Joseph Ratzinger e Agostino – parte terza – Le catechesi: Agostino e Benedetto allo specchio
Agostino è il santo davanti alla cui tomba, il 22 aprile 2007, Benedetto XVI dice: “qui, davanti alla tomba di sant’Agostino, vorrei idealmente riconsegnare alla Chiesa e al mondo la mia prima Enciclica, che contiene proprio questo messaggio centrale del Vangelo: Deus caritas est, Dio è amore (1 Gv 4, 8.16). Questa Enciclica, soprattutto la sua prima parte, è largamente debitrice al pensiero di sant’Agostino, che è stato un innamorato dell’Amore di Dio, e lo ha cantato, meditato, predicato in tutti i suoi scritti, e soprattutto testimoniato nel suo ministero pastorale”. Nel febbraio 2008, al termine dell’ultima delle Udienze dedicate alle catechesi su Sant’Agostino, aggiunge: “Alla speranza ho voluto dedicare la mia seconda Enciclica, Spe salvi, e anch’essa è largamente debitrice nei confronti di Agostino e del suo incontro con Dio”.
Se è lo stesso papa a dichiarare l’importanza di un santo nella sua vita e nei suoi scritti, seguire la traccia che egli stesso ha indicato non può essere nulla di più che un atto di buon senso. Concludiamo, allora, il nostro percorso rileggendo il ritratto che di Agostino fa Benedetto XVI nell’ultima delle cinque catechesi dedicate al vescovo di Ippona nel 2008 (9 gennaio – 27 febbraio). Uno specchio che può risultare illuminante anche riguardo la vita del papa emerito, fino agli ultimi giorni di pontificato: una lettura integrale ci direbbe di Benedetto XVI molto a riguardo di quel che ci si è chiesti nei giorni della rinuncia.
Benedetto XVI ci dice che quella di Agostino è una vicenda spirituale interessata da una sola grande conversione, in tre tappe: “Chiunque avvicini questo libro straordinario e affascinante – (le Confessioni, ndr) -, ancora oggi molto letto, si accorge facilmente come la conversione di Agostino non sia stata improvvisa né pienamente realizzata fin dall’inizio, ma possa essere definita piuttosto come un vero e proprio cammino, che resta un modello per ciascuno di noi. Questo itinerario culminò certamente con la conversione e poi con il Battesimo, ma non si concluse in quella Veglia pasquale dell’anno 387, quando a Milano il retore africano venne battezzato dal Vescovo Ambrogio. Il cammino di conversione di Agostino infatti continuò umilmente sino alla fine della sua vita, tanto che si può veramente dire che le sue diverse tappe – se ne possono distinguere facilmente tre – siano un’unica grande conversione”.
Dice del santo: “Sant’Agostino è stato un ricercatore appassionato della verità: lo è stato fin dall’inizio e poi per tutta la sua vita. La prima tappa del suo cammino di conversione si è realizzata proprio nel progressivo avvicinamento al cristianesimo.” Riceve un’educazione cristiana dalla madre Monica e avverte sempre per Cristo un’attrazione profonda. Anche la filosofia lo avvicina a Cristo, mostrandogli “l’esistenza del Logos, la Ragione creatrice. I libri dei filosofi gli indicavano che c’è la Ragione, dalla quale viene poi tutto il mondo, ma non gli dicevano come raggiungere questo Logos, che sembrava così lontano. Soltanto la lettura dell’epistolario di san Paolo, nella fede della Chiesa cattolica, gli rivelò pienamente la verità”. E’ la prima e decisiva conversione. “A questa tappa fondamentale del suo lungo cammino – spiegava papa Benedetto – il retore africano arrivò grazie alla sua passione per l’uomo e per la verità, passione che lo portò a cercare Dio grande e inaccessibile. La fede in Cristo gli fece capire che il Dio, apparentemente così lontano, in realtà non lo era”.
