Ci sono armi e armi. Parolin: «La Santa Sede incoraggia l’impegno degli Stati nel disarmo». Lo Stato della Città del Vaticano non disarma, fortunatamente, per la sicurezza del Pontefice e dei residenti
Il Segretario di Stato di Sua Santità, il Cardinale Pietro Parolin all’evento su “Fraternità, multilateralismo e pace” ha detto che “la Santa Sede incoraggia l’impegno degli Stati nel disarmo”. Durante questo evento di alto livello organizzato on line dalla Missione permanente della Santa Sede presso le Nazioni Unite e da altre organizzazioni internazionali a Ginevra, oltre alla Pontificia Università Lateranense, è stata presentata la Lettera enciclica “Fratelli tutti” di Papa Francesco. Un incontro diviso in due parti: la prima dedicata al multilateralismo, la seconda al dialogo interreligioso.
Dopo aver ricordato che «la fratellanza è il primo tema al quale ha fatto riferimento il Papa nel giorno della sua elezione», il Cardinal Segretario di Stato di Sua Santità Pietro Parolin ha affrontato diversi argomenti: «Accesso alla salute, rifugiati, lavoro, diritto internazionale umanitario e disarmo». In particolare, è tornato a ribadire la necessità di garantire vaccini per tutti. Ha poi chiesto di «rafforzare la cooperazione internazionale attraverso una condivisione della responsabilità più equa e prevedibile» per i rifugiati. Ha invitato ad ampliare e rendere più inclusivo «il formato tradizionale del dialogo sociale» per affrontare i problemi del mondo del lavoro e infine ha ribadito che oggi «c’è un urgente bisogno di rafforzare la diffusione e la promozione del rispetto del diritto umanitario». Il conseguimento della pace «non può mai essere soddisfatta soltanto da mezzi militari». In quest’ottica, «la Santa Sede incoraggia con convinzione l’impegno degli Stati nell’ambito del disarmo e del controllo degli armamenti verso accordi duraturi sulla strada della pace e, in modo particolare, sul fronte del disarmo nucleare».
Eccellente narrazione, questo auspicio del disarmo degli Stati da parte del Cardinal Parolin. Ma pare che lo Stato in cui risiede, cioè lo Stato della Città del Vaticano, non ha nessuna intenzione di disarmare la sua polizia (il Corpo della Gendarmeria dello Stato della Città del Vaticano) né il suo esercito (il Corpo della Guardia Pontificia). E per fortuna, come fa ogni Stato che intendo difendere il suo territorio e i suoi abitanti, contro invasioni e aggressioni. E certamente l’appello del Cardinal Segretario di Stato resterà solo di vetrina.
Le istituzioni ecclesiastiche e le “banche armate”: il sistema dei vasi comunicanti di cannoni e banche, bombe e finanza, prediche da vetrina e armi reali
Poi, pensiamo se le banche che “le entità collegate alla Santa Sede o allo Stato della Città del Vaticano” utilizzano per i flussi finanziari in Australia o nel mondo siano essi (legali o non legali) siano le stesse banche che sovvenzionato le armi, come le “banche armate” italiane o straniere, follow the money… Pare che ci siano banche e banche, armi e armi, e soprattutto esistono i flussi bancari per finanziare le armi attraverso delle banche. Delle “banche armate”, appunto.
Sfiorava i 9 miliardi e mezzo di euro il valore delle operazioni segnalate dalle banche italiane relative al commercio delle armi nel 2019, ha spiegato la rivista missionaria Nigrizia: gli istituti di credito si sono messi al servizio delle aziende belliche italiane. Nell’intervento del Cardinal Segretario di Stato Parolin c’erano tanti ferri nel fuoco, ma nessun accenno alla “Campagna di pressione alle banche armate”, promossa da più di 20 anni dalle riviste Missione Oggi, Mosaico di pace e Nigrizia. E neanche ai flussi di denari che partono “dalle entità collegate alla Santa Sede o dallo Stato della Città del Vaticano” e ai servizi bancari utilizzati.
Il Popolo di Dio, che sovvenziona la Santa Sede e le Istituzioni della Chiesa Cattolica Romana, ha il diritto-dovere di sapere dove andranno i propri soldi, destinati all’Obolo di San Pietro, i Fondi destinati e l’8 per mille. Soprattutto, vuole assicurazioni che i soldi venissero utilizzati nelle opere di religione, nella sanità, nell’educazione, nel sostegno delle famiglie, nello sviluppo delle comunità, nel sociale, anziché nella fabbricazione delle armi e che non finiscano in una banca che supporta il mercato delle armi.
Papa Francesco ha chiesto con insistenza il cessato il fuoco globale e immediato, per curare la pandemia. E si è espresso più volte contro la fabbricazione delle armi (le stessi che usa la sua polizia e il suo esercito, come abbiamo visto prima), spendendo ingenti capitali che dovrebbero essere usati per curare le persone e salvare le vite. La “Campagna di pressione alle banche armate” è rivolta ad ogni cristiano, ad ogni cittadino italiano, quindi anche ai Cattolici Romani, al Papa stesso e anche al suo Segretario di Stato, affinché non accettino che i nostri soldi depositati vengano investiti in armi.
Il 9 luglio di tre decenni fa fu approvato in Italia la legge 185 che introduceva le “Nuove norme sul controllo dell’esportazione, importazione e transito dei materiali di armamento”. “Una legge importante – ha spiegato Padre Filippo Ivardi, Direttore della rivista missionaria Nigrizia – che negli anni, purtroppo, è stata annacquata, svuotata della carica che aveva”.
Ripetiamo, il Popolo di Dio ha il diritto-dovere di sapere dal prolisso Cardinal Segretario di Stato, che corso seguono “l’obolo della vedova” all’interno dei canali bancari, italiani e non. Papa Francesco ha detto che questo è il tempo di investire sulla vita e sulla pace e la pandemia di coronavirus ce l’avrebbe dovuto insegnate. Invece, l’industria delle armi cresce, non si ferma neanche con la pandemia e continua ad alimentare le guerre nel mondo. Ecco quindi che i soldi del Popolo di Dio rischiano di finire nei conflitti come quello nello Yemen (con i bambini armati che sono le prime vittime, foto sopra), o nell’acquisto di due fregate per l’Egitto pari al valore di oltre un miliardo di euro. Un ventilatore polmonare costa circa 15.000 euro, mentre un F35 costa circa 100 milioni di euro, con un F35 si possono acquistare circa 7.000 ventilatori polmonari.
La “Campagna di pressione alle banche armate” è partita nell’anno del Grande Giubileo dell’Anno 2000 indetto da San Giovanni Paolo II. Era “un tempo anche più favorevole, di maggiore attenzione alla trasparenza dei circuiti di denaro”, ha detto a Vatican News Padre Ivardi, il direttore di Nigrizia. E fu una Campagna che i suoi frutti li diede, alcune banche si sedettero al tavolo delle discussioni, qualcuna addirittura decise di riorientare i propri investimenti, sapevano che alcuni clienti avevano scritto ai direttori e che addirittura altri avevano chiuso il conto. La crisi finanziaria del 2008 ha interrotto bruscamente questo trend. “Ci siamo ripiegati – prosegue Ivardi – con meno attenzione a queste dinamiche e nel frattempo le banche, piano piano, si sono riorganizzate, fino ad aumentare le transazioni”. Sono stati anni, questi ultimi, in cui ogni appello è caduto nel vuoto, perché le istituzioni “a livello italiano ed internazionale – è la considerazione del missionario – sono prigioniere delle grandi lobby delle armi, e dietro c’è una lobby che è impressionante”. Tra le istituzioni vanno annoverate anche queste “a livello della Santa Sede, dello Stato della Città del Vaticano e della Chiesa Cattolica Romana”, visto che il Cardinal Segretario di Stato al riguardo del mondo opaco dei flussi finanziari che partono “dalle entità collegate alla Santa Sede o dallo Stato della Città del Vaticano” mantiene un assordante silenzio.
“Dobbiamo ricordare che dietro alle guerre e alle loro tante vittime, ci sono le armi e l’industria dell’armamento, dietro a questo ci sono tanti soldi e dietro ai soldi ci sono le banche e le varie finanziarie, in fondo a tutto ci siamo noi risparmiatori, quindi è importante sapere che il cambiamento può dipendere da noi, che può partire da noi”. A tratteggiare questa inappellabile piramide è John Mpaliza, testimonial per la “Campagna di pressione sulle banche armate”. Originario della Repubblica Democratica del Congo, è un noto attivista per i diritti umani. “Non ho esitato un solo attimo quando mi hanno chiesto di prestare la mia voce e il mio volto alla ‘Campagna di pressione sulle banche armate’. Vengo dalla Repubblica Democratica del Congo dove negli ultimi due decenni abbiamo perso veramente tante persone a causa dei conflitti e chi parla di conflitti parla di armi, chi parla di armi parla di soldi”. In Congo nell’ultimo quarto di secolo sono morti circa 10 milioni di persone. Ma c’è silenzio su questo conflitto, che non si è rotto neanche con l’attentato di lunedì 22 febbraio 2021, in cui hanno perso la vita l’Ambasciatore italiano Luca Attanasio (lascia moglie e tre bambine), il carabiniere Vittorio Iacovacci (doveva sposarsi a giugno) e loro autista congolese Mustapha Milambo, lungo la viaria RN2 nei pressi di Kibumba, contiguo al Parco Nazionale di Virunga, infestato dalle bande armate [QUI].
