2 aprile 2021: Via Crucis a Piazza San Pietro con le meditazioni di bambini e ragazzi – 25 marzo 2005: Via Crucis al Colosseo con le meditazioni del Cardinale Ratzinger

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Sono passati esattamente sedici anni da quella indimenticabile Via Crucis al Colosseo, per la quale San Giovanni Paolo II, alla vigilia della sua morte, affidò all’allora Cardinale Joseph Ratzinger – Prefetto della Congregazione della Dottrina della Fede e futuro Papa Benedetto XVI – le meditazioni, che squarciò il velo sulla sporcizia nella Chiesa Cattolica Romana. Allora, per la prima volta in 26 anni di Pontificato, Papa Giovanni Paolo II non partecipò alla celebrazione della Via Crucis del Venerdì Santo, ma la seguì in televisione nel silenzio e nella solitudine della Cappella Privato dell’Appartamento Pontificio nel Palazzo Apostolico in Vaticano. Alla Stazione XVI si aggrappò alla Croce di legno che tenne in mano. Un’immagine più eloquente di mille parole.

Lo ricordiamo oggi – nello stesso giorno di sedici anni fa, della Via Crucis 2005 – a seguire, dopo la riflessione del Professore Gian Pietro Caliari – che condividiamo dal blog dell’amico e collega Marco Tosatti – sui testi preparati per la Via Crucis che sarà presieduta da Papa Francesco in Piazza San Pietro domani 2 aprile 2021, Venerdì Santo. Un controcanto fuori dal coro: i testi sono un delirio. E la Passione?: “Quando la Sua Chiesa – quell’unica di Cristo – scompare, e qualcuno gioca a creare la Sua Chiesa –  quella tanto declamata “chiesa di Francesco” – tutto diventa un gioco di e per bambini, come la Via Crucis di quest’anno già in sé e per sé tanto tribolato”. Il peccato di sempre, anche nella Chiesa di Cristo, quello di colui che vuole mettersi al posto di Dio, tradire la Sua Parola e seminare zizzania nel Suo campo.

Ricordiamo – come abbiamo riferito nei giorni scorsi [QUI e QUI] – che Papa Francesco ha affidato quest’anno la preparazione delle meditazioni per la Via Crucis del Venerdì Santo al Gruppo Scout Agesci “Foligno I” (Umbria) e alla Parrocchia romana Santi Martiri di Uganda. Le immagini che accompagneranno le diverse Stazioni sono stati disegni realizzati da bambini e ragazzi della Casa Famiglia “Mater Divini Amoris” e della Casa Famiglia “Tetto Casal Fattoria”.

Dulce lignum dulces clavos dulce pondus sustinet
di Gian Pietro Caliari
Stilum Curiae, 1° aprile 2021


“Dolce legno, dolci chiodi che sostenete il dolce peso”, questa tenera espressione, in riferimento all’albero della Croce, ricorre più volte nel magnifico inno liturgico Pange lingua gloriosi di san Venanzio Fortunato che, nella solenne Azione Liturgica del Venerdì Santo, è intercalato dall’antifona Crux fidelis.

La tenerezza del testo che risale al 570, così come della melodia gregoriana per il suo canto, non nasconde ma anzi esalta la teologia del Venerdì Santo e la esprime con solennità poetica e sonora.
Si tratta di una tenera delicatezza che non scade mai, tuttavia, in un mellifluo sentimentalismo pietista o in pauperismo teologico dozzinale. Anzi, fa emergere con la solennità del ritmo latino del testo e dispiega tutta la comprensione teologica del Santo e cruento Sacrificio di Cristo sulla Croce.

“Hoc opus nostre saluti orto depoposcerat, multiformi perditoris ars ut artem facere et medelam ferret inde, hostis unde laeserat”: il piano della nostra salvezza aveva richiesto questo passaggio, per vanificare con astuzia, l’astuzia del multiforme corruttore [Satana] e per portare un rimedio proprio di là da dove il nemico aveva colpito.

E ancora: “En acetum, fel, arundo, sputa, clavi, lancea; mite corpus perforatur; sanguis, unda profluit, terra pontus astra mundus quo lavantur flumine” –  Ecco aceto, fiele, canna, sputi, chiodo, lancia; il corpo mansueto è perforato e ne scaturiscono sangue ed acqua; la cui corrente lava la terra, il mare, le stelle, il mondo!

E, infine: “Sola digna tu fuisti ferre pretium saeculi atque portum praeparare nauta mundo naufrago, quem sacer cruor perunxit fusus agni corpore” – Tu sola fosti degna di portare il riscatto della stirpe [umana] e di preparare un porto all’umanità, [ridotta come un] navigante naufrago, che il sangue sacro, effuso dal corpo dell’Agnello, ha unto.

