Papa Benedetto XVI e l’impegno sociale per la difesa del lavoro

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Nel messaggio per la pace di questo anno, papa Benedetto XVI aveva scritto: “La pace non è un sogno, non è un’utopia: è possibile. I nostri occhi devono vedere più in profondità, sotto la superficie delle apparenze e dei fenomeni, per scorgere una realtà positiva che esiste nei cuori, perché ogni uomo è creato ad immagine di Dio e chiamato a crescere, contribuendo all’edificazione di un mondo nuovo… Proprio per questo, la Chiesa è convinta che vi sia l’urgenza di un nuovo annuncio di Gesù Cristo, primo e principale fattore dello sviluppo integrale dei popoli e anche della pace. Gesù, infatti, è la nostra pace, la nostra giustizia, la nostra riconciliazione. L’operatore di pace, secondo la beatitudine di Gesù, è colui che ricerca il bene dell’altro, il bene pieno dell’anima e del corpo, oggi e domani. Da questo insegnamento si può evincere che ogni persona e ogni comunità, religiosa, civile, educativa e culturale, è chiamata ad operare la pace. La pace è principalmente realizzazione del bene comune delle varie società, primarie ed intermedie, nazionali, internazionali e in quella mondiale. Proprio per questo si può ritenere che le vie di attuazione del bene comune siano anche le vie da percorrere per ottenere la pace”. L’insegnamento sociale lasciato da papa Benedetto XVI è talmente ricco, realistico e molto attento all’attuale crisi economica ed al bene comune, partendo proprio dall’enciclica ‘Caritas in Veritate’:

 

 

“Bisogna poi tenere in grande considerazione il bene comune. Amare qualcuno è volere il suo bene e adoperarsi efficacemente per esso. Accanto al bene individuale, c’è un bene legato al vivere sociale delle persone: il bene comune. E’ il bene di quel ‘noi-tutti’, formato da individui, famiglie e gruppi intermedi che si uniscono in comunità sociale… Volere il bene comune e adoperarsi per esso è esigenza di giustizia e di carità. Impegnarsi per il bene comune è prendersi cura, da una parte, e avvalersi, dall’altra, di quel complesso di istituzioni che strutturano giuridicamente, civilmente, politicamente, culturalmente il vivere sociale, che in tal modo prende forma di pólis, di città… L’azione dell’uomo sulla terra, quando è ispirata e sostenuta dalla carità, contribuisce all’edificazione di quella universale città di Dio verso cui avanza la storia della famiglia umana. In una società in via di globalizzazione, il bene comune e l’impegno per esso non possono non assumere le dimensioni dell’intera famiglia umana, vale a dire della comunità dei popoli e delle Nazioni, così da dare forma di unità e di pace alla città dell’uomo, e renderla in qualche misura anticipazione prefiguratrice della città senza barriere di Dio”.

Il tema è stato ripreso dal papa a Madrid nel 2011 in risposta ad alcune domande dei giornalisti sul modello economico: “L’economia non funziona solo con un’autoregolamentazione di mercato, ma ha bisogno di una ragione etica per funzionare per l’uomo. E appare di nuovo quanto aveva già detto nella sua prima enciclica sociale Papa Giovanni Paolo II, che l’uomo deve essere il centro dell’economia e che l’economia non è da misurare secondo il massimo del profitto, ma secondo il bene di tutti, include responsabilità per l’altro e funziona veramente bene solo se funziona in modo umano, nel rispetto dell’altro… Sappiamo che dobbiamo proteggere il nostro pianeta, ma dobbiamo proteggere il funzionamento del servizio del lavoro economico per tutti e pensare che il domani è anche l’oggi. Se i giovani di oggi non trovano prospettive nella loro vita, anche il nostro oggi è sbagliato”.

Questo tema del lavoro come diritto inalienabile e della cooperazione è centrale nel messaggio per la giornata mondiale dell’Alimentazione dello scorso anno: “La cooperazione nel suo significato più profondo indica l’esigenza della persona di associarsi per conseguire, insieme con gli altri, nuovi traguardi nell’ambito sociale, economico, culturale e religioso. Si tratta di una realtà dinamica e variegata, chiamata non solo a dare risposte ad esigenze immediate e materiali, ma a concorrere alla prospettiva di ogni comunità. Dando la dovuta priorità alla dimensione umana le cooperative possono superare il profilo esclusivamente tecnico del lavoro agricolo, ne rivalutano la centralità nell’attività economica e così favoriscono risposte adeguate alle reali necessità locali. Si tratta di una visione alternativa a quella determinata da misure interne e internazionali che sembrano avere come unico obiettivo il profitto, la difesa dei mercati, l’uso non alimentare dei prodotti agricoli, l’introduzione di nuove tecniche di produzione senza la necessaria precauzione”.

Ed infatti papa Benedetto XVI è stato sempre preoccupato dallo ‘spread del benessere sociale, come sottolineato nell’enciclica ‘Caritas in Veritate’: “Nel contesto di questo discorso è utile osservare che l’imprenditorialità ha e deve sempre più assumere un significato plurivalente. La perdurante prevalenza del binomio mercato-Stato ci ha abituati a pensare esclusivamente all’imprenditore privato di tipo capitalistico da un lato e al dirigente statale dall’altro. In realtà, l’imprenditorialità va intesa in modo articolato… Al fine di realizzare un’economia che nel prossimo futuro sappia porsi al servizio del bene comune nazionale e mondiale, è opportuno tenere conto di questo significato esteso di imprenditorialità. Questa concezione più ampia favorisce lo scambio e la formazione reciproca tra le diverse tipologie di imprenditorialità, con travaso di competenze dal mondo non profit a quello profit e viceversa, da quello pubblico a quello proprio della società civile, da quello delle economie avanzate a quello dei Paesi in via di sviluppo”.

E quindi “l’esperienza della microfinanza, che affonda le proprie radici nella riflessione e nelle opere degli umanisti civili, penso soprattutto alla nascita dei Monti di Pietà, va rafforzata e messa a punto, soprattutto in questi momenti in cui i problemi finanziari possono diventare drammatici per molti segmenti più vulnerabili della popolazione, che vanno tutelati dai rischi di usura o dalla disperazione. I soggetti più deboli vanno educati a difendersi dall’usura, così come i popoli poveri vanno educati a trarre reale vantaggio dal microcredito, scoraggiando in tal modo le forme di sfruttamento possibili in questi due campi. Poiché anche nei Paesi ricchi esistono nuove forme di povertà, la microfinanza può dare concreti aiuti per la creazione di iniziative e settori nuovi a favore dei ceti deboli della società anche in una fase di possibile impoverimento della società stessa”.

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