Delitto e castigo o peccato e misericordia?
Come afferma il filosofo Lev Sestof, il grande scrittore russo Fedor Dostoevskj ha un’attrazione particolare per quelli che sono respinti, per i criminali e per gli umiliati. In Delitto e castigo, il protagonista del romanzo, Raskòl’nicov, studente costretto a vivere in un abbaino, braccato dalla miseria e nel cui cuore si è accumulato l’amaro disprezzo per una vita che sembra una condanna, è il simbolo di uno scontro ideologico tra due concezioni antitetiche: il socialismo solidaristico di Marx e l’arroganza del “superuomo” di Nietzsche.
Aldilà dell’intreccio del romanzo, definito, giustamente, una sorta di “anatomia dell’anima”, il dramma narra una storia individuale che ha un prologo e un epilogo all’interno dello scontro tra due concezioni diverse dell’uomo e della vita. Per Raskòl’nicov, la società è governata da uomini “superiori” che hanno solo poteri e diritti sconoscendo doveri e leggi; al tempo stesso, è divisa tra ricchi che possiedono tutto e poveri che hanno soltanto la disperazione della miseria. Il “superuomo” è autorizzato a commettere qualsiasi tipo di delitto pur di fare giustizia in un mondo ingiusto. Il protagonista del romanzo, infatti, uccide con una scure una vecchia usuraia per riscattare la famiglia Marmeladov e sua sorella Dunja dalla miseria e da un destino di schiavitù. Egli dimostra così di non essere un volto anonimo in un mondo di individui senza volto. Dopo il delitto, in Raskòl’nicov esplode un drammatico tormento che lo inabissa nel caotico vortice di contraddizioni fatte di angosce, dubbi e paure. Sarà Sonia, la prostituta, la “donna di vita”, che, con la sua semplicità di fede e col suo disarmante amore, farà capire all’assassino che nessun gesto di violenza, da qualsiasi parte venga, porterà mai giustizia e felicità. L’unica strada è la fede, la sola via che dà luce e significato all’accettazione del castigo. Il dramma dell’espiazione diventa così gioia di redenzione.
Delitto e castigo o peccato e misericordia?
Quel giorno, all’alba, Gesù era di nuovo nel tempio a insegnare; mentre insegnava, gli scribi e i farisei gli condussero una donna sorpresa in adulterio, postala ben in vista, gli dissero: “Maestro, questa donna è stata sorpresa in flagrante adulterio. In casi come questi, Mosè nella legge ha prescritto la lapidazione; tu che dici?” (Gv 7,4). Sappiamo bene che la domanda nasconde il trabocchetto per poi poterlo accusare: così sono fatti i farisei, e non solo quelli del tempo di Gesù! Il Maestro risponde: “Chi di voi è senza peccato le scagli per primo la pietra” (v. 7). Dirà poi: “Voi giudicate secondo la carne, io non giudico nessuno” (8,15). Quell’“io non giudico nessuno” detto da Gesù, mi ha sempre messo in crisi! Il giudizio secondo la carne, cioè secondo l’uomo, è ispirato alla morale sociologica e all’etica razionale che producono imperativi rigorosi e atteggiamenti discriminanti o eliminanti. La novità evangelica non contesta il carattere peccaminoso dell’adulterio né la legge etica che lo proibisce, contesta la malizia di chi si fa tutore della legge nascondendo i propri peccati ed esasperando giudizi e sanzioni per i peccati altrui. Gesù, con le sue parole, evidenzia l’insufficienza della legge cercando di liberare l’uomo dalla schiavitù del peccato e promuovendo così la nuova legge dell’amore che è “redenzione” di perdono e “rinascita” della persona perdonata. Quando il perdono non è accompagnato dalla rinascita è un falso perdono. Gesù interiorizza il peccato sottraendolo alla falsa oggettività del moralismo giuridico. Chi si crede o finge di “essere giusto” è incapace di spalancare il cuore alla misericordia e donare perdono.
Delitto e castigo o peccato e misericordia?
