La elezione di Francesco: il commento del cardinale Damasceno Assis
Korazym ha incontrato Dom Raymundo Damasceno Assis, uno dei tre cardinali brasiliani che sono entrati in Conclave. Classe ’37, arcivescovo di Aparecida e presidente della Conferenza episcopale brasiliana, racconta a Korazym l’esperienza del Conclave e ci parla della Chiesa in America Latina, che vive una stagione di rinascita missionaria dopo la V Conferenza del Celam (la Conferenza degli episcopati latino-americani, di cui è presidente), a cui partecipò Benedetto XVI nel 2007. Le Congregazioni generali “sono trascorse, come anche il Conclave, in un clima di trasparenza, grande fraternità e apertura. Credo che siano molto importanti perché danno a tutti una visione della Chiesa, delle sue sfide, delle sue difficoltà. Riceviamo informazioni sulla attività della Curia Romana, possiamo farci un’idea del profilo del nuovo Papa” così che il Conclave “si ‘riduce’ alla elezione del Papa”. Le Congregazioni “ci hanno preparato in un clima di riflessione, di preghiera, che ha permesso un Conclave rapido. Io speravo un conclave non lungo, di un giorno al massimo”. L’elezione di Papa Francesco “è stata una sorpresa per la stampa, per il mondo esterno che non ha visto il suo nome circolare nei mezzi di comunicazione, ma quando il suo nome è comparso nei dialoghi con altri cardinali, per me già non sarebbe stata una sorpresa se fosse stato eletto. È una persona con una grande esperienza, era alla guida di una grande arcidiocesi, così che il suo nome è andato crescendo nel consenso tra i cardinali e alla fine è stato eletto, con una certa rapidità”.
L’elezione di Papa Francesco “è stata una sorpresa per la stampa perché pensava a Scola o Scherer; un terzo era il cardinale Ouellet. A sorpresa è stato scelto un nome terzo, ma non previsto dai media, ed è stato eletto. Come accade molte volte, lo Spirito Santo soffia come vuole e dove vuole, così che in tutti i Conclavi ci sono sempre sorprese. I cardinali si sentono molto liberi di votare e molto aperti all’opera dello Spirito, molto indipendenti. I mezzi di comunicazione danno le loro preferenze ma i cardinali si sentono totalmente liberi”. Dopo le dimissioni di Benedetto XVI tutti i commentatori avevano puntato su un Papa giovane. Anche il cardinale Assis si è posto la domanda. Così spiega: “Il criterio non è né il continente, né il paese da cui viene un cardinale. Non è l’età, a meno che non sia così avanzata che la persona non abbia le forze per governare la Chiesa. Chiaramente non può essere un’età esagerata. Non si vota un Papa di 90 anni o di 86 anni che non ha vigore fisico. Così come ci possono essere persone di 60 anni fragili fisicamente. Ma oggi sappiamo che le speranze di vita sono aumentate, le aspettative di vita sono migliori: spesso si arriva a 70-75 anni con un vigore fisico e di animo molto intenso. È il caso del cardinale Bergoglio, il papa Francesco. È una persona di vigore fisico e mentale, è lucido, ha una struttura fisica forte, diversamente da Benedetto XVI che era più fragile fisicamente, o come fu Giovanni Paolo I. Papa Francesco denota vigore, salute, animo. Sembra che sia papa già da due tre anni tanta è la sua naturalezza e spontaneità, non è nervoso o preoccupato, è tranquillo, sereno”.
