Dio ha fatto gol: Papa Francesco raccontato da un cappuccino missionario

L’editrice Tau pubblica il volume “Dio ha fatto gol. Papa Francesco”, di padre Egidio Picucci, direttore della Rivista “Continenti Missionari Cappuccini” e collaboratore de “L’Osservatore Romano”. Il titolo del volumetto non ha la pretesa di dire tutto quello che ci sarebbe da dire su un “Francesco” che sta rivoluzionando la Chiesa (e il mondo) e, soprattutto, non vuol essere irriverente né contro Dio né contro Colui del quale parla. È una frase mutuata dal quotidiano (e ripresa dal pubblico giovanile che ha seguito le ultime fasi del Conclave in Tv) di un Paese in cui il calcio è la seconda anima della gente. Questo non vuol dire che nei Conclavi passati Dio abbia “fallito il bersaglio”; vuol solo dire che, grazie a certi particolari che Papa Francesco ci ha fatto vedere e che crescono con l’anima, egli è “entrato” subito nel cuore di chi l’ha visto in televisione. E l’ha visto tutto il mondo. Vi è entrato perché la gente vuol vedere Cristo; non le basta sentirne parlare. Papa Francesco è una buona notizia per l’umanità; una speranza non generica; una certezza ancorata su Cristo, il “sogno” che propone al mondo perché lo mantenga vivo. Pubblichiamo il capitolo finale “Dio ha fatto gol”.
Domenica 10 marzo, quando mancavano due giorni all’apertura del conclave in cui è entrato come “candidato emerito”, il cardinal Bergoglio ha incrociato in Piazza Navona, a Roma, Thomas Rosica, canadese, presidente della televisione “Salt and light”, “Sale e luce”. Il sacerdote gli ha chiesto se fosse nervoso. “Un po’ – replica l’allora quasi ex arcivescovo di Buenos Aires – pregate per me, perché non so che cosa i miei fratelli cardinali mi stiano preparando”. C’’era nell’aria il sentore che una porzione potente e compatta del conclave “guardava a ovest”, come ha sintetizzato il quotidiano finanziario The Wall Street Journal, con orgoglio americano prima che statunitense. Quello che i cardinali hanno “combinato” ora lo sappiamo. Ci hanno dato un Papa all’altezza dei tempi. Un Papa a cui tutti vogliono bene; che tutti vorrebbero abbracciare, come s’è visto domenica 17 marzo nella piccola chiesa di Sant’Anna in Vaticano, quando la folla ha avuto la possibilità (ma l’avrà ancora, con questo “Papa delle sorprese” che non ascolta i cerimonieri ma il cuore) di avvicinarlo come mai s’era sognata. È attratta dalle sue parole che tutti capiscono, parole volutamente semplici, perché Papa Francesco ha una dottrina solida, convalidata dalle lauree, dagli interventi nei Sinodi, dai libri che ha scritto, della direttive dottrinali che ha dato, tanto più care quanto meno inculcate per regole, ma accese con la luce amorosa e calda della bontà. «Coltissimo e umile – ha scritto Gian Guido Vecchi sul Corriere della Sera – parla duro se necessario, come quando, mesi fa, a novembre, deplorò il fariseismo di alcuni preti della sua diocesi. ‘Lo dico con dolore: se suona come una denuncia o un’offesa, perdonatemi; fra noi ci sono presbiteri che non battezzano i bambini delle madri non sposate…e così allontanano il popolo di Dio dalla salvezza. Gesù non fece proselitismo: accompagnò. E le conversioni che provocava avvenivano per questa sua sollecitudine ad accompagnare, che ci rende fratelli, che ci rende figli e non soci di una ong, o proseliti di una multinazionale’”.
