La Chiesa, una madre che dovremmo soltanto amare!

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“Quante tentazioni proviamo verso questa Madre che dovremmo soltanto amare!”. E’ la struggente considerazione che il grande teologo francese, Henri De Lubac, – uno dei principali ispiratori del Concilio Vaticano II – poneva in risalto negli anni ’50 parlando della Chiesa. Un giudizio che ancora oggi, per nulla invecchiato rispetto al suo tempo, continua ad interrogare la nostra coscienza. La sede apostolica è vacante, e i cardinali si preparano ad eleggere il nuovo pontefice in un clima che potremmo definire “nuovo” se messo a confronto con i conclave precedenti. Molti tra questi cardinali sono già noti all’opinione pubblica; i loro profili, le competenze teologiche, perfino gli intrighi, le antipatie e le simpatie dall’11 febbraio attraversano ininterrottamente ogni tipo di canale mediatico.

Chi non è, per adesso, sotto la luce dei riflettori riesce in questi giorni ad entrare in Vaticano – per partecipare alle Congregazioni generali dei cardinali in vista del Conclave – con estrema facilità; altri invece, meno fortunati, subiscono l’assalto dei cronisti, e mentre centinaia di fotografi con i loro flash illuminano di bianco (anche se per un solo istante) la talare cardinalizia, i portavoce e i segretari di alcune eminenze, magari credono che il “sogno” possa realizzarsi… ma siamo a San Pietro e non a San-remo! E’ triste leggere le riflessioni del regista Ermanno Olmi, riportate da Repubblica, che descrive una Chiesa incapace di reagire alle circostanze del nostro tempo, dove – afferma il regista – “poco è davvero cambiato nella Chiesa di Roma. Né dopo il Concilio né dopo duemila anni di cristianità. Ancora una volta, come dopo quella notte nel Getsemani, qualcuno ha tradito. Ancora una volta, su tutti i monti degli ulivi, Gesù è uno sconfitto. Siamo tutti degli sconfitti”. Proprio di fronte a queste e ad altre esternazioni – là dove la Chiesa è accusata, dileggiata, offesa e soprattutto incompresa – è necessario imparare a vigilare per non correre il rischio di dimenticare la vera natura della Chiesa. Non possiamo, infatti, giudicare con un metro umano il bene soprannaturale presente nella Chiesa.

“Il suo Maestro – chiariva ancora H. De Lubac – non le ha permesso successi strepitosi e sempre crescenti. Non cediamo all’eloquenza o ad un sentimento romantico… ripetendo a suo riguardo la parola di Pascal: essa deve essere, come il Cristo, in agonia fino alla fine del mondo”. Ciascuno di noi, pertanto, deve saper attendere e accettare dentro l’esperienza ecclesiale la propria impotenza, pagando persino il prezzo dell’incomprensione di fronte al mondo. Noi siamo uomini fatti di carne, talvolta disposti persino a canonizzare i nostri pregiudizi pur di dare ragione al pantagruelico spirito critico che non raramente ci contraddistingue. E’ ancora l’insigne teologo cattolico del novecento, H. De Lubac – messo ai margini della intellighenzia ecclesiastica del tempo perché accusato di neo-modernismo – a consegnarci una saggia e oculata chiave di lettura circa il mistero dell’umano e del divino che la Chiesa ci offre: “Come le malattie mutano con l’evolversi dell’ambiente apportatore di germi, lottando contro il rimedio e rinascendo sotto altra forma non appena si era creduto di vincerle, così il male radicale annidato in fondo all’essere dell’uomo rinasce sotto aspetti imprevedibili, benché sia, in fondo, sostanzialmente uguale, a misura che la società si trasforma”.

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