In uscita nelle librerie il libro “Luigi Ilardo. Omicidio di Stato. La testimonianza della figlia Luana” di Anna Vinci. Oggi la presentazione da AMDuemila in diretta Web

Circa un anno e mezzo dopo quel anatema lanciato ai mafiosi – “convertitevi!” – di Papa Giovanni Paolo II [QUI], Luigi Ilardo, cugino dei capomafia della famiglia di Caltanissetta, aveva deciso di cambiare vita. Divenuto confidente del colonnello dei carabinieri Michele Riccio del Ros, per oltre un anno e mezzo gli passò informazioni importanti su mafia, politica e massoneria. Poi, il 10 maggio 1996 fu ucciso a Catania, pochi giorni prima che ci fosse la riunione programmata per poter accedere al programma dei collaboratori di giustizia e che scattasse il piano di protezione a tutela sua e della sua famiglia. Una talpa nelle istituzioni, rimasta senza nome, aveva svelato il suo doppiogioco da infiltrato. “Qualcuno, all’interno dello Stato, aveva paura delle verità che mio padre poteva ancora rivelare. Voglio sapere chi l’ha tradito”, dice Luana Ilardo, la figlia del boss che aveva deciso di cambiare vita.

Con la morte di Luigi Ilardo, la Mafia ha sepellito molti segreti della zona ombra, in cui si muovevano mafiosi e sistemi deviati dello Stato. E così, quella di Luigi Ilardo è una di quelle storie ancora oggi avvolte dal mistero. Nel giorno dell’anniversario della sua uccisione torniamo a parlare della sua figura e del contributo che avrebbe potuto dare alla ricerca della verità sulle stragi e quei rapporti che la Mafia ha con il potere da sempre.

Oggi, 10 maggio 2021, con l’occasione dell’uscita il prossimo 13 maggio nelle librerie del libro di Anna Vinci Luigi Ilardo. Omicidio di Stato. La testimonianza della figlia Luana (Chiarelettere, 240 pagine), con la prefazione del colonnello Michele Riccio, AMDuemila torna a parlare del caso Ilardo. Parteciperanno alla presentazione del libro, alle ore 17.00 in live streaming su Facebook [QUI]: Anna Vinci (scrittrice ed autrice), Luana Ilardo (figlia di Luigi Ilardo), Giorgio Bongiovanni (direttore di Antimafia Duemila) e il colonnello Michele Riccio (autore della prefazione al libro).
«Hanno ucciso e seppellito lui, ma non noi e soprattutto me, che evidentemente ho ereditato tanto del suo coraggio. So che la mia liberazione avverrà quando emergerà la verità della storia, più grande di lui, nella quale mio padre si è trovato coinvolto e della quale è stato uno dei protagonisti. Mi scopro a raccontare certe vicende intramezzandole con ricordi privati, e resto la bambina ignara di allora, eppure sono la donna consapevole di oggi».
A parlare è Luana Ilardo. Nata nel 1980, quando suo padre morì aveva appena sedici anni. Fu lei a scendere per strada, in via Quintino Sella a Caltanissetta, e a raccoglierlo tra le sue braccia la sera del 10 maggio 1996. Il suo racconto ci commuove, perché oltre alla drammaticità della morte, la storia di Luana ci fa entrare dentro la mentalità e la vita quotidiana di una famiglia mafiosa, imparentata coi Madonia e a contatto con tutti i più importanti boss, compreso Provenzano.
Anna Vinci dà voce a Luana in modo puntuale e avvincente, una testimonianza toccante e drammatica dettata dall’amore di una figlia che a poco a poco si rende conto di quanto la sua vita sia stravolta prima dalla carcerazione del padre e poi dalle continue fughe, sparizioni, paure. È incredibile come la grande storia di questo Paese passi da qui, attraverso questa vicenda famigliare che ci è restituita in tutta la sua concretezza. In appendice alcune dichiarazioni e lettere private di Ilardo e documenti sulla sua collaborazione, oltre ad un dialogo tra l’autrice e Giorgio Bongiovanni, direttore di Antimafia Duemila.
L’autrice Anna Vinci è nata a Roma, dove vive e lavora. È stata amica e biografa di Tina Anselmi, di cui cura l’archivio. È autrice di diversi romanzi, tra cui: Calcutta (abbinato al racconto di Vasco Pratolini, Lungo viaggio di Natale, Guida); Marta dei vocabolari e Restituta del porto (Voland); Il Signore del sorriso (Iacobelli). Tra i suoi saggi: Tina Anselmi. Storia di una passione politica (Sperling & Kupfer 2006, ristampa 2016); La Politica con il cuore (con Stefania Pezzopane, Castelvecchi); Le notti della democrazia. Tina Anselmi e Aung San Suu Kyi, due donne per la libertà (Ediesse); Gaspare Mutolo. La mafia non lascia tempo (Rizzoli, 2013 e Chiarelettere 2019); La P2 nei diari segreti di Tina Anselmi (Chiarelettere 2011, edizione tascabile 2018). Come autrice, conduttrice e documentarista, ha lavorato a Radio Due nei programmi Tre Uno Tre Uno, Sala F, I Giorni. Nel 2013 ha realizzato il documentario Tina. Una vita per la democrazia (Rai3 Doc3) e nel 2016, per Rai Storia, il documentario Tina Anselmi, la grazia della normalità. Da La P2 nei diari segreti di Tina Anselmi ha tratto e messo in scena lo spettacolo di teatro civile Tra le pieghe della P2.