Oltre un secolo prima di san Venanzio Fortunato, in un’omelia del Venerdì Santo databile al 420, sant’Agostino aveva indicato non come celebrare degnamente il Venerdì Santo ma anche il contenuto teologico della celebrazione: “Con solennità si legge, con solennità si celebra la passione di colui col cui sangue i nostri peccati sono stati cancellati, perché con la devota ricorrenza annuale se ne rinnovi il ricordo con più gioia e anche per la maggiore affluenza di gente la nostra fede sia più chiaramente illuminata.” (Sermo 218, De Passione Domini in Parasceve).

E sempre in un altro discorso sulla Passione aggiungeva: “La passione del Signore e Salvatore nostro Gesù Cristo è fiducia della gloria e dottrina di pazienza. Che cosa infatti non si riprometteranno dalla grazia di Dio i cuori dei fedeli, quando per essi il Figlio unigenito di Dio, coeterno col Padre non si è contentato di nascere uomo dall’uomo, ma ha voluto addirittura morire dalle mani degli uomini, che lui stesso aveva creati? È gran cosa quel che il Signore ci promette per il futuro; ma molto più grande è quel che celebriamo come già fatto per noi” (Sermo 218/C, De Passione Domini).

Gregorio Nazianzeno, chiamato anche Gregorio il Teologo, già ai sui tempi scriveva: “Adesso occorre che noi consideriamo il problema e il dogma, spesso passato sotto silenzio, ma che per questo motivo io voglio indagare con maggiore impegno: questo prezioso e glorioso sangue divino, sparso per noi: per quale ragione e per qual fine è stato pagato un tale prezzo?” (Sermo 45, 22).

Leggendo i testi della Via Crucis, che la suprema Autorità della Chiesa Cattolica presiederà in mondovisione in questo Venerdì Santo, c’è da trasecolare smarriti e da chiedersi chi e cosa possa aver ispirato un tale delirio.

Si dirà è stata scritta da dei bambini! Appunto!

Ma, allora, questi deliziosi pargoli da quale catechismo sono stati istruiti? Che razza di Vangelo è stato loro letto e insegnato? Quali educatori della Fede e alla Fede Cattolica li hanno preparati, formati e accompagnati per scrivere un testo tanto importante quanto rilevante, dato che avrà risonanza Urbi et Orbi?

Dal Catechismo della Chiesa Cattolica possiamo direttamente apprendere alcuni contenuti essenziali del Mistero di Passione, Morte e Resurrezione del Signore Gesù Cristo.

Innalzi tutto, che questo mistero e non i poveri (come dice qualcun altro!) sono “al dentro della Buona Novella che gli Apostoli, e la Chiesa dopo di loro, devono annunciare al mondo” e che in tale mistero “il disegno salvifico di Dio sì è compiuto” (n. 517).

Che proprio consegnando il suo Figlio per i nostri peccati, poi, “Dio manifesta che il suo disegno su di noi è di amore benevolo che precede ogni merito da parte nostra” (n. 604).

Che, ancora, l’amore fino alla fine “conferisce valore di redenzione e di riparazione, di espiazione e di soddisfazione al sacrificio di Cristo” (n. 616).

Che, infine, proprio la sua Passione e Morte in Croce rendono il Cristo Signore della vita eterna. Infatti questo Mistero conferisce a Lui e a Lui solo “Il pieno diritto di giudicare definitivamente le opere e i cuori degli uomini appartiene a lui in quanto Redentore del mondo. Egli ha «acquisito» questo diritto con la sua croce. Anche il Padre «ha rimesso ogni giudizio al Figlio» Ora, il Figlio non è venuto per giudicare, ma per salvare e per donare la vita che è in lui. È per il rifiuto della grazia nella vita presente che ognuno si giudica già da se stesso, riceve secondo le sue opere e può anche condannarsi per l’eternità rifiutando lo Spirito d’amore” (n. 679).

Di tutto questo non vi è traccia nelle politicamente corrette stazioni della Via Crucis di questo Santo Venerdì dell’anno di grazia 2021.

Anzi, alcuni accostamenti – nella preghiera introduttiva per limitarci  a questo -, alla Croce di Cristo lasciano sgomenti: “Caro Gesù, Tu sai che anche noi bambini abbiamo delle croci, che non sono né più leggere né più pesanti di quelle dei grandi, ma sono delle vere e proprie croci …Solo Tu sai quanto è difficile non riuscire a trattenermi e risvegliarmi ogni mattina tutto bagnato” (sic!).

