Cosa lascia Papa Benedetto ai futuri lavoratori nella vigna del Signore?

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Si soffre per la persona che si ama quando questa è in difficoltà. Ed è proprio questa sofferenza interiore che abbiamo sperimentato in questi giorni dopo l’annuncio del Santo Padre. Da seminarista della Chiesa della quale Lui è Vicario di Cristo in Terra, stiamo vivendo giorni carichi di malinconia per la mancanza di un padre nella fede. La mia vocazione è nata proprio all’ombra del suo illuminante magistero. Negli interventi di questi ultimi giorni, il Papa ha riassunto i punti essenziali del pontificato, che ora vorrei ripercorrere alla luce della mia esperienza nella Chiesa. Già all’angelus del 10 febbraio, ha precisato che la missione della Chiesa è paragonabile a quella di una impegnativa pesca nel mare del mondo. Da fine teologo però ha ricordato che qualcuno invece di servire la Chiesa, si serve di essa, qualcuno ha smarrito l’identità missionaria della Chiesa, accomodandosi su personali idee di chiesa. “Il comportamento che vuole apparire, gli atteggiamenti che cercano l’applauso e l’approvazione. Il vero discepolo non serve se stesso o il “pubblico”, ma il suo Signore … la ricompensa del giusto è Dio stesso, è essere uniti a Lui”, ha detto alla Messa delle ceneri.

Anche nella Chiesa ci si dimentica di Dio! Si mette da parte il divino per sostituirlo con ambiti surrogati, che in realtà fanno deprimere chi è davvero alla ricerca del Dio vivo e vero. Atteggiamenti ecclesiali che non fanno altro che deturpare il volto della Chiesa, ha precisato Benedetto. E proprio questi stili antievangelici illudono e allontanano “coloro che sono lontani dalla fede o indifferenti.” Il magistero e l’opera di Benedetto XVI non hanno fatto altro che smascherare l’ipocrisia strisciante anche nella Chiesa, travestita tante volte di belle parole, sontuose strutture e apparati ben organizzati. Di fronte ad un falso ottimismo che cela disinteresse per la Chiesa, il papa parlando ai seminaristi ha detto: nella Chiesa “non va tutto bene. Ci sono anche cadute gravi, pericolose, e dobbiamo riconoscere con sano realismo che così non va, non va dove si fanno cose sbagliate. Ma anche essere sicuri, allo stesso tempo, che se qua e là la Chiesa muore a causa dei peccati degli uomini, a causa della loro non credenza, nello stesso tempo, nasce di nuovo. Il futuro è realmente di Dio: questa è la grande certezza della nostra vita, il grande, vero ottimismo che sappiamo. La Chiesa è l’albero di Dio che vive in eterno e porta in sé l’eternità e la vera eredità: la vita eterna.”

Dietro tali atteggiamenti dunque si nasconde una mancanza di fede! C’è il rischio di scriverci un vangelo tutto nostro, di diventare cattolici non credenti, cattolici di facciata, per tradizione o per abitudine. Dio diventa superfluo, dice il Papa, un ornamento, un optional da nominare solo con la lingua ma senza quel doveroso coinvolgimento del cuore. Quanto poco cuore in tante parole, quanto poco zelo in tanti ministeri, quanta poca passione davanti alla missione che Gesù ci affida? Quanta tiepidezza sotto tante talari? Sempre all’angelus di domenica 10, il papa ricordava: la “vocazione è opera di Dio. L’uomo non è autore della propria vocazione, ma dà risposta alla proposta divina.” A proposito della chiamata il papa ‘agostiniano’ usa spesso l’immagine dell’essere trovati da Dio, scovati da questo Amore. Nella stupenda lectio ai seminaristi ha precisato “ Dio ha pensato a me, ha cercato me tra milioni, ha visto me e mi ha eletto, non per i miei meriti che non c’erano, ma per la sua bontà … Eletti: dobbiamo essere grati e gioiosi per questo fatto.” Essere scoperti, essere desiderati, essere pensati per una missione unica e particolare che Dio ha pensato a posta per me: è questa la vocazione per Ratzinger; ma è l’esperienza di ogni cristiano: “da cristiano non mi faccio solo un’idea mia che condivido con alcuni altri, e se non mi piacciono più posso uscire. No: concerne proprio la profondità dell’essere, cioè il divenire cristiano comincia con un’azione di Dio, soprattutto un’azione sua, ed io mi lascio formare e trasformare.”

Queste sapienti parole mi ricordano molto l’evangelico: “Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi.” Ma questo incontro trasformante cosa provoca? Lo vediamo nella vita di Benedetto XVI e nella sua scelta radicale. Lo ha anticipato così ai seminaristi venerdì scorso: “Pietro … va verso la croce, nessuno può essere cristiano senza seguire il crocifisso.” La fede viene testimoniata nella prova e nelle scelte. Il papa quasi come in un commiato, ci ricorda le sfide che oggi ci mettono alla prova: fedeltà al matrimonio cristiano, amore ai deboli, aborto, eutanasia eccetera. Oggi più che mai, chi sceglie la verità sceglie il rischio: “In un mondo dove la menzogna è potente, la verità si paga con la sofferenza, chi vuole schivare la sofferenza non può essere servitore della verità”, ricorda ancora il saggio teologo. Ci lascia nella Chiesa e ci chiede di amarLa come fa lui. “

La comunione come concetto centrale … non è ancora totalmente maturo, ma è frutto del Concilio che il concetto di comunione sia diventato sempre più espressione dell’essenza della Chiesa, comunione nelle diverse dimensioni: comunione con il Dio trinitario, comunione sacramentale, comunione concreta nell’episcopato e nella vita della Chiesa”, ha detto queste parole durante l’intima lectio ai preti della sua diocesi. Probabilmente l’inattuabilità del Concilio nasce da una idea sbagliata che abbiamo della Chiesa, ripiegata su riti e strategie lontane dai desideri e dai problemi dei fedeli. Attraverso il suo silenzioso lavoro ha sempre cercato l’unità della Chiesa, e questo abbiamo ricavato dalla triste esperienza di Vatileaks . Il Papa sa bene che dall’unità, dall’amore fra i cristiani dipende e scaturisce la verità del Vangelo, che ancora rimane l’unica proposta al passo coi tempi.

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