Seconda tappa: “Tornato in Africa e fondato un piccolo monastero, vi si ritirò con pochi amici per dedicarsi alla vita contemplativa e di studio. Questo era il sogno della sua vita. Adesso era chiamato a vivere totalmente per la verità, con la verità, nell’amicizia di Cristo che è la Verità. Un bel sogno che durò tre anni, fino a quando egli non venne, suo malgrado, consacrato sacerdote a Ippona e destinato a servire i fedeli, continuando sì a vivere con Cristo e per Cristo, ma a servizio di tutti. Questo gli era molto difficile, ma capì fin dall’inizio che solo vivendo per gli altri, e non semplicemente per la sua privata contemplazione, poteva realmente vivere con Cristo e per Cristo” (alla stessa conclusione giunge Benedetto XVI nell’ultima udienza, il 27 febbraio 2013, quando dice: “Ho potuto sperimentare, e lo sperimento precisamente ora, che uno riceve la vita proprio quando la dona”). “Così – prosegue Benedetto XVI – , rinunciando a una vita solo di meditazione, Agostino imparò, spesso con difficoltà, a mettere a disposizione il frutto della sua intelligenza a vantaggio degli altri. Imparò a comunicare la sua fede alla gente semplice e a vivere così per essa in quella che divenne la sua città, svolgendo senza stancarsi un’attività generosa e gravosa, che così descrive in uno dei suoi bellissimi sermoni: «Continuamente predicare, discutere, riprendere, edificare, essere a disposizione di tutti – è un ingente carico, un grande peso, un’immane fatica» (Sermoni 339,4). Ma questo peso egli prese su di sé, capendo che proprio così poteva essere più vicino a Cristo. Capire che si arriva agli altri con semplicità e umiltà, fu questa la sua seconda conversione”. Tornano alla mente le parole dell’Udienza generale del 27 febbraio 2013, quando, rievocando il giorno dell’elezione, Benedetto ricorda la sua preghiera: “Signore, perché mi chiedi questo e che cosa mi chiedi? E’ un peso grande quello che mi poni sulle spalle, ma se Tu me lo chiedi, sulla tua parola getterò le reti, sicuro che Tu mi guiderai, anche con tutte le mie debolezze”?
Benedetto XVI delinea poi un’ultima tappa del cammino di Agostino, una “terza conversione: quella che lo portò ogni giorno della sua vita a chiedere perdono a Dio”. Quattro anni prima di morire – racconta il papa – Agostino volle designare il successore. “Il 26 settembre 426, radunò il popolo nella Basilica della Pace, ad Ippona, per presentare ai fedeli colui che aveva designato per tale compito. Disse: «In questa vita siamo tutti mortali, ma l’ultimo giorno di questa vita è per ogni individuo sempre incerto. Tuttavia nell’infanzia si spera di giungere all’adolescenza; nell’adolescenza alla giovinezza; nella giovinezza all’età adulta; nell’età adulta all’età matura; nell’età matura alla vecchiaia. Non si è sicuri di giungervi, ma si spera. La vecchiaia, al contrario, non ha davanti a sé alcun altro periodo da poter sperare; la sua stessa durata è incerta… Io per volontà di Dio giunsi in questa città nel vigore della mia vita; ma ora la mia giovinezza è passata e io sono ormai vecchio» (Ep. 213,1).” Agostino fece il nome del prete Eraclio come suo successore. L’assemblea scoppiò in un applauso di approvazione e approvò “quanto Agostino disse poi circa i propositi per il suo futuro: voleva dedicare gli anni che gli restavano a un più intenso studio delle Sacre Scritture (cfr Ep. 213,6)”.
“Di fatto, – spiega Benedetto – quelli che seguirono furono quattro anni di straordinaria attività intellettuale. Inizialmente aveva pensato che una volta battezzato, nella vita di comunione con Cristo, nei Sacramenti, nella celebrazione dell’Eucaristia, sarebbe arrivato alla vita proposta dal Discorso della montagna: alla perfezione donata nel Battesimo e riconfermata nell’Eucaristia. Nell’ultima parte della sua vita capì che quello che aveva detto nelle sue prime prediche sul Discorso della montagna – cioè che adesso noi da cristiani viviamo questo ideale permanentemente – era sbagliato. Solo Cristo stesso realizza veramente e completamente il Discorso della montagna. Noi abbiamo sempre bisogno di essere lavati da Cristo e da Lui rinnovati. Per questo abbiamo bisogno di quella conversione permanente, che si alimenta all’umiltà di saperci peccatori in cammino, finché il Signore ci dia la mano definitivamente e ci introduca nella vita eterna In questo atteggiamento di umiltà, vissuto giorno dopo giorno, Agostino visse e morì”.
“Il santo Vegliardo – dice Benedetto a proposito degli ultimi anni di vita nella II catechesi – profittò di quel tempo finalmente libero per dedicarsi con più intensità alla preghiera. Era solito affermare che nessuno, Vescovo, religioso o laico, per quanto irreprensibile possa sembrare la sua condotta, può affrontare la morte senza un’adeguata penitenza. Per questo egli continuamente ripeteva tra le lacrime i Salmi penitenziali, che tante volte aveva recitato con il popolo (cfr ibid., 31,2). Più il male si aggravava, più il Vescovo morente sentiva il bisogno di solitudine e di preghiera: «Per non essere disturbato da nessuno nel suo raccoglimento, circa dieci giorni prima d’uscire dal corpo pregò noi presenti di non lasciar entrare nessuno nella sua camera fuori delle ore in cui i medici venivano a visitarlo o quando gli si portavano i pasti. Il suo volere fu adempiuto esattamente e in tutto quel tempo egli attendeva all’orazione» (ibid., 31,3). Cessò di vivere il 28 agosto del 430: il suo grande cuore finalmente si era placato in Dio”. Agostino rinuncia al suo mandato per una vita di preghiera penitenziale e di studio.