Illuminanti al riguardo sono le tre parabole della misericordia che l’evangelista Luca ci racconta. Esse hanno lo scopo di manifestare il pensiero di Gesù difronte agli scribi e ai farisei che mormorano dicendo: “Costui preferisce la compagnia dei peccatori e mangia con loro” (cf Lc 15,1-32). Quest’atteggiamento scandalistico è tipico delle così dette “persone dalle mani pulite”. Il comportamento di Gesù è lo stesso di quello del Padre suo che ama i peccatori e li attende come il padre della parabola aspetta che il figlio ritorni tra le sue braccia. Anzi, è proprio il padre, l’offeso, che prende l’iniziativa, che va in cerca, come il buon pastore, della pecorella smarrita o come la donna che affannosamente desidera trovare la moneta perduta.
Sappiamo che il peccato non è solo “offesa” a Dio, è anche fallimento dell’uomo, anzi è “morte” per l’uomo e, in quella morte redenta, Cristo fa rinascere la vita per l’uomo nuovo. La delusione e il castigo che il peccato porta in sé, è anche il luogo del perdono salvifico; perdono che è in rapporto al ravvedimento e al ritorno nella casa e nel cuore del Padre; perdono che sorprende e indispettisce chi crede di essere giusto e intatto.
La vera colpa dei farisei non è soltanto quella di mormorare – verbo che indica incredulità – contro il comportamento di Gesù nei riguardi dei peccatori, è anche quella di costruirsi un Dio su propria misura, giustificando così i propri comportamenti discriminanti. Lo stile di Gesù rivela ai farisei il fatto che essi non capiscono nulla né di Dio né di peccato né di conversione, dimostrando così di credere a una teologia sbagliata. Figura tipica di fariseo è il figlio rimasto in casa; egli crede di essere giusto, ma proprio per questo esplode d’invidia perché vede l’avvolgente abbraccio di misericordia del padre al fratello che ritorna. Anche lui non capisce nulla né dell’amore paterno né di quello fraterno, perciò il suo cuore rimane quello di mercenario. Il vero perdono ha il potere di rinnovare e ricreare i rapporti paterni e fraterni spezzati dalla colpa, ma bisogna comprendere e vivere i gesti misteriosi del perdono di Dio.
Delitto e castigo o peccato e misericordia?
Talvolta, certo stile di usare misericordia è peggiore di quello dei farisei: si dice di essere misericordiosi ma poi si condanna il peccatore pentito facendolo rimanere fuori della fraternità con le vendette, l’allontanamento e le minacce dell’epurazione.
Suscitò scalpore, nel gennaio del 1998, il fatto che in un carcere del Texas venne “giustiziata” Carla Tucker, ritenuta colpevole dell’uccisione di una donna. All’esecuzione era presente anche il marito della vittima che, con aria di trionfo, disse ai giornalisti: “Che sollievo vederla morire!”. Questo è il momento delle sconfitte e delle illusioni. Sconfitte, perché si cade nella perversa tentazione di “fare giustizia”, mentre in verità tutto ruota attorno al sentimento di vendetta che esplode dal rancore e dall’odio che vuole liberarsi del vero o presunto “colpevole” per distruggerlo. Offesa e difesa diventano così veri e propri assassini. I sentimenti che sostituiscono il perdono misericordioso offrono soltanto illusione di giustizia perché sono sentimenti di rabbia distruttiva, effimera e ingannevole, sensazione di avere in mano il potere per usarlo come piace. Con questi atteggiamenti si coniuga anche il “falso perdono” che è la finzione di usare una misericordia che non esiste, dunque un sentimento ancor più farisaico e diabolico.
Delitto e castigo o peccato e misericordia?
Con il fratello che pecca o è in pericolo di peccare, il Maestro Gesù insegna l’arte evangelica della “correzione fraterna” che sgorga dall’amore misericordioso, dalla fiducia e dalla non violenza, smettendo di teatralizzare il male degli altri. Il perdono è correlativo alla correzione fraterna che non è un giudizio asettico e perfido, ma un perdono senza limiti come quello di Dio. Se nelle offese personali il perdono è illimitato per la risposta, rimasta proverbiale, che Gesù dà a Pietro quando gli dice che bisogna perdonare non “fino a sette, ma fino a settanta volte sette” (Mt 18,22), nelle situazioni abituali di peccato, che sono motivo di scandalo per la comunità, il dono della misericordia si esprime anzitutto con la correzione fraterna, che non è un consiglio ma un comando: “vai e ammoniscilo”. Solo chi rifiuta la correzione sarà considerato un “pagano”, cioè un estraneo alla comunità e un “pubblicano”, cioè un peccatore pubblico. Ciò non significa rompere i rapporti con i fratelli e portarli al rogo della solitudine e dell’abbandono, altro segno di subdola vendetta: il cuore del vero padre attende sempre il ritorno del figlio, anche se il cuore di pietra del falso fratello rigetta i gesti dell’amore paterno e perciò diventa incapace di vera fraternità. Il peccatore continua ad avere Dio come Padre e il Padre continua ad amarlo come figlio.
Delitto e castigo o peccato e misericordia?
L’adulazione reciproca è un modo di tessere una menzogna comune che dà contenuto alle singole coscienze, le quali sono protette dalla paura della verità. I giudei (sacerdoti, scribi, farisei, sadducei) fanno cerchio ogni volta che la loro omertà ideologica è smascherata: è la paura dell’altro, diciamo pure, la paura di Dio che è amore misericordioso, irriducibile al sistema legalistico farisaico. I giudei accolgono la Scrittura, ma ne respingono in senso profondo e profetico. Per Gesù, la “giustizia”, come correttivo critico della coscienza e del sistema, vuol significare un’altra cosa. Il suo criterio di giustizia lo porta fuori e lontano dal sistema farisaico e persino dall’idea di Dio che l’uomo si costruisce quotidianamente, quella cioè di un Dio rigido sostenitore dell’equilibrio del dare e dell’avere-ricevere. Non si può concepire così la redenzione! Il Dio di Gesù Cristo, proprio perché innocente Figlio di Dio, muore per l’uomo peccatore. L’equilibrio della parità tra delitto e castigo è sconvolto dal nuovo concetto di giustizia tra peccato e misericordia. L’onestà degli “empi” pagani fa ormai parte della vecchia logica legalistica superata dalla divina misericordia incarnata. Dio ha riconosciuto l’uomo, che gli ha sconvolto la creazione, in tutta la sua realtà malvagia, ma l’ha accolto di nuovo nel suo amore guidandolo nel regno della redenzione.
Sul perdono, però, non si deve equivocare. Il perdono evangelico non esclude, nei casi previsti, che la legge dello Stato faccia il suo corso, altrimenti la società diventerebbe ingovernabile e i danni causati dal male non troverebbero rimedio. Non dimentichiamo, tuttavia, che la concessione del perdono e la sua accettazione hanno già in se stesse una rilevante funzione sociale. Se il perdono cristiano fosse praticato, almeno dai cristiani, la comunità umana sarebbe meno lacerata dalle vendette e meno avvelenata dall’odio.
Il Signore misericordioso dà ai suoi discepoli il comandamento nuovo: “Siate misericordiosi com’è misericordioso il Padre vostro” (Lc 6,36). La misericordia non nasce né da prudenza diplomatica né da teoria metafisica o religiosa né da una sorta di regola morale né da un falso e mieloso atteggiamento di pseudo-carità. I gesti di misericordia scaturiscono dall’amore sconvolgente e coinvolgente di Dio in Cristo, quello stesso amore che deve sconvolgere e coinvolgere anche i discepoli di Cristo.
San Giacomo ci ammonisce: “Parlate e agite come persone che devono essere giudicate secondo una legge di libertà, perché il giudizio sarà senza misericordia contro chi non ha usato misericordia; la misericordia invece ha sempre la meglio nel giudizio” (Gc 2,12-13).