Certo, nessuno potrebbe pretendere di presentare a dei bambini – ammesso che tutto sia frutto del loro sacco! – The Passion di Mel Gibson o far leggere loro il testo completo della Expositio Passionis Domini di San Tommaso Moro come introduzione necessaria e indispensabile per meditare la Passione di Cristo, ma neppure passare dalla diuresi notturna al Calvario appare un modello catechetico adeguato.

Da troppo tempo, in realtà, la Chiesa Cattolica ha occultato e dissimulato questo inscindibile e Grande Sacramento dell’universale Salvezza che è la Passione, la Morte e la Resurrezione, dimenticando che senza di esso e senza la sua piena comprensione anche la Chiesa non serve più a nulla!
Scrive Hans Urs von Balthasar: “La Chiesa non è stata fondata per se stessa […] Non la Chiesa, ma il mondo è stato globalmente riconciliato con il Padre attraverso la morte e la resurrezione di Cristo. E, tuttavia, la riconciliazione avvenuta ha bisogno del ministero ecclesiale al servizio di questa riconciliazione […] Il ministero di riconciliazione della Chiesa non è però soltanto una supplica ma un impegno totale dell’esistenza” (Theologie per dei Tage, in Misterium Salutis, III/2, 1969, tr. italiana: Teologia dei tre giorni, Brescia, 1990, p. 234).

E Joseph Ratzinger, in un testo del 1971, rimarcando la necessita di concepire la Chiesa come la Chiesa di Cristo, cioè totalmente e imprescindibilmente dipendente dal suo Mistero di Redenzione, scriveva: “Al posto della Sua Chiesa è subentrata la nostra e con essa le molte chiese: ognuno ha la propria. Le chiese sono diventate nostre imprese, di cui siamo orgogliosi o ci vergogniamo, tante piccole proprietà private che stanno una accanto all’altra, chiese soltanto nostre, che noi stessi costruiamo, che sono opera e proprietà nostra, e che noi vogliamo trasformare o conservare come tali. Dietro alla “nostra Chiesa” o anche alla “vostra Chiesa” è scomparsa la “Sua Chiesa”. Ma solo quest’ultima interessa e se non esiste più anche la “nostra” Chiesa deve abdicare. Se fosse soltanto nostra, la Chiesa sarebbe solo un inutile gioco da bambini” (Perché sono ancora nella Chiesa, in: Hans Urs Von Balthasar e Joseph Ratzinger, Plädoyers. Warum ich noch ein Christ bin. Warum ich noch in der Kirche bin, München, 1971, p. 89).

Quando la Sua Chiesa – quell’unica di Cristo – scompare, e qualcuno gioca a creare la Sua Chiesa –  quella tanto declamata “chiesa di Francesco” – tutto diventa un gioco di e per bambini, come la Via Crucis di quest’anno già in sé e per sé tanto tribolato.

Gian Pietro Caliari

Via Crucis, Scuola Veneta – Sec. XVIII Cattedrale – Padova.

Il peccato di sempre, anche nella Chiesa di Cristo, quello di colui che vuole mettersi al posto di Dio, tradire la Sua Parola e seminare zizzania nel Suo campo.

La Via Crucis al Colosseo il 25 marzo 2005
Le meditazione del Cardinale Joseph Ratzinger


Il leitmotiv della Via Crucis 2005 – come ricordò nella presentazione il Maestro delle Celebrazioni Liturgiche del Sommo Pontefice – fu messo in luce dal Cardinale Joseph Ratzinger all’inizio, nella Preghiera iniziale: «Signore Gesù Cristo, per noi hai accettato la sorte del chicco di grano che cade in terra e muore per produrre molto frutto (Gv 12, 24). Ci inviti a seguirti su questa via quando dici: “Chi ama la sua vita la perde, e chi odia la sua vita in questo mondo la conserverà per la vita eterna” (Gv 12, 25). Noi, però, siamo attaccati alla nostra vita. Non vogliamo abbandonarla, ma tenerla tutta per noi stessi. Vogliamo possederla, non offrirla. Ma tu ci precedi e ci mostri che possiamo salvare la nostra vita soltanto donandola. Tramite il nostro accompagnarti sulla Via crucis vuoi condurci sulla via del chicco di grano, la via di una fecondità che giunge fino all’eternità».

E di nuovo, nella Stazione XIV: «Gesù, disonorato e oltraggiato, viene deposto, con tutti gli onori, in un sepolcro nuovo. Nicodèmo porta una mistura di mirra e di aloe di cento libbre destinata a emanare un prezioso profumo. Ora, nell’offerta del Figlio, si rivela, come già nell’unzione di Betània, una smisuratezza che ci ricorda l’amore generoso di Dio, la “sovrabbondanza” del suo amore. Dio fa generosamente offerta di se stesso. Se la misura di Dio è la sovrabbondanza, anche per noi niente dovrebbe essere troppo per Dio”. È la parola pronunciata da Gesù la Domenica delle Palme con la quale – immediatamente dopo il suo ingresso a Gerusalemme – risponde alla domanda di alcuni greci che lo volevano vedere: “Se il chicco di grano caduto in terra non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto” (Gv 12, 24). Gesù è il chicco di grano che muore. Dal chicco di grano morto comincia la grande moltiplicazione del pane che dura fino alla fine del mondo: egli è il pane di vita capace di sfamare in misura sovrabbondante l’umanità intera e di donarle il nutrimento vitale: il Verbo eterno di Dio, che è diventato carne e anche pane, per noi, attraverso la croce e la risurrezione. Sopra la sepoltura di Gesù risplende il mistero dell’Eucaristia».

Poi, la famosa Stazione IX, in cui denunciò i “mali” della Chiesa Cattolica Romana.

Via Crucis, Scuola Veneta – Sec. XVIII. Cattedrale – Padova.

NONA STAZIONE
Gesù cade per la terza volta


V/. Adoramus te, Christe, et benedicimus tibi.
R/. Quia per sanctam crucem tuam redemisti mundum.

Dal libro delle Lamentazioni. 3, 27-32
È bene per l’uomo portare il giogo fin dalla giovinezza. Sieda costui solitario e resti in silenzio, poiché egli glielo ha imposto; cacci nella polvere la bocca, forse c’è ancora speranza;porga a chi lo percuote la sua guancia, si sazi di umiliazioni. Poiché il Signore non rigetta mai (…). Ma, se affligge, avrà anche pietà secondo la sua grande misericordia.

MEDITAZIONE

Che cosa può dirci la terza caduta di Gesù sotto il peso della croce? Forse ci fa pensare alla caduta dell’uomo in generale, all’allontanamento di molti da Cristo, alla deriva verso un secolarismo senza Dio. Ma non dobbiamo pensare anche a quanto Cristo debba soffrire nella sua stessa Chiesa? A quante volte si abusa del santo sacramento della sua presenza, in quale vuoto e cattiveria del cuore spesso egli entra! Quante volte celebriamo soltanto noi stessi senza neanche renderci conto di lui! Quante volte la sua Parola viene distorta e abusata! Quanta poca fede c’è in tante teorie, quante parole vuote! Quanta sporcizia c’è nella Chiesa, e proprio anche tra coloro che, nel sacerdozio, dovrebbero appartenere completamente a lui! Quanta superbia, quanta autosufficienza! Quanto poco rispettiamo il sacramento della riconciliazione, nel quale egli ci aspetta, per rialzarci dalle nostre cadute! Tutto ciò è presente nella sua passione. Il tradimento dei discepoli, la ricezione indegna del suo Corpo e del suo Sangue è certamente il più grande dolore del Redentore, quello che gli trafigge il cuore. Non ci rimane altro che rivolgergli, dal più profondo dell’animo, il grido: Kyrie, eleison – Signore, salvaci (cfr. Mt 8, 25).

PREGHIERA

Signore, spesso la tua Chiesa ci sembra una barca che sta per affondare, una barca che fa acqua da tutte le parti. E anche nel tuo campo di grano vediamo più zizzania che grano. La veste e il volto così sporchi della tua Chiesa ci sgomentano. Ma siamo noi stessi a sporcarli! Siamo noi stessi a tradirti ogni volta, dopo tutte le nostre grandi parole, i nostri grandi gesti. Abbi pietà della tua Chiesa: anche all’interno di essa, Adamo cade sempre di nuovo. Con la nostra caduta ti trasciniamo a terra, e Satana se la ride, perché spera che non riuscirai più a rialzarti da quella caduta; spera che tu, essendo stato trascinato nella caduta della tua Chiesa, rimarrai per terra sconfitto. Tu, però, ti rialzerai. Ti sei rialzato, sei risorto e puoi rialzare anche noi. Salva e santifica la tua Chiesa. Salva e santifica tutti noi.