L’umiltà intellettuale degli ultimi anni di vita: le Retractationes. Il vescovo di Ippona, prosegue Benedetto XVI, “volle negli ultimi anni della sua vita sottoporre a un lucido esame critico tutte le sue numerosissime opere. Ebbero così origine le Retractationes (Ritrattazioni), che in questo modo inseriscono il suo pensiero teologico, davvero grande, nella fede umile e santa di quella che egli chiama semplicemente con il nome di Catholica, cioè della Chiesa. «Ho compreso – scrive appunto in questo originalissimo libro (I,19,1-3) – che uno solo è veramente perfetto e che le parole del Discorso della montagna sono totalmente realizzate in uno solo: in Gesù Cristo stesso. Tutta la Chiesa invece – tutti noi, inclusi gli Apostoli – dobbiamo pregare ogni giorno: rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori»”.
Qualche anno prima di morire, lontano dal mondo e raccolto in preghiera, Agostino passa in rassegna le sue opere nelle Retractationes (Ritrattazioni): una revisione di tutti i suoi scritti. Se, sull’esempio di S. Agostino, il papa emerito Benedetto profitterà degli anni di clausura per revisionare i suoi scritti da cardinale, sarà la storia a dirlo.
Pensando alla rinuncia, ora, può essere utile leggere le parole di Agostino, rivolgendosi a Pietro, poche righe dopo aver trattato del martirio (Commento al Vangelo di Giovanni, Omelia 123, 4-5): “Ora è il momento, Pietro, in cui non devi temere più la morte, perché è vivo colui del quale piangevi la morte, colui al quale, nel tuo amore istintivo, volevi impedire di morire per noi (cf. Mt 16, 21-22). (….) “(Il Signore) domanda, non una sola volta, ma una seconda e una terza, se Pietro gli vuol bene; e altrettante volte niente altro gli affida che il compito di pascere le sue pecore. Così alla sua triplice negazione corrisponde la triplice confessione d’amore, in modo che la sua lingua non abbia a servire all’amore meno di quanto ha servito al timore, e in modo che la testimonianza della sua voce non sia meno esplicita di fronte alla vita, di quanto lo fu di fronte alla minaccia della morte. Sia dunque impegno di amore pascere il gregge del Signore, come fu indice di timore negare il pastore. Coloro che pascono le pecore di Cristo con l’intenzione di volerle legare a sé, non a Cristo, dimostrano di amare se stessi, non Cristo, spinti come sono dalla cupidigia di gloria o di potere o di guadagno, non dalla carità che ispira l’obbedienza, il desiderio di aiutare e di piacere a Dio. Contro costoro, ai quali l’Apostolo rimprovera, gemendo, di cercare i propri interessi e non quelli di Gesù Cristo (cf. Fil 2, 21), si leva forte e insistente la voce di Cristo”.
E più avanti, parlando dei vizi dei pastori che amano più se stessi che Dio, dice: “Tutti questi e altri simili vizi, sia che si trovino riuniti in uno stesso uomo, sia che si trovino sparsi qua e là, pullulano tutti dalla stessa radice, cioè dall’amore egoistico di sé. Il male che più d’ogni altro debbono evitare coloro che pascono le pecore di Cristo, è quello di cercare i propri interessi, invece di quelli di Gesù Cristo, asservendo alle proprie cupidigie coloro per i quali fu versato il sangue di Cristo. L’amore per Cristo deve, in colui che pasce le sue pecore, crescere e raggiungere tale ardore spirituale da fargli vincere quel naturale timore della morte a causa del quale non vogliamo morire anche quando vogliamo vivere con Cristo”.
Con questa lettura di Agostino, allora, proviamo a rileggere il saluto di Benedetto alla folla riunita a San Pietro per l’udienza del pontificato, che dice: “ho sempre saputo che la barca della Chiesa non è mia, non è nostra, ma è sua”. E ancora: “ho chiesto a Dio con insistenza, nella preghiera, di illuminarmi con la sua luce per farmi prendere la decisione più giusta non per il mio bene, ma per il bene della Chiesa. Ho fatto questo passo nella piena consapevolezza della sua gravità e anche novità, ma con una profonda serenità d’animo. Amare la Chiesa significa anche avere il coraggio di fare scelte difficili, sofferte, avendo sempre davanti il bene della Chiesa e non se stessi.”
Per lo stesso amore alla Chiesa, il congedo di Agostino e quello di Benedetto: un’adesione totale al compito di pastore della Chiesa, che è di Cristo. E per chi ha visto nella rinuncia la scelta di un papa solo e sfiduciato, si fa chiaro un moto che ne è l’esatto contrario: il passo tenace di un cuore pellegrino e assetato, che non smette – e non smetterà finché batte – di cercare in Dio la sua sola meta.