Ed il Papa inventò il calendario

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Il calendario gregoriano è il calendario ufficiale della maggior parte dei paesi del mondo. Esso prende il nome da papa Gregorio XIII, che lo introdusse con la bolla papale ‘Inter gravissimas’. Nel 1582, il 21 marzo, giorno convenzionale per l’equinozio, stabilito dal Concilio di Nicea quale base per il calcolo della Pasqua, arrivava quando il reale equinozio astronomico era ormai già passato da dieci giorni. Papa Gregorio XIII si rese conto che la Pasqua si sarebbe potuta celebrare in estate, decidendo di riformare il calendario giuliano; quindi nominò una commissione di esperti, presieduta dal matematico bavarese Cristoforo Clavio, gesuita professore del Collegio Romano. Ai lavori diedero un contributo decisivo il medico calabrese Luigi Lilio, il matematico e astronomo siciliano Giuseppe Scala e il matematico perugino Ignazio Danti. Il calendario gregoriano entrò subito in vigore il 15 ottobre 1582 in Italia, Francia, Spagna, Portogallo, Polonia, Lituania, Belgio, Olanda, Lussemburgo, e negli altri paesi cattolici in date diverse nei cinque anni successivi. Gli altri paesi si uniformarono in epoche successive: gli stati luterani, calvinisti e anglicani durante il XVIII secolo.

 

 

Infatti, papa Gregorio XIII il 24 febbraio 1582, nel suo decimo anno di pontificato emise la bolla in cui si diceva che papa Pio V aveva curato i contenuti principali del breviario, ma occorreva stabilire la ricorrenza annuale della Pasqua: “Pochi anni fa abbiamo inviato questa nuova riforma del calendario, racchiusa in un piccolo volume, ai principi cristiani e alle più celebri università, affinché una cosa che è comune a tutti si facesse col consiglio di tutti; e avendo essi risposto concordemente, cosa che massimamente desideravamo, noi, spinti dal loro consenso, abbiamo incaricato per la riforma del calendario nella città di Roma gli uomini più esperti di questo argomento, che da lungo tempo avevamo scelto tra le principali nazioni della cristianità”. Il problema principale della riforma era quello di stabilire: “la data esatta dell’equinozio di primavera; poi la data esatta del plenilunio del primo mese, quello che cade lo stesso giorno dell’equinozio o immediatamente dopo, e poi la domenica che segue tale plenilunio; e perciò abbiamo curato che non solo venisse restituito alla data antica, stabilita dal concilio di Nicea, l’equinozio di primavera, che aveva anticipato di circa dieci giorni e che il plenilunio pasquale tornasse alla sua data, dalla quale oggi dista di quattro giorni, ma anche che ci fosse un metodo razionale per il quale si evitasse che l’equinozio e il plenilunio pasquale si spostassero in futuro dalle loro sedi.

Affinché dunque l’equinozio di primavera, che dai padri del concilio di Nicea fu stabilito al 21 marzo, venga riportato a quella data, comandiamo e ordiniamo che dal mese di ottobre dell’anno 1582 si tolgano dieci giorni, dal 5 al 14, e che il giorno dopo la festa di s. Francesco, che si suole celebrare il 4, si chiami 15 e che in esso si celebri la festa dei santi Dionigi, Rustico ed Eleuterio martiri, con commemorazione di S. Marco papa e confessore e dei santi Sergio, Bacco, Marcello e Apuleio martiri; e che il giorno successivo, 16 ottobre, si celebri la festa di S. Callisto papa e martire; e che il 17 ottobre si dica l’ufficio e la messa della XVIII domenica dopo Pentecoste, cambiando la lettera domenicale da G a C; e che il 18 ottobre si faccia la festa di S. Luca evangelista, e che da allora in poi si celebrino i giorni festivi secondo che sono scritti sul calendario”.

Ma questo spostamento di date poteva creare alcuni problemi economici ed allora papa Gregorio XIII nella Bolla decretò: “E affinché da questa sottrazione di dieci giorni non venga danno ad alcuno per quanto riguarda i pagamenti mensili o annuali, sarà compito dei giudici, nelle eventuali controversie, tenere conto di questa sottrazione aggiungendo altri dieci giorni alla fine di ogni prestazione. Inoltre, affinché in futuro l’equinozio non anticipi rispetto al 21 marzo, stabiliamo che si debba continuare a intercalare un bisestile ogni quattro anni (come al solito), eccetto che negli anni centesimi; i quali, anche se prima erano sempre bisestili, come vogliamo che sia l’anno 1600, dopo questo non saranno tutti tali, ma in ogni quattrocento anni i primi tre non saranno bisestili, ma il quarto anno centesimo sia bisestile, per cui gli anni 1700, 1800, 1900 non siano bisestili, ma nell’anno 2000, come al solito, si intercalerà il giorno bisesto, in modo che febbraio abbia 29 giorni, e lo stesso ordine di omissione e di intercalazione si rispetterà per sempre in ogni periodo di 400 anni.

Affinché poi si trovò esattamente il plenilunio pasquale, e che l’età della luna sia enunciata esattamente al popolo, secondo la vecchia usanza di apprenderlo giorno per giorno dal martirologio, stabiliamo che, eliminato il numero d’oro, al suo posto si sostituisca il ciclo delle epatte che, come dicemmo, ottenuto in modo certo dal numero d’oro, fa sì che il novilunio e il plenilunio pasquale vadano sempre alla data esatta. E ciò appare manifestamente nella nostra spiegazione del calendario, nel quale sono descritte anche le tavole pasquali secondo il vecchio rito ecclesiastico, e col quale si può con più certezza e facilità la santa Pasqua”.

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