Joseph Ratzinger e quella meditazione sulla “sporcizia” nella Chiesa (correva l’anno 2005…)
di Matteo Carletti
Libertà e persona, 15 febbraio 2017


Le parole del, di lì a poco, futuro Papa Benedetto colpirono per la profondità e la schiettezza di linguaggio. In particolare fecero molto discutere le frasi pronunciate durante la Nona Stazione (la terza caduta di Gesù sotto la croce), nella quale l’allora Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede denunciò la “sporcizia” presente nella Chiesa. L’interpretazione data dai media fu all’unanimità: Ratzinger, con quelle parole, faceva riferimento alla presenza della pedofilia nella Chiesa. Come è noto, pochi, pochissimi sono andati poi (come spesso accade) a leggere l’interezza del paragrafo, preferendo soffermarsi sul mea culpa della Chiesa. Erano gli anni della “bomba” della pedofilia che, dopo l’elezione di Benedetto, sarebbe scoppiata violenta contro la Chiesa e il Papa stesso. Addirittura qualcuno avanzò l’ipotesi che il Cardinal Ratzinger, con quelle meditazioni, si fosse definitivamente giocato l’elezione al trono di Pietro. Ma la storia andò differentemente!

A rileggere oggi però quelle parole nella loro integrità scopriamo che, più che di pedofilia, Ratzinger aveva in mente anche e soprattutto altro. Andiamo a rileggerle: “Ma non dobbiamo pensare anche a quanto Cristo debba soffrire nella sua stessa Chiesa? A quante volte si abusa del santo sacramento della sua presenza, in quale vuoto e cattiveria del cuore spesso egli entra! Quante volte celebriamo soltanto noi stessi senza neanche renderci conto di lui! Quante volte la sua Parola viene distorta e abusata! Quanta poca fede c’è in tante teorie, quante parole vuote! Quanta sporcizia c’è nella Chiesa, e proprio anche tra coloro che, nel sacerdozio, dovrebbero appartenere completamente a lui! Quanta superbia, quanta autosufficienza! Quanto poco rispettiamo il sacramento della riconciliazione, nel quale egli ci aspetta, per rialzarci dalle nostre cadute!”.

Ratzinger fa esplicito riferimento all’”abuso del sacramento” dell’Eucarestia, in una Chiesa troppo autoreferenziale e antropocentrica dove il centro non sembra più essere Gesù ma l’uomo; di quanto la sua Parola venga corrotta, “distorta e abusata” da tante teorie e parole vuote portate avanti, non di rado, proprio dai pastori stessi.

Ed è qui che il futuro Pontefice fa riferimento alla “sporcizia” nella Chiesa, legandola direttamente alla superbia e all’autosufficienza di tanti cristiani, in primis dei suoi sacerdoti. È chiaro che tra il male che si annida dentro il mondo ecclesiale si può immaginare che Ratzinger metta pure il vergognoso reato della pedofilia, anche se non viene mai espressamente citato, al contrario delle altre ben precise accuse.

Nella preghiera alla Nona meditazione si sofferma, dunque, sull’immagine della Chiesa come di una barca che sembra stia affondando, proprio per causa nostra. “La veste e il volto così sporchi della tua Chiesa ci sgomentano. Ma siamo noi stessi a sporcarli!”.

Ma la vera speranza di ogni fedele è credere che, “nonostante la debolezza dell’uomo, le difficoltà e le prove, la Chiesa è guidata dallo Spirito Santo e il Signore mai le farà mancare il suo aiuto per sostenerla nel suo cammino” (Benedetto XVI, Udienza Generale, 30 maggio 2012). L’implorazione alla preghiera è, dunque in se drammatica ma piena di quella vera Speranza nella potenza misericordiosa di Dio. “Con la nostra caduta ti trasciniamo a terra, e Satana se la ride, perché spera che non riuscirai più a rialzarti da quella caduta; spera che tu, essendo stato trascinato nella caduta della tua Chiesa, rimarrai per terra sconfitto. Tu, però, ti rialzerai. Ti sei rialzato, sei risorto e puoi rialzare anche noi. Salva e santifica la tua Chiesa”.

Queste non sono parole profetiche di un anziano uomo di Chiesa, ma rappresentano l’analisi lucida di un Pastore che conosce le sue pecore, che sa leggere con sapienza il suo tempo, un Pastore che vede nella superbia umana, intenta in ogni modo a estromettere Dio e la Sua Legge dal cuore dell’uomo, il vero male.

Certo il peccato, qualsiasi peccato è presente nella Chiesa, ma è realistico affermare che la pedofilia, per quanto crimine indicibile e vergognoso, non ne rappresenti certamente il più diffuso. Le parole del futuro Papa, in quel che sembra ormai un lontanissimo 2005, cercano di mettere in guardia l’uomo, e in particolare l’uomo di chiesa, dal peccato di sempre, quello di colui che vuole mettersi al posto di Dio, tradire la Sua Parola e seminare zizzania nel Suo campo.

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