Le Congregazioni generali, l’appello per il futuro papa ed il Concilio Vaticano II
Oggi, lunedì 4 marzo, è stata convocata la prima Congregazione generale dei cardinali. Sarà proprio nel corso di una queste Congregazioni, ma non subito, che verrà decisa la data di inizio del Conclave. Con l’entrata della Sede vacante i cardinali che hanno meno di 80 anni e quindi possono partecipare al Conclave sono 117, ma due di loro, l’indonesiano Julius Darmmatmadja e lo scozzese Keith O’Brien hanno annunciato che non parteciperanno. Sarà invece a Roma il cardinale egiziano Antonios Naguib, che il 31 dicembre 2011 era stato colpito da un’ischemia cerebrale emorragica che lo aveva costretto, a metà dello scorso gennaio, a rinunciare all’ufficio di patriarca dei copti cattolici: “Sono contentissimo, ha dichiarato all’agenzia Fides, di poter prender parte a questo importante momento della vita della Chiesa. Era una cosa che non sognavo più. In principio avevo detto che per me non era possibile recarmi nella Città Eterna per il Conclave. Ma poi ho riflettuto sul fatto che il primo dovere di un cardinale è partecipare alla scelta del Successore di Pietro. E ho cambiato la mia decisione iniziale”.
Intanto sono arrivate a 2245 le adesioni ad un documento di teologi cattolici di tutto il mondo, lanciato nell’ottobre scorso in occasione dei 50 anni dell’apertura del Concilio Vaticano II, che traccia l’identikit del futuro papa e le priorità del prossimo pontificato, in cui si chiede una maggiore coerenza agli insegnamenti del Concilio Vaticano II: “Il ruolo del papato necessita di una chiara ri-definizione in linea con le intenzioni di Cristo. Come supremo pastore, elemento unificante e principale testimone di fede, il papa contribuisce in modo essenziale al bene della chiesa universale. Ma la sua autorità non dovrebbe mai oscurare, diminuire o sopprimere l’autentica autorità che Cristo ha dato direttamente a tutti i membri del popolo di Dio… Il Concilio Vaticano II ha prescritto collegialità e co-responsabilità a tutti i livelli. Questo non è stato messo in atto.
I vari organismi presbiterali e consigli pastorali, previsti dal Concilio, dovrebbero coinvolgere i fedeli in modo più diretto nelle decisioni riguardanti la formulazione della dottrina, l’esercizio del ministero pastorale e l’evangelizzazione nell’ambito della società secolare… La curia romana ha bisogno di una riforma più radicale in linea con le istruzioni e la visione del Vaticano II. La curia si dovrebbe limitare ai suoi utili ruoli amministrativi ed esecutivi. La congregazione per la dottrina della fede dovrebbe essere coadiuvata da commissioni internazionali di esperti, scelti indipendentemente, per la loro competenza professionale. Questi non sono tutti i cambiamenti necessari. Ci rendiamo anche conto che l’attuazione di queste revisioni strutturali necessitano una elaborazione dettagliata in linea con le possibilità e le limitazioni delle circostanze presenti e future”.
Questo documento ricorda un altro documento scritto il 16 novembre 1965, pochi giorni prima della chiusura del Concilio Vaticano II, da 40 padri conciliari dopo aver celebrato una Eucaristia nelle catacombe di Domitilla, a Roma, chiedendo fedeltà allo Spirito di Gesù a portare avanti una ‘vita di povertà’, una Chiesa ‘serva e povera’, come aveva suggerito il papa Giovanni XXIII, denominato il ‘Patto delle Catacombe’. I firmatari si impegnavano a vivere in povertà, a rinunciare a tutti i simboli o ai privilegi del potere e a mettere i poveri al centro del loro ministero pastorale: “Noi, vescovi riuniti nel Concilio Vaticano II, illuminati sulle mancanze della nostra vita di povertà secondo il Vangelo; sollecitati vicendevolmente ad una iniziativa nella quale ognuno di noi vorrebbe evitare la singolarità e la presunzione; in unione con tutti i nostri Fratelli nell’Episcopato, contando soprattutto sulla grazia e la forza di Nostro Signore Gesù Cristo, sulla preghiera dei fedeli e dei sacerdoti della nostre rispettive diocesi; ponendoci col pensiero e la preghiera davanti alla Trinità, alla Chiesa di Cristo e davanti ai sacerdoti e ai fedeli della nostre diocesi; nell’umiltà e nella coscienza della nostra debolezza, ma anche con tutta la determinazione e tutta la forza di cui Dio vuole farci grazia”.
Nel testo si sottolinea la necessità di vivere ‘come vive ordinariamente la nostra popolazione per quanto riguarda l’abitazione, l’alimentazione, i mezzi di locomozione e tutto il resto che da qui discende’; di affidare ‘la gestione finanziaria e materiale nella nostra diocesi ad una commissione di laici competenti e consapevoli del loro ruolo apostolico, al fine di essere, noi, meno amministratori e più pastori e apostoli’ evitando i ‘privilegi’. Infine, “poiché la collegialità dei vescovi trova la sua più evangelica realizzazione nel farsi carico comune delle moltitudini umane in stato di miseria fisica, culturale e morale, due terzi dell’umanità, ci impegniamo: a contribuire, nella misura dei nostri mezzi, a investimenti urgenti di episcopati di nazioni povere; a richiedere insieme agli organismi internazionali, ma testimoniando il Vangelo come ha fatto Paolo VI all’Onu, l’adozione di strutture economiche e culturali che non fabbrichino più nazioni proletarie in un mondo sempre più ricco che però non permette alle masse povere di uscire dalla loro miseria. Ci impegniamo a condividere, nella carità pastorale, la nostra vita con i nostri fratelli in Cristo, sacerdoti, religiosi e laici, perché il nostro ministero costituisca un vero servizio”.