Numeri ufficiali Covid-19 del 16 marzo 2021. La fallacia del cecchino texano. Voler trovare relazione causale tra eventi distinti. Nebbia mentale e analfabetismo funzionale

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Ringraziando i nostri lettori e sostenitori, ricordiamo che è possibile inviare comunicazione presso l’indirizzo di posta elettronica del “Blog dell’Editore”: QUI.

I dati Covid-19 ufficiali del Ministero della salute di oggi martedì 16 marzo 2021

Ricoverati con sintomi: 26.098 (+760) (+3,00%) [Raggiunta soglia del 40% di allarme]
In terapia intensiva: 3.256 (+99) (+3,14%) [con 319 nuovi ingressi del giorno] [*] [I pazienti in terapia intensiva aumentano da 25 giorni – Superata soglia del 30% di allarme, al 36&]
Deceduti: 103.001 (+502) (+0,49%)
Vaccinati [**] e percentuale sulla popolazione (aggiornato al 16 marzo 2021 Ore 14:31) 2.070.825 (3,47% di una platea di 50.773.718 persone da vaccinare)

Dati aggiornati al 16 marzo 2021 ore 18:09 – Fonte Agenas.

La soglia del 30% per le terapie intensive e del 40% per le aree non critiche è individuata dal decreto del Ministro della Salute del 30 aprile 2020. Per area non critica si intendono i posti letto di area medica afferenti alle specialità di malattie infettive, medicina generale e pneumologia.

[*] Dato molto importante, perché permette di verificare al di là del saldo quante persone sono effettivamente entrate in terapia intensiva nelle ultime 24 ore oggetto della comunicazione.
[**] Persone che hanno completato la vaccinazione (prima e seconda dose). Vaccinazione in tempo reale: QUI.

Il sistema “Tutor” per verificare il “trend” dell’epidemia

Media giornaliera dei decessi: 264 (+1).

Tabella con i decessi al giorno, il totale dei decessi e la media giornaliera dei decessi [A cura dello Staff del “Blog dell’Editore”]: QUI.

Il punto della situazione a cura di Lab24

La decisione di bloccare la somministrazione del vaccino AstraZeneca risponde a un principio di responsabilità e di precauzione, ma è interessante capire quale sia stata la motivazione che ha portato alla decisione, e quali le possibili ricadute.
Partiamo dalla motivazione: il ministro della Salute, Roberto Speranza, ha spiegato oggi che la decisione è stata presa in via precauzionale dopo i dati comunicati dall’Istituto tedesco per i vaccini e i medicinali biomedici, il Paul Ehlrich Institut. Che ha rilevato “un notevole accumulo di una forma speciale di trombosi venosa cerebrale molto rara (trombosi della vena sinusale) in connessione con la carenza di piastrine (trombocitopenia) e sanguinamento vicino alle vaccinazioni con il vaccino di AstraZeneca”. In particolare a destare l’attenzione sono stati 7 casi, con 3 decessi, su 1.748.563 dosi somministrate fino al momento della sospensione (fonte: Robert Koch Institute). Visti i numeri, con un’incidenza inferiore a quella della popolazione generale, a muovere l’interesse dei medici tedeschi sembra essere stata la “qualità” delle anomalie, più che la quantità. E l’indagine sembra dunque volta a chiarire non tanto la sicurezza generale del vaccino, ma piuttosto eventuali interazioni con piccole sottocategorie di vaccinati (per esempio soggetti con patologie concomitanti o con un trattamento farmacologico specifico in corso) che potrebbero mostrare una particolare suscettibilità al trattamento. Oppure anomalie legate a un singolo lotto di vaccino: succede anche con le conserve alimentari e viene bloccata solo la vendita di quel lotto, non di tutta la produzione. Al momento, peraltro, non è stato confermato alcun rapporto causa-effetto tra i decessi e la somministrazione del vaccino. Ed è questo, la forzata correlazione causa-effetto, l’errore di base nel quale in molti stanno incorrendo nell’interpretare quanto sta accadendo.
Torniamo ai numeri, in particolare a quelli (i più robusti in assoluto) che arrivano da Uk: quasi 12 milioni di vaccinati con AstraZeneca, nessun decesso collegato al vaccino. Che non significa nessun decesso in assoluto tra i vaccinati: perché le persone muoiono, da sempre, per mille cause diverse. E ovviamente vaccinando la popolazione generale avremo, tra i vaccinati, gli stessi decessi che si sarebbero verificati anche senza vaccinazione: il vaccino protegge dalla Covid-19, non è un elisir di immortalità. Sempre restando ai numeri, per chiarire meglio di cosa stiamo parlando, vale la pena di ricordare che in Italia ogni giorno (anche prima dell’epidemia e della somministrazione del vaccino) si verifica una media di 350 infarti e 160 casi di tromboembolia, fortunatamente solo in parte mortali; e che il 35,8% dei decessi, ovvero oltre 230.000 morti l’anno, è causato da malattie cardiovascolari. Procedendo con la vaccinazione, e coprendo la quasi totalità della popolazione, quante volte troveremo una “correlazione temporale” tra vaccino e infarto o tromboembolia?

