la mens delle persone. E una delle piazze aperte in cui i fenomeni più emergenti si esprimono e si divulgano con facilità è la rete. E quindi è un modo da abitare in maniera consapevole.

Questa è una analisi che precede la evangelizzazione, è un modo di comprendere dove siamo. Il passaggio ulteriore e fondamentale è il discernimento. Una parola classica della teologia cristiana che serve per capire. Perchè o crediamo che Dio si sia ritirato dal mondo e viva soltanto in alcune colline e dialoghi con alcuni eletti, e che la spiritualità sia sostanzialmente solo dei credenti, oppure crediamo che Dio sia attivo e all’opera nel mondo dovunque. Anche in quei luoghi dove difficilmente la mens religiosa era abituata a vederlo.

Ecco il lavoro da fare, riconoscere Dio all’opera nel mondo e dichiararlo. L’evangelizzazione non è come innaffiare il mondo, ma riconoscere li dove dove il Signore si fa trovare, riconoscere dove c’è, riconoscere la sua presenza nel mondo.

Certo è un lavoro molto complesso e rischioso, e richiede una vita spirituale intensa. Ci vuole un certo “fiuto spirituale”. Penso che questo sia il principale compito del cristiano oggi. Senza farsi allontanare o stupire da ciò che esce dalla categorie ordinarie. Lasciando spazio alla creatività dello Spirito. Su questa base si può innestare un annuncio efficace.

C’è un libro che ho comprato solo per il titolo negli Stati Uniti: Serching for God in all wrong places. Mi ha colpito perché in realtà per Dio non ci sono posti sbagliati. E’ il nostro giudizio che pensa che ce ne siano, che siano posti in cui Dio non possa entrare in nessun modo.

Bisognerebbe debellare questa visione e comprendere il ruolo dell’evangelizzazione come  la dichiarazione che Dio c’è ed è all’opera. Abbiamo bisogno di essere uomini spirituali. Non uomini abituati a tecniche di evangelizzazione. Servono persone capaci di riconoscere il Signore dove si trova. Serve una spiritualità che renda capaci di vedere dove il Signore si trova, che ci facci aprire gli occhi sulla presenza di Dio lì dove Lui si fa trovare, dove è.Poi c’è la questione della cultura religiosa che è un grande dramma. Che lo si accetti o no la religione ha un ruolo centrale nella formazione della nostra civiltà. Se non altro perchè i prodotti culturali dall’arte alla letteratura sono segnati in maniera decisiva dalla domanda religiosa che si esprime attraverso questi simboli classici della religiosità.

Quindi è compito anche della società civile e non solo dei teologi, quello di valorizzare al massimo la conoscenza del dato religioso. É inconcepibile che ci sia una ignoranza del fatto religioso. Soprattutto per comprendere la società che viviamo. Certo questo non esclude la conoscenza di altre religioni, ma poiché il cristianesimo insieme all’ebraismo ha avuto un ruolo fondamentale nella formazione della società occidentale, è inconcepibile la ignoranza ad esempio della Bibbia. Non si può godere appieno neanche un quadro di Raffaello.

Civiltà cattolica oggi?

É la più antica rivista italiana che non ha mai interrotto le pubblicazioni. 162 anni di storia. Il mio predecessore ha 30 anni più di me è stato direttore per 26 anni. E normalmente lil gap generazionale tra i direttori che si succedevano non era così profondo.

Un salto grosso. Una sfida che ho colto e ho guardato alla storia e alla tradizione fatta certo anche di grandi contraddizioni, di cambiamenti di prospettiva di ribaltamenti di visione. Il punto fermo e costante è stato il rapporto con la Santa Sede. CC è caratterizzata dal fatto che è scritta solo da gesuiti, tranne rarissime eccezioni motivate e approvate dalla segreteria di stato vaticana con la quale c’è una sintonia.

Civiltà Cattolica è italiana con questa speciale sintonia?

Una peculiarità assoluta. La rivista nasce con un collegamento molto stretto con il Papa. É il Papa stesso che se ne occupa. Pio XII rivedeva personalmente i testi della Civiltà Cattolica. Oggi è una rivista non ufficiale (come del resto non è mai stata) ma autorevole. Quello che viene pubblicato non è in contrasto con il pensiero della segreteria di stato vaticana.

E deve a questo anche la sua presenza nei media perchè tratta l’attualità ed entra nei dibattiti vivi e l’essere un quindicinale la rende non effimera ma non troppo poco frequente. Elemento singolare come il suo linguaggio. Quando nasce nel 1850 le riviste di cultura ecclesiastiche erano scritte in latino. Civiltà Cattolica è scritta fin dall’inizio in italiano. Ed è scritta da specialisti, ma non si rivolge ad un pubblico di specialisti. L’obiettivo è fare una informazione di qualità anche a livello scientifico ma con un linguaggio che non la chiuda dentro se stessa o non la riservi solo ad alcune persone ad ambiti molto ristretti.

Deve arrivare sugli autobus?

Si una rivista da tenere in mano, anche se la lunghezza degli articoli richiede una tempo che l’uomo di oggi difficilmente trova. Non più di 14 pagine è vero, ma una lettura che richiede uno sforzo. Una rivista che non vuole cedere al ritmo eccessivo dell’informazione flash. Ma del resto non può tralasciare che pure questa è una forma di comunicazione importante, rapida ,incisiva. La rivista non cambia in se stessa, ma si dota di una serie di strumenti che permetteranno di declinare questo messaggio in forme accessibili in altri modi. I social, e i diversi supporti dai tablet agli smartphone. L’obiettivo è radicarsi meglio nella nuova cultura della comunicativa. Ma la rivista rimane se stessa di carta etc.

Oggi la rivista si identifica sempre meno con il supporto e sempre più con il suo messaggio.

Allora le intuizioni fortemente innovative di Civiltà Cattolica sono quelle da cui mi sto facendo guidare perla mia azione. Naturalmente rimangono le forme classiche e saranno affiancate da nuove forme che renderanno il messaggio più fruibile. L’obiettivo non è quello di essere deposta negli scaffali di una biblioteca ma è quello di fare cultura, di esserci nel dibattito.

E poi la cultura cattolica si è molto abituata nel tempo a commentare e ci sono esempi considerevoli, anche perché una capacità propria del cristiano è il discernimento. Penso che oggi ci venga richiesto qualcosa in più, non basta la cultura del commento ma bisogna intuire che cosa accadrà essere capaci di aprire scenari, scommettere su visioni, capire le linee tendenziali. Guardare avanti e indicare strade. Costruire scenari e valutarli.

La rete è come la Cina per Matteo Ricci?

In una certo senso si. La rete non è uno strumento ma è un ambiente. Questo è fondamentale. Propone dei simboli propri, ha un suo linguaggio, e gli uomini sempre di più si incontrano in questo ambiente. Quindi la metafora geografica, un luogo con una sua cultura rende molto di più che il parallelo con uno strumento.

La Chiesa ha imparato ad essere nei nuovi luoghi? La Chiesa non sa comunicare si dice: è vero, non è vero, sta imparando a farlo?

Sono vere tutte e tre le cose. Ho verificato come consultore del Pontificio consiglio per al Cultura e il Pontificio consiglio per le comunicazioni sociali l’interesse enorme che c’è per la comunicazione, intensa non come un fatto pubblicitario esterno ma che tocca l’intima natura stessa della Chiesa. La questione della comunicazione è sempre stata nel cuore della Chiesa, questo interesse è vivo. La cosa che può essere fraintesa è che la Chiesa non ama il frastuono mediatico. Ama la comunicazione di un messaggio e normalmente è a disagio nel momento in cui si creano delle polemiche accese, delle forti contrapposizioni. Ha uno stile più riservato e più elegante. Quindi fa sempre incredibilmente fatica ad entrare in logiche di contrapposizione, di estremizzazione, che purtroppo compongono la comunicazione contemporanea. E la Chiesa non vuole rinunciare a questo suo profilo elegante che rischia di essere frainteso come distante, e questo suo imbarazzo  a gestire situazioni si estrema tensione, accuse e polarizzazioni può essere frainteso, come un non voler scendere nell’ agone mediatico. Ma per la Chiesa la comunicazione non è l’ agone mediatico, ma  è un altro livello più legato ai contenuti. Sono questioni serie che la Chiesa non ha risolto in maniera definitiva, e forse mai risolverà, però esprime un tentativo di comprensione del fenomeno, cercando di salvaguardare i valori più importanti anche a costo di non difendersi e di non venire a patti con l’opinione pubblica.

151.11.48.50