L’elenco delle “banche armate”, la classifica degli istituti di credito che fanno affari anche con il commercio degli armamenti
Papa Francesco in questo tempo di pandemia chiede – da più di un anno – il disarmo (“non è questo il tempo in cui continuare a fabbricare e trafficare armi, spendendo ingenti capitali che dovrebbero essere usati per curare le persone e salvare vite”), ma alcuni enti cattolici, anche collegate con la Santa Sede, mantengono rapporti con le “banche armate”. È la contraddizione di un sistema per il quale ci sono armi e armi, armi buoni a proprio uso e consumo, e armi cattivi, quelli degli altri. A parole il denaro è “lo sterco del diavolo”, ma siccome non puzza, allora va bene affidarsi anche ad una “banca armata”, se garantisce qualche zero virgola di interessi in più o un servizio più “opaco” (per usare una parola preferita dal Cardinal Segretario di Stato).Dallo stesso mondo cattolico, le riviste missionarie Nigrizia e Missione Oggi, Pax Christi e Mosaico di pace (promotori della “Campagna di pressione alle banche armate” del 9 luglio, a ricordo dell’approvazione della legge 185 sul commercio delle armi) fanno appello, anche e soprattutto alle strutture cattoliche, di “verificare le banche in cui abbiamo depositato i risparmi evitando quei gruppi che finanziano, giustificano e sostengono l’industria, il commercio e la ricerca militare”.
Nell’annuale relazione del governo del 2020 al Parlamento sull’export italiano di armamenti nel 2019, sono indicate anche le operazioni bancarie delle aziende armiere e l’elenco degli istituti di credito che spostano, anticipano e incassano soldi della vendita di armi, percependo interessi e commissioni.
I top ten delle “banche armate”
1. Unicredit (Unicredit Spa + Unicredit factoring)
2. Deutsche Bank
3. Barclays Bank
4. Popolare di Sondrio
5. Intesa San Paolo
6. Commerzbank
7. Credit Agricole
8. Banca nazionale del lavoro
9. Bnp Paribas Italia
10. Banco Bpm
Molti enti ecclesiastici scelgono le “banche armate” come propri istituti di riferimento. A cominciare dall’Amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica-APSA e il Governatorato dello Stato della Città del Vaticano, che operano con conti corrente presso la filiale di Unicredit Spa in Via della Conciliazione 11 a Roma, rispettivamente IT55M0200805008000XXXXXXXXX e IT84X0200805008000XXXXXXXXX), la prima “banca armata”. Poi a seguire la Conferenza Episcopale Italiana, che incassa erogazioni liberali ed offerte deducibili per il sostentamento del clero tramite sette diversi conti bancari, quattro dei quali aperti presso altrettante “banche armate” (Unicredit, Intesa San Paolo, Bnl e Bpm). Poi, ci sono le università pontifici (direttamente legate alla Santa Sede), che hanno scelte come tesorerie delle “banche armate”: la Lateranense (Vicariato di Roma) ha scelto la Popolare di Sondrio, quarta “banca armata”; la Gregoriana (gesuiti) e la Santa Croce (Opus Dei) hanno scelto Unicredit, la prima “banca armata”. L’Università Cattolica del Sacro Cuore usa Unicredit, prima “banca armata”, per la sede di Roma: IT70A0200805314000XXXXXXXXX e Credit Agricole, settima “banca armata”, per la sede di Piacenza Cremona: IT52B0623012607000XXXXXXXXX. Inoltre, c’è la sanità della Santa Sede: anche il Policlinico Gemelli ha scelto Unicredit e l’Ospedale pediatrico Bambino Gesù ha scelto Intesa San Paolo, la quinta “banca armata”. Una nota di Intesa San Paolo al tempo della sottoscrizione dell’accordo nel 2018 – ricordata dall’agenzia Adista – fino al giugno 2021 sarà “il referente per l’erogazione dei servizi bancari e finanziari del Bambino Gesù, nell’ambito di una partnership che si svilupperà anche attraverso l’installazione di una ramificata struttura di punti operativi e la sottoscrizione di una specifica convenzione per prodotti e servizi a condizioni agevolate ai circa tremila dipendenti e collaboratori dell’ospedale”). Mariella Enoc, Presidente del Bambino Gesù nonché Vicepresidente di Fondazione Cariplo (uno dei principali azionisti di Intesa San Paolo) ha dichiarato: “Siamo contenti di intraprendere questa nuova avventura con una realtà autorevole e tradizionalmente attenta alla dimensione sociale come il gruppo Intesa San Paolo”.
Non chiediamo al Papa, alla Santa Sede e al Governatorato dello Stato della Città del Vaticano di disarmare la propria polizia e il proprio esercito. Mancherebbe ancora, li vogliamo bene e abbiamo la loro sicurezza a cuore. Ma saremo ben lieto di pubblicare in risalto se uno o più enti ecclesiastici, collegati con la Santa Sede – e la Sana Sede stessa (ricordiamo che l’Istituto per le Opere di Religione-IOR e l’Amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica-APSA operano attraverso banche italiane e non – ci comunicassero che hanno terminato il rapporto con delle “banche armate” e con quali banche invece mantengono dei rapporti per convogliare i propri flussi finanziari. Verso il Commonwealth dell’Australia, le Bahamas o altri Stati del mondo.