L’errore nel quale molti non addetti ai lavori stanno incorrendo nell’interpretare i dati tedeschi si spiega in Psicologia, come in Statistica, ricorrendo al paradosso (o fallacia) del cecchino texano, che nasce da una simpatica storiella: nella quale si narra di un texano, appunto, che avrebbe sparato contro il muro di una stalla alcuni colpi di pistola, disegnando in seguito il bersaglio intorno ai fori più vicini tra loro e dimostrando così di essere infallibile. In tutto in Germania sono stati riportati 3 decessi su 1.748.563 soggetti vaccinati con AstraZeneca, ovvero 1,7 per milione. Le persone protette dal vaccino, escludendo i decessi che proviamo ad attribuire forzatamente e senza prove al vaccino, sono 1.748.560: ovvero 999.998 per milione. A fronte di una patologia come la Covid-19 che sempre in Germania esprime, al momento, una mortalità di 887 decessi per milione di abitanti e una letalità di 28.534 decessi per milione di contagiati. Non saremmo stupiti se l’Ema, alla verifica dei dati, esprimesse parere favorevole alla ripresa delle vaccinazioni non riscontrando alcun rapporto causa-effetto tra decessi e vaccinazioni. O se al massimo, come abbiamo anticipato prima, bloccasse un singolo lotto o individuasse un particolare sottogruppo di popolazione a rischio da vaccinare con un preparato diverso da AstraZeneca. Se infine rigettasse “in toto” il vaccino sarebbe solo una dimostrazione di quanto possa essere accurata, fino al limite del paradosso, la sorveglianza esercitata. Resterebbe poi da spiegare la differente casistica in arrivo da Uk (ricordiamo zero decessi correlati al vaccino su 12 milioni di vaccinati con AstraZeneca) ma si tratta di un tema che, eventualmente, affronteremo se e quando sarà necessario farlo. Nel frattempo, per chiudere con i numeri in modo più leggero, forniamo in modo scherzoso una buona motivazione a chi, in contemporanea, ha paura del vaccino e vorrebbe smettere di fumare. I decessi legati al fumo nel nostro Paese (fonte: Ministero della Salute, Report Prevenzione e controllo del tabagismo 2020) sono oltre 93.000 all’anno: 1.550 per milione. Con il vaccino si rischia infinitamente meno (Fonte Lab24.ilsole24ore.com/coronavirus).

Come cambia il Comitato Tecnico Scientifico

Cambia il Comitato Tecnico Scientifico: dopo l’uscita di Agostino Miozzo, diventa Coordinatore il Presidente del Consiglio Superiore di Sanità Franco Locatelli, affiancato dal Presidente dell’Istituto Superiore di Sanità Silvio Brusaferro come Portavoce unico. I membri sono ridotti a 12. È quanto stabilito dal Capo Dipartimento della Protezione Civile Fabrizio Curcio, che “preso atto delle recenti dimissioni del Coordinatore del Comitato Tecnico Scientifico, Dottor Agostino Miozzo, e in relazione alla nuova fase dell’emergenza coronavirus, con l’accelerazione delle attività inerenti al nuovo piano vaccinale”, ha ritenuto opportuno razionalizzare le attività del CTS, al fine di ottimizzarne il funzionamento anche mediante la riduzione del numero dei componenti. In quest’ottica, si legge in una nota, “saranno coinvolti esperti appartenenti non solo al campo scientifico-sanitario ma anche ad altri settori, come ad esempio al mondo statistico, matematico-previsionale o ad altri campi utili a definire il quadro della situazione epidemiologica e ad effettuare l’analisi dei dati raccolti necessaria ad approntare le misure di contrasto alla pandemia” (Fonte SkyTG24).

La conferenza stampa dell’EMA sul caso AstraZeneca

Il Direttore esecutivo dell’Agenzia Europea per il Farmaco in conferenza stampa sulle dosi dell’anti-Covid-19 bloccate in via cautelativa in Italia e in diversi Paesi europei: “Non possiamo arrivare a una conclusione senza una valutazione scientifica e completa”. Confermata una decisione finale per giovedì (Fonte SkyTG24).

“E dire che Astrazeneca era ‘il vaccino più promettente’. Gli errori dell’Europa e del mago Speranza stasera a Fuori dal Coro e ci saranno anche altri numeri di mascherine farlocche. Vi aspetto tutti. Chi non urla è complice” (Mario Giordano @mariogiordano5 – Twitter, 16 marzo 2021).

In Gran Bretagna oggi 64 morti per Covid. A fine gennaio erano 1400 al giorno. Si è vaccinato il 38 per cento contro il circa 10 dei disastrosi paesi Ue, quasi 12 milioni con vaccino Astrazeneca” (Pierluigi Battista @PierluigiBattis – Twitter, 16 marzo 2021).

“Déjà vu… marzo 2020 – marzo 2021: un anno dopo, stesso lockdown e stesso COVID-19. “Quaresima per riflettere, chiedere perdono e convertirci. Poco fa, i rintocchi del Campanone di San Pietro, suonavano l’Angelus, nel vuoto e nel silenzio della piazza” (Eugenio Cecchini @CecchiniEugenio – Twitter, 16 marzo 2021).

AIFA ha sospeso la somministrazione di AstraZeneca
di Elena Tebano, redazione Digital
Il Punto | la newsletter del Corriere della Sera, 16 marzo 2021

L’Aifa, Agenzia del farmaco italiana, ha sospeso la somministrazione nel nostro Paese del vaccino anti Covid prodotto da AstraZeneca. La decisione è stata presa in via precauzionale e temporanea, su spinta del premier Mario Draghi, deciso a muoversi “in linea con quanto deciso da altri Paesi europei”: Germania, Francia, Spagna e Portogallo. Ieri così sono state interrotte le vaccinazioni in tutte le regioni e sono stati rimandati a casa coloro che erano già in fila per l’iniezione. Una mossa che ha creato allarme e preoccupazione tra i cittadini. E che potrebbe mettere a rischio il piano di vaccinazione appena varato dal governo. Eppure l’Aifa ha di nuovo precisato che “il vaccino è sicuro e chi lo ha fatto deve stare tranquillo”. Al momento inoltre non risultano “nessi causali” tra le morti sospette e i vaccini e il numero di trombosi registrate corrisponde alla frequenza “normale” di questo tipo di problema nella popolazione non vaccinata. Ma lo stop è stato deciso lo stesso. Giovedì una riunione straordinaria dell’Ema (l’agenzia europea per i farmaci) dovrà fare il punto sulla situazione, fornendo una nuova valutazione della sicurezza di AstraZeneca.
Il rischio intanto è che si ripeta quanto successo nel 2014 con un altro vaccino, l’antinfluenzale Fluad. “Anche all’epoca, come oggi, si scatenò il panico e ogni giorno arrivavano nuove segnalazioni di presunte morti correlate al vaccino contro l’influenza” ricorda Cristina Marrone. Allora le indagini suppletive conclusero che il vaccino era sicuro. “I danni alla campagna vaccinale furono però notevoli. Meno della metà degli over 65 decise di vaccinarsi. In media solo un italiano su dieci scelse di immunizzarsi e la tendenza a evitare l’antinfluenzale si è trascinata per anni”. Oggi siamo di fronte a una malattