Pista di mafia mai battuta. Fascicolo “dimenticato” con perizia di Giochino Genchi avrebbe potuto e potrebbe ancora condurre al tesoro nascosto del padrino corleonese Bernardo Provenzano

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«Oggi in Italia si celebra la Giornata della memoria e dell’impegno in ricordo delle vittime innocenti delle mafie. Le mafie sono presenti in varie parti del mondo e, sfruttando la pandemia, si stanno arricchendo con la corruzione. San Giovanni Paolo II denunciò la loro “cultura di morte” e Benedetto XVI le condannò come “strade di morte”. Queste strutture di peccato, strutture mafiose, contrarie al Vangelo di Cristo, scambiano la fede con l’idolatria. Oggi facciamo memoria di tutte le vittime e rinnoviamo il nostro impegno contro le mafie» (Papa Francesco – Angelus Domini, 21 marzo 2021).

La pista fornita da una perizia dell’avvocato Gioacchino Genchi, consegnata alla procura di Palermo più di vent’anni fa e mai utilizzata nelle indagini, conduce al tesoro di Bernardo Provenzano, un patrimonio immobiliare valutabile in miliardi di euro. L’informatico forense, a quei tempi funzionario di polizia e consulente di molte procure, tranquillizza: “Il sequestro dei beni non cade in prescrizione”. Pino Finocchiaro lo ha intervistato oggi per Rai News 24.

Il giallo dei file “dimenticati” sugli affari segreti di Provenzano
di Riccardo Lo Verso
Livesicilia.it, 11 febbraio 2021

Dal passato viene fuori un’incredibile storia legata al nome di Giovanni Napoli, oggi settantenne, fedelissimo del padrino corleonese. Napoli assieme al boss Cola La Barbera, entrambi di Mezzojuso, hanno curato una parte della latitanza di Provenzano. Napoli viene arrestato il 6 novembre 1998. I carabinieri del Ros perquisiscono la sua abitazione e trovano sette floppy disk, marca Polaroid. Non riescono ad aprirli e l’allora pubblico ministero di Palermo, Maria Teresa Principato, l’1 lugio 1999, si affida a uno dei più qualificati e conosciuti esperti informatici, il poliziotto Gioacchino Genchi.

Genchi riesce ad estrapolare alcuni dati interessanti e il successivo 20 luglio scrive al pm. I floppy sono stati lavorati con “un software di non comune diffusione commerciale”. Grazie a un sistema operativo di ultimissima generazione sono stati archiviati nomi, indirizzi di immobili, operazioni finanziarie per cifre importanti riconducibili a una decina di persone.

Napoli, dunque, così sembra, custodisce a Mezzojuso la contabilità di un reticolo di società. Genchi svolge la prima ricognizione a titolo gratuito, ma spiega che è necessario analizzare il computer con cui sono stati sviluppati i file salvati nei floppy disk (allora non si usavano le pen drive). E così all’indomani dell’arresto, il 21 luglio, i carabinieri tornano a Mezzojuso e trovano il computer. O meglio, lo recuperano in un centro assistenza. Genchi scopre che alcuni file sono stati formattati o cancellati, ma riesce lo stesso a recuperare tanto materiale da riempire una sfilza di faldoni. Ci sono ampie tracce di assetti societari e investimenti immobiliari. Molti riguardano residence di nuova costruzione nella zona di San Vito Lo Capo. I file analizzati sono stati creati fra il 1993 e il 1994.

Poi seguono anni di incredibile silenzio. Nessuno convoca Genchi come avviene di norma. I periti sono chiamati dai pubblici ministeri per illustrare il lavoro svolto, specie quando si tratta di complicate consulenze informatiche. Non è avvenuto, né in fase di indagini preliminari, né durante il processo che si concluse con la condanna di Napoli.

La dinamica rende molto plausibile che la consulenza non sia stata sviluppata. Nessuno ha aperto i file, anche perché l’alert inserito dal perito per evitare possibili manomissioni non si è attivato. Se un investigatore o un pm, naturalmente autorizzati, avesse aperto i file il database di Genchi avrebbe segnalato l’accesso. Lo prevede la procedura di sicurezza.

Non serve ipotizzare strani complotti. I floppy disk e il pc sequestrati a Napoli, infatti, sono ancora oggi, anno 2021, nell’ufficio di Genchi assieme ai faldoni della consulenza. Genchi, che nel frattempo ha smesso di fare il poliziotto ed è diventato avvocato, fra il 2000 e il 2015 ha più volte sollecitato la Procura a ritirare il materiale e a liquidare la parcella per la consulenza. Una consulenza costatata parecchi milioni di lire (allora non c’era ancora l’euro), alla fine pagati per un lavoro mai sviluppato dagli investigatori.

Per la cronaca, il materiale in questione faceva parte di quello per il quale Genchi è finito sotto accusa. Ci furono grandi polemiche quando nel 2009 emerse che il consulente informatico aveva ancora a disposizione una banca dati enorme, soprattutto tabulati e incroci telefonici (c’è un processo ancora pendente). Nel caso dei floppy, però, Genchi ha diffidato per iscritto la Procura a ritirare i reperti.

La storia dei floppy è tornata di attualità in questi giorni nel corso del processo di appello sulla Trattativa Stato-Mafia. A complicare le cose un giallo nel giallo. Durante il processo di primo grado il pubblico ministero Antonino Di Matteo interroga il pentito Ciro Vara, il quale racconta di avere ricevuto delle confidenze da Giovanni Napoli: “… in certi dischetti avevano registrato delle cose interessanti che conservava il Napoli, tanto è che quando hanno fatto la perquisizione a casa del Napoli, poi il comandante della stazione dei carabinieri di Mezzojuso poi dopo qualche giorno ha consegnato questi dischetti e effettivamente mi diceva il Napoli c’era qualche, qualche cosa interessante da estrapolare… qualche cosa che poteva essere utile agli inquirenti… mi ha detto soltanto queste testuali parole, che c’erano questi dischetti, sono stati sequestrati e che c’erano delle cose interessanti che riguardavano Provenzano, e che sono stati restituiti dopo pochi giorni. Solo questo”.

Non è un elemento di poco conto per l’accusa che inquadra la anomala restituzione dei floppy disk nell’elenco dei favori che gli infedeli ufficiali del Ros fecero a Bernardo Provenzano. E sono stati proprio i Ros ad arrestare Napoli nel 1998 e a perquisire la sua abitazione. Qualcosa nella ricostruzione non torna, però.

I sostituti procuratori generali Giuseppe Fici e Sergio Barbiera hanno delegato degli accertamenti alla Direzione investigativa antimafia. Ritengono sospetto innanzitutto il fatto che la perquisizione in casa di Napoli e la prima, non riuscita, analisi dei floppy sia stata affidata a due carabinieri, uno da poco arrivato al Ros e un altro appena ventenne senza alcuna esperienza.

Ad essere restituiti alla moglie di Napoli, dopo pochi giorni dall’arresto dal marito, in realtà non sono stati i floppy disk, ma due telefonini e un rilevatore di microspie satellitari. Circostanza strana che i sostituti procuratori generali vogliono accertare chiedendo la convocazione dei due ufficiali (Tersigni e Pellegrini) che coordinavano le indagini.

Secondo l’accusa, Ciro Vara potrebbe avere fatto confusione quando ha parlato delle confidenze ricevute da Napoli. Il fedelissimo del padrino corleonese parlò di floppy disk, ma in realtà si trattava dei telefonini. In ogni caso il racconto di Vara sarebbe riscontrato.

E i floppy disk “dimenticati” nell’ufficio di Genchi dove ancora si trovano? Sulla consulenza commissionata nel 1999 dalla Procura di Palermo, pagata e mai utilizzata? Sulla pista investigativa che avrebbe potuto portare alla scoperta di un impero economico? Anche su questi argomenti, e non solo sui telefonini, servirebbero delle risposte visto che qualche anno dopo un’altra consulenza, sempre firmata da Genchi, portò gli investigatori a scoprire i segreti finanziari che Provenzano aveva affidato a Pino Lipari.

Gioacchino Genchi (Castelbuono, 22 agosto 1960) dopo la laurea in giurisprudenza conseguita con il massimo dei voti e lode, intraprese la carriera forense conseguendo le abilitazioni per l’esercizio dell’avvocatura e l’insegnamento di materie giuridiche. Nel 1986, a seguito di concorso pubblico, diviene Vice Commissario in prova della Polizia di Stato, frequentando il 70º Corso di formazione per Funzionari di Polizia per poi fare carriera fino a diventare Vice Questore aggiunto.

Esperto di informatica e telefonia, si occupa di incrociare i tabulati delle telefonate in processi di grande importanza, quali quelli sulla Trattativa Stato-Mafia, che hanno rivelato il rapporto tra la mafia e il complesso giuridico-economico-politico della seconda Repubblica.

È stato coinvolto dalla stampa e dal Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi in merito a un presunto scandalo di intercettazioni. Genchi avrebbe, secondo Berlusconi, intercettato 350.000 persone (non viene indicato in quanto tempo questo sarebbe avvenuto). Genchi tuttavia sostiene di non aver mai svolto una sola intercettazione in tutta la sua vita, poiché il suo compito era quello di analizzare tabulati telefonici, che tuttavia l’allora presidente del Copasir Francesco Rutelli riteneva delicati e rilevanti quanto le intercettazioni.

Il 23 marzo 2010 a Genchi viene comminata un’ulteriore sospensione di 6 mesi dal servizio, firmata dall’allora Capo della polizia, Antonio Manganelli, rischiando così la destituzione dal servizio. La destituzione arriverà il 16 febbraio 2011. Nel 2014 il TAR della Sicilia, con la Sentenza n. 205/2014 del 24-07-2014, ha annullato sia le tre sospensioni dal servizio che la destituzione inflittagli dalla Polizia di Stato.

Nel febbraio del 2009 è stato aperto un procedimento penale a carico di Genchi presso la Procura di Roma. Il 13 marzo 2009 i carabinieri del Ros su mandato della procura di Roma sequestrano il cosiddetto “archivio segreto” di Genchi, cioè i computer con i dati raccolti da Genchi per il suo lavoro di consulenza a diversi magistrati. Genchi si è difeso in un’intervista pubblicata su internet, parlando delle responsabilità dei suoi accusatori. Il Tribunale del Riesame ha annullato il sequestro e la perquisizione dei tabulati telefonici spiegando che i reati contestati erano inesistenti. La Procura di Roma comunque non ha restituito i tabulati a Genchi; il 7 maggio 2009 la Procura della Repubblica di Roma ha impugnato in Cassazione le ordinanze con le quali il Tribunale del riesame l’8 aprile ha annullato il sequestro del cosiddetto “archivio segreto” di Gioacchino Genchi. Il 26 giugno 2009 Genchi viene scagionato. Viene chiesto da Eugenio Selvaggi, sostituto procuratore generale della Cassazione, che i giudici della quinta sezione penale dichiarino inammissibile il ricorso che la Procura di Roma aveva presentato contro l’annullo del sequestro dei tabulati ordinato dal Tribunale del Riesame, poiché Genchi, secondo Selvaggi, non ha violato la privacy di nessuno. Il 13 aprile 2011 Gioacchino Genchi, accusato d’accesso abusivo alla rete Siatel, è stato assolto da Marina Finiti, Gup del Tribunale di Roma perché “il fatto non sussiste”.

Il 21 gennaio 2012 il GUP di Roma Barbara Callari rinvia a giudizio Gioacchino Genchi insieme a Luigi de Magistris con l’accusa di aver acquisito nel 2009 in modo illegittimo i tabulati telefonici di alcuni parlamentari. L’inchiesta è stata aspramente criticata anche da Marco Travaglio. Il 30 aprile 2012 nell’ambito del suddetto processo i legali di Genchi, Fabio Repici e Ivano Iai, presentano istanza di ricusazione per “inimicizia verso l’imputato” da parte della II sezione penale del Tribunale di Roma. L’11 maggio la Corte d’Appello di Roma respinge l’istanza. Il 21 ottobre 2015 la Corte d’Appello di Roma presieduta da Ernesto Mineo assolve Gioacchino Genchi e Luigi de Magistris dall’accusa di abuso d’ufficio per l’illecita acquisizione dei dati di traffico dei parlamentari, riformando una sentenza di primo grado pronunciata dal Tribunale capitolino in data 24 settembre 2014.

Il 27 settembre 2012 Genchi viene assolto dal GUP di Roma, Riccardo Amoroso, dall’accusa di calunnia nei confronti del consulente della procura Massimo Bernaschi. Nella sentenza si afferma che si deve escludere ogni possibile censura all’elaborato del consulente tecnico dott. Bernaschi.

È stato inoltre archiviato un procedimento per diffamazione nei confronti di Genchi, nato da un esposto di Antonio Saladino, dal GUP Andrea Ghinetti (Fonte Wikipedia).

14 dicembre 2018. Strage Borsellino, al processo sul depistaggio parla Gioacchino Genchi. Al centro della deposizione i suoi rapporti con La Barbera.

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