Con il cardinale Assis facciamo uno zoom sulla situazione della Chiesa in America Latina. Che è positivamente influenzata dal documento di Aparecida del 2007: “Sta rendendo dinamica la vita della Chiesa, ispirando i piani e le direttrici pastorali delle Conferenze episcopali e delle diocesi. Da Aparecida in poi, la Chiesa ha recuperato l’entusiasmo missionario in tutto il Continente, ricollocandosi – come dice il documento – in uno stato permanente di missione. La Chiesa è per sua natura missionaria”. E “per questo è necessario tornare discepoli, discepoli per essere missionari. Non si è missionari senza prima essere discepoli e non si è discepoli senza essere missionari. Prima torno discepolo, seguace di Gesù Cristo, prima faccio esperienza dell’incontro con Gesù Cristo, aderisco a Lui nella fede e faccio di Lui la ragione della mia vita e a partire da questo divento missionario, testimone di Gesù Cristo, con la mia parola e la mia vita”. In America Latina “stiamo cercando di formare discepoli missionari, è la grande sfida della Chiesa”. E ciò riguarda “non solo i laici ma anche i ministri ordinati. Tutti dobbiamo essere discepoli per essere missionari, tutta la Chiesa deve essere discepola per poter annunciare Gesù Cristo”. Dentro questo spirito c’è un secondo aspetto, che il cardinale riassume con l’espressione “reti di comunità”: “Si deve creare spazio per i laici, dare importanza al ministero non ordinato, creare centri comunitari per incontrarsi e pregare, tutto questo dentro lavoro organico e congiunto, non sono comunità acefale come i protestanti. Sono comunità unite in comunione, con il parroco e con il vescovo della diocesi”.
Si tratta di “fare delle nostre comunità delle comunità missionarie, non di conservazione di quel che siamo, ma di incontro con persone distanti, per portare loro il Vangelo, per fargli scoprire Gesù Cristo nella loro vita”. Dunque missione “ad gentes”, ma il cardinale spiega che “c’è bisogno anche della nuova evangelizzazione, per coloro che sono battezzati ma non evangelizzati, che sono preparati per ricevere i sacramenti ma non hanno fatto l’esperienza dell’incontro vitale, esistenziale, con Gesù Cristo”. L’obiettivo è “riscoprire la fede e Gesù Cristo nella vita, alimentare questa fede con i sacramenti, la preghiera e la vita in comunità”. Spesso pensiamo alla Chiesa latinoamericana come sbilanciata sul sociale. Il cardinale Assis risponde così: “Quando si parla di evangelizzazione, si parla di evangelizzazione integrale, quindi compresa la promozione umana, la difesa della dignità umana, dei diritti umani, compresa la promozione dei bisogni dei poveri. L’evangelizzazione è integrale: non è solo l’annuncio di Gesù Cristo, ma di Gesù Cristo liberatore, che libera dai peccati e dalle conseguenze del peccato, quindi da tutte le forme di vita ‘disumana’, per portare le persone da una condizione meno umana a una condizione più umana di vita. Questo è il contenuto del lavoro evangelizzatore della Chiesa: non un lavoro lontano dai poveri, dalle loro necessità e dai loro problemi, non è una preoccupazione meramente spirituale, ma riguarda la vita integrale delle persone, il piano umano e spirituale, comunitario. È una dimensione integrale”.
Rimane preoccupante il fenomeno delle sette, le cosiddette chiese pentecostali, che sono in continua crescita, “soprattutto a causa del processo di urbanizzazione”. La Chiesa “non ha sacerdoti a sufficienza, non ha formazione adeguata dei laici, di discepoli missionari, e così si crea un vuoto che altri occupano”. A luglio Papa Francesco sarà in Brasile: “Guardiamo con molto entusiasmo, molta allegria, molta affezione al Papa, lo attendiamo a Rio de Janeiro”. Il programma? “È un nuovo papa, viene dall’America latina. Non so che tipo di programmazione farà: potrebbe ampliare un po’ il suo viaggio. Con papa Benedetto XVI era già stabilita come unica tappa Rio de Janeiro, col nuovo Papa potrebbe cambiare qualcosa”. E conclude: “La presenza di un Papa in un paese è sempre benefica, è sempre animatrice della Chiesa e la sua parola sempre porta frutto, la sua presenza produce frutto. Non vuol dire che il Papa va a convertire l’America Latina, ma la sua presenza e la sua parola di pastore di tutta la Chiesa saranno sicuramente molto benefiche e fruttuose, come è stato per Benedetto XVI ad Aparecida o Giovanni Paolo II. La visita di Papa Francesco sarà molto positiva se sarà preceduta da una buona preparazione del Brasile e dei giovani di tutto il mondo che verranno a Rio de Janeiro. È fondamentale la preparazione”