Le condanna definitive per l’omicidio Ilardo
Dopo 24 anni il giorno del giudizio è arrivato il 1° ottobre 2020, con la Corte di Cassazione che conferma con sentenza diventata definitiva le condanne all’ergastolo dei mandanti e killer dell’omicidio di Luigi Ilardo: Giuseppe Piddu Madonia (capomafia della famiglia di Caltanissetta), Vincenzo Santapaola (figlio del boss scomparso Turi), Maurizio Zuccaro e Benedetto Cocimano. Raggiunta finalmente una verità processuale, comunque i processi hanno raccontato solo una parte di una storia che si connette con la Trattativa Stato- Mafia. Quando è stato ucciso, il 10 maggio 1996
Luigi Ilardo da oltre un anno lavorava per le Istituzioni come infiltrato, con il nome in codice fonte Oriente. Da quel nome l’informativa Oriente acquisita in diversi processi. Le rivelazioni al Colonnello Michele Riccio portarono a decine di arresti. Si arrivò anche a un passo dalla cattura di Bernardo Provenzano, di cui Luana Ilardo ha parlato un anno fa con Paolo Borrometi dell’AGI.

“Pezzi dello Stato hanno consegnato mio padre ai killer”
Intervista a Luana Ilardo, figlia del boss della mafia di Caltanissetta che decise di collaborare con lo Stato e fu assassinato sotto casa nel maggio del 1996
di Paolo Borrometi
AGI.it, 13 luglio 2020
https://www.agi.it/cronaca/news/2020-07-13/luana-ilardo-mio-padre-consegnato-ai-killer-da-pezzi-dello-stato-9141201/
“Pezzi dello Stato hanno consegnato mio padre ai killer. Lui che aveva deciso di aiutare lo Stato per sconfiggere la mafia”. Lui, Luigi Ilardo, era il capomafia della Provincia di Caltanissetta, cugino di Giuseppe “Piddu” Madonia. Dopo 11 anni di carcere per mafia nel 1993 aveva deciso di cambiare vita e fece ciò che nessuno aveva mai fatto prima (e neanche dopo): continuò a far finta di appartenere a cosa nostra ma lo fece come “infiltrato”.
Iniziò a collaborare con la Direzione Investigativa Antimafia (DIA), come confidente del colonnello dei carabinieri Michele Riccio, con il nome in codice “Oriente”. “Il gioco è iniziato, colonnello”. Disse Ilardo a Riccio, annunciando di esser stato reintegrato all’interno di cosa nostra, dopo aver ripreso i rapporti con i “picciotti”.
E con la sua (rischiosissima) decisione, “consegnò” Provenzano agli inquirenti, peccato che – nei fatti – nessuno all’epoca lo volle arrestare. A raccontare all’AGI Luigi Ilardo, è la figlia, Luana. Dopo anni di silenziosa sofferenza, Luana vuole “riscattare” la memoria del padre.
“La sua collaborazione ha consentito agli inquirenti di assicurare alla giustizia, nel corso di 3 anni – commenta Luana Ilardo – boss di primissimo piano appartenenti a diverse famiglie mafiose delle province di Messina, Catania e Caltanissetta”.
Rivelò tutto quello che sapeva, “su mafia, politica e massoneria”. Poi, il 10 maggio 1996, fu ucciso, a Catania. “Una talpa nelle istituzioni – racconta Luana Ilardo – rimasta ancora oggi senza nome, aveva svelato il suo ruolo di infiltrato. Qualcuno, all’interno dello Stato, aveva paura delle verità che mio padre stava rivelando”.
Tornando a Provenzano, grazie a Ilardo il 31 ottobre 1995 si sarebbe potuto catturare l’allora superlatitante. Catturarlo 11 anni prima del suo arresto, avvenuto poi l’11 aprile del 2006. “Mio padre era riuscito ad indicare agli inquirenti dove si sarebbe tenuto il summit di mafia con Provenzano, in una masseria di Mezzojuso. Accettò di partecipare con una cintura di microspie, rischiando la vita. Nonostante il rischio enorme che si era preso, però, i carabinieri del Ros, guidati da Mario Mori e da Mauro Obinu, decisero di non effettuare il blitz. E quindi, incredibilmente, di non arrestare Provenzano e gli altri”.
Ilardo non si arrese e continuò a fare da confidente al colonnello Riccio, fino al giorno in cui disse di voler intraprendere ufficialmente la collaborazione con la giustizia. Siamo ai primi di maggio del 1996, pochi giorni prima della sua morte.
“Mio padre venne portato al Comando del R.O.S. a Roma dal colonello Riccio: fu a lui che aveva praticamente affidato la propria vita, tanto da dare il suo nome ad uno dei miei fratelli. Quel giorno erano presenti i magistrati Tinebra, Caselli e Principato. Disse tutto ciò che sapeva, ed era tantissimo ma si disse che le sue dichiarazioni sarebbero state verbalizzate in un successivo incontro a Palermo. Incredibilmente non vi fu il tempo”.
La sera del 10 maggio del 1996 Luigi Ilardo venne ucciso brutalmente, mentre si trovava sotto casa. “Lo abbracciai – racconta Luana – da quel giorno non fu più niente uguale e fummo completamente abbandonati da quello Stato a cui mio padre si era affidato. Da tutti, anzi quasi da tutti. Devo dire grazie al magistrato Pasquale Pacifico, ad Alessandro Scuderi ed al signor Pippo. È grazie a loro che venne riaperto il processo”.
Ad ordinare l’assassinio il cugino, “Piddu” Madonia e Vincenzo “Turi” Santapaola. Nella motivazione della sentenza emerge che, sullo sfondo del delitto, vi sono state le classiche false accuse, il tipico “mascariamento” siciliano, come il coinvolgimento di Ilardo nell’omicidio dell’avvocato Serafino Famà o il fatto che si fosse intascato i soldi di alcune estorsioni. È certo però che la condanna a morte di cosa nostra venne emessa quando quella “talpa” rivelò la collaborazione di Ilardo. Il collaboratore di giustizia Nino Giuffrè ha raccontato che la notizia fu persino recapitata a Bernardo Provenzano che “aveva deciso la sua uccisione, chiedendo a lui di occuparsene”.
Luana Ilardo sa bene che suo padre fosse un “uomo della mafia, ma non ne aveva l’indole, lo divenne soltanto perché nacque in quella famiglia. Se avesse avuto la fortuna di nascere in un’altra famiglia, avrebbe studiato per diventare un professionista. Magari la sua passione per i cavalli sarebbe diventata la sua professione”.
E per spiegare questo concetto, Luana precisa come “anche dal punto di vista delle imputazioni, mai mio padre venne accusato di omicidi o di altri feroci crimini. Mai”. E “nella sua unica deposizione scritta, disse di volersi totalmente dissociare da idee che portarono, ad esempio, alla morte del piccolo Giuseppe Di Matteo o della moglie di Nitto Santapaola”.
Oggi Luana è una mamma che lotta per la memoria e la verità da raccontare alla figlia. “Credo nelle Istituzioni, nonostante tutto, perché ci sono tante persone per bene che ne fanno parte, di quelle veramente sane. A loro chiedo che a mio padre sia riconosciuto lo status di collaboratore. È assurdo che per la mafia sia il traditore e per lo Stato non sia collaboratore. Questo limbo, ad oggi infinito – spiega Luana Ilardo – non ha dato una giusta collocazione né a lui, né a noi figli, dando vita a infiniti pregiudizi con i quali ancora oggi conviviamo. Penso che le Istituzioni gli debbano almeno questo, un innegabile e documentato riconoscimento per ciò che ha fatto. Mentre a mia figlia voglio spiegare chi fosse realmente suo nonno e, con lei, voglio spiegarlo a tutti. Io amo mio padre più della mia stessa vita”.