Bergoglio e Agostino, quella introduzione al libro di don Tantardini

“Si può dire in tanti modi che il santo vescovo d’Ippona è attuale” scriveva l’allora cardinale Jorge Mario Bergoglio s.j. nell’introduzione al libro di don Giacomo Tantardini “Il tempo della Chiesa secondo Agostino – seguire e rimanere in attesa. La felicità in speranza” edito da Città Nuova. Il futuro Papa, sulla scia del testo di don Tantardini, preferisce una via particolare per affermare l’attualità di Sant’Agostino: “Se Agostino è attuale, se ci è contemporaneo -come questo libro documenta- lo è soprattutto perché descrive semplicemente come si diventa e si rimane cristiani nel tempo della Chiesa”. Il nostro tempo, il tempo di ogni uomo, dall’Ascensione alla seconda venuta, definitiva, di Cristo.
Il cardinale Bergoglio rimane colpito da come Agostino racconta, analizza e commenta l’incontro di Gesù con Zaccheo. Il futuro Papa evidenzia i tre momenti dello sguardo fra il Maestro e Zaccheo: Zaccheo lo cerca con gli occhi, Gesù lo guarda, Zaccheo “fu guardato e allora vide”. Scrive il futuro Papa: “Qui sta il punto: alcuni credono che la fede e la salvezza vengano col nostro sforzo di guardare, di cercare il Signore. Invece è il contrario: tu sei salvo quando il Signore ti cerca, quando Lui ti guarda e tu ti lasci guardare e cercare. Il Signore ti cerca per primo. E quando tu Lo trovi, capisci che Lui stava là guardandoti, ti aspettava Lui, per primo. Ecco la salvezza: Lui ti ama prima. E tu ti lasci amare. La salvezza è proprio questo incontro dove Lui opera per primo”.
L’inizio è opera del Signore ma occorre da parte nostra perseverare. Sant’Agostino ne indica la maniera: seguire e rimanere in attesa. Se vogliamo, ciò riecheggia il camminare che Papa Francesco ha indicato ai cardinali elettori in Sistina il giorni successivo all’elezione. Giovanni è l’esempio di questo movimento: scrive l’allora cardinale Bergoglio “Giovanni rappresenta chi attende di essere amato, e rimane per grazia e non per sforzo in questa attesa. In lui appare evidente che «se non si è prima amati (cf. 1Gv 4, 19) non si può né amare né seguire» (p. 171). In lui si rinnova in ogni istante l’attesa dei gesti del Signore, l’attesa di quei nuovi inizi nei quali la libertà aderisce alla grazia «per il piacere da cui è attratta» (p. 372)”.
Dell’introduzione del cardinale Bergoglio mi colpisce l’accenno ad un segno particolare di quando siamo guardati e abbracciati dal Signore: l’affiorare nel cuore della felicità in speranza. La felicità è una grazia. Scrive il futuro Francesco: “la felicità su questa terra, promessa come caparra della felicità celeste, non nasce da noi, non la possiamo costruire noi e nemmeno conservare e padroneggiare noi. Non è nelle nostre mani, e quindi risulta precaria, secondo gli schemi di chi crede di costruire la vita come un proprio progetto. È la felicità dei poveri, che ne godono come dono gratuito. La felicità di chi vive sempre sospeso alla speranza del Signore, e proprio per questo è tranquillo. Perché è una cosa bella vivere sicuri che il Signore ci ama per primo, ci cerca per primo”.
Questo prelude ad un invito che il cardinale compie: come Zaccheo, salire sull’albero dell’humilitas. Perché ci viene incontro il Signore che pazientemente attende il movimento dell’uomo. Conclude il cardinale: “A Lui”, cioè al “Signore della pazienza”, scrive Bergoglio “Sant’Agostino rivolge la bella preghiera riproposta di recente anche da Benedetto XVI, che può sintetizzare anche tutto questo libro: «Concedi ciò che comandi, e poi comanda ciò che vuoi»”.