La gente conosce queste cose e va in delirio; proprio come avveniva con Francesco, il quale, di fronte al male che non poteva non vedere, invitava a guardare in alto, “all’altissimo e onnipotente bon Signore”, ma che era anche capace di dire ai “podestà e consoli, magistrati e reggitori d’ogni parte del mondo, e a tutti gli altri ai quali giungerà questa lettera”, di “non dimenticare il Signore e di non deviare dai suoi comandamenti, poiché tutti quelli che si allontanano dai comandamenti di lui, saranno dimenticati da lui”. La verità cristiana, attraente e persuasiva, non può né deve essere taciuta perché risponde ai veri bisogni dell’uomo con un annuncio valido per tutti i tempi. L’evangelizzazione è il faro di papa Francesco: tutto il resto, sembra dire ogni suo altro atto, viene dopo. Eccetto uno: la preghiera che Papa Francesco ha recitato e invitato a recitare per il suo predecessore “quella sera” di vento e di pioggia in Piazza S. Pietro, già passata alla storia. Si è presentato come un vecchio amico che bussa alla porta di casa all’ora di cena, con garbo e discrezione, arrivato “dalla fine del mondo”. Ha salutato con un “buonasera” che ha strappato applausi scroscianti come l’acqua che sgorga dalle due fontane secolari all’ingresso della Piazza, simili a due acquasantiere per la “purificazione” di chi entrerà nella basilica più importante del mondo. Ha parlato più con i gesti che con le parole; gesti trasferiti in Piazza dalla cappella Sistina, nella quale ha tenuto la prima omelia papale (lui avrebbe scritto “episcopale”, visto che si è sempre definito vescovo e non s’è mai chiamato Papa) parlando non dal trono, ma dall’ambone, dove anche i laici possono accedere; in piedi, senza mitria e improvvisando. Ha parlato di cammino, di costruzione e di confessione, ispirandosi alla grammatica del Vangelo. In Piazza ha parlato con ritmo lento, cavando le parole una a una dalla bocca asciutta (ogni tanto c’è un inserviente che gli porta un bicchiere d’acqua) consentendo, così, a tutti di assimilare le poche parole che dice, fedele all’esortazione dell’altro Francesco che, nella regola dei frati minori, raccomanda di predicare “con brevità di sermone, annunciando i vizi e le virtù, la pena e la gloria”.
La chiesa ha un storia millenaria, ma sono bastati cinque minuti per rivoluzionarla. Con un discorso dimesso, ma efficace; una croce di ferro pendente sul petto, sulla quale è inciso il buon Pastore con la pecora sulle spalle e una colomba in cima, Papa Francesco (a proposito, si chiama così, Francesco e basta) si è presentato come un debole che ha bisogno della forza della preghiera, della benedizione di Dio, una specie di investitura ufficiale, inchinandosi per accoglierla. Sul gesuita è prevalso il francescano. Era così certo di riceverla, quella benedizione, che si è inchinato per beneficiarne subito. Si è inchinato, rifiutando che altri si inchinino davanti a lui: i vescovi che l’hanno fatto, sono stati sollevati dalle sue mani di lavoratore. Ciò che mi ha maggiormente colpito è stato proprio “quel” gesto, quell’inchinarsi dopo aver contemplato “quella” folla, avendo poi il coraggio, l’umiltà di un gesto mai visto, compiuto come per dire: io sono davvero il vostro servo; io voglio rappresentare una Chiesa del servizio, una Chiesa che si prende cura in modo particolare dei poveri, degli ultimi, com’era abituato a fare nel suo Paese, tra la sua gente.
Buon conoscitore del Manzoni, egli sa che lo scrittore italiano non accetta aristocrazia di sorta, né di nascita, né di intelligenza, né di santità, a meno di inserirsi nella vita del popolo. ha infatti detto che non v’è giusta superiorità d’uomo sopra gli uomini se non in loro servizio. la sola e vera aristocrazie è quella dello spirito, l’unico metro con cui si misurano le stature. “Dio ha fatto gol” hanno detto gli argentini davanti ai teleschermi, riferendosi (Dio li perdoni), a un altro grande argentino: Diego Maradona, che nel 1982, ai mondiali di calcio, aveva fatto gol con un fallo di mano non visto dall’arbitro, un gol definito “la mano de Dios”. Papa Francesco sarà un riformatore della curia: basandosi non soltanto su concetti di efficienza tecnica o di “pulizia ecclesiastica”, ma invitando a guardare il nocciolo della missione della Chiesa, che è l’annuncio al mondo della presenza di Gesù Cristo, salvatore dell’uomo. tutto ciò che non serve o è intralcio a questa missione può essere lasciato, gettato via come un’armatura inutile. Papa Bergoglio è testimone di una Chiesa che non sta negli uffici e nelle sacrestie, aspettando la gente per distribuire sacramenti, ma percorre le strade del mondo, facendosi vicino a chiunque, in ciò che lui ha definito “l’ordinario della vita”.
Papa Bergoglio non è solo un Papa per l’America Latina, anche se questo continente costituisce il 40-42% dei cattolici nel mondo. A Rio egli incontrerà giovani da tutto il mondo e probabilmente appartenenti a varie confessioni religiose, intrecciati in un “giovanile” dialogo religioso che ha a cuore la salvezza dell’uomo, la sua dignità offesa da una cultura che si diffonde sempre più e che è quella del materialismo e del relativismo, che rigetta la dimensione religiosa e il disegno del creatore sul cosmo. Così, da una parte questa pseudocultura che esalta i “nuovi diritti” (quando si parla troppo di diritti si dimentica che ci sono anche i doveri), come l’aborto l’eutanasia e via dicendo; e che dall’altra getta il pianeta in una crisi ambientale, accresce l’abisso fra ricchi e poveri, rivendica il potere della finanza e dei poteri politici senza alcun controllo della popolazione. Tutte queste sono sfide globali che il Papa, vescovo di Roma, si troverà ad affrontare, in continuità con la testimonianza di Benedetto XVI contro la dittatura del relativismo e la ragione zoppa del positivismo. Sono sfide che Bergoglio ha già affrontato in Argentina; ma questa volta il teatro è il mondo e insieme a lui vi sono il miliardo e passa di cattolici ai quali egli ha chiesto il 13 marzo – fra lo stupore di tutti – la benedizione per il suo ministero. Un Papa “rivoluzionario”, dunque? Se lo chiede il quotidiano Avvenire che risponde: sì, rivoluzionario, “ma non nel significato che certi commentatori attribuiscono a quell’aggettivo. Perché ci si può azzardare a dire che il nuovo Pontefice abbia operato questa sua prima “rivoluzione” proprio riportando al centro della nostra attenzione la chiesa reale. Una chiesa che deve essere in cammino ‘sempre alla luce del Signore, e cercando quella irreprensibilità che Dio chiede ad Abramo’.
Una chiesa che deve essere edificata con le pietre (il Papa ha detto simpaticamente petre n.d.r.) vive che siamo noi stessi, e che – soprattutto – deve ‘confessare Gesù Cristo Crocifisso’, altrimenti – ha scandito – sarebbe un organismo che cede alle logiche mondane, e quindi al diavolo. Eccola, dunque, la ‘rivoluzione’ di Papa Francesco. Ed ecco, di conseguenza, la nuda agenda delle sue priorità. Prima di ogni altro tema il nuovo Pontefice ha posto al centro del suo programma pastorale quei tre verbi e quel pilastro che li sorregge: camminare, costruire, confessare. Tutto il resto, ha fatto intendere, viene di conseguenza. inoltre, con il quarto verbo (pregare) ha indicato anche la via, perché l’agenda non resti sulla carta, ma entri nei cuori e nelle menti e si trasformi in vita vissuta. È stata infatti la preghiera il filo umile e forte con cui il Papa ha imbastito le sue prime ore sulla cattedra di Pietro. La Chiesa e il mondo hanno avuto il loro Papa, Francesco, che dalle Americhe ripercorrerà al contrario le rotte della prima evangelizzazione del nuovo mondo. Questo almeno raccontano le voci raccolte dopo il conclave, il più condiviso che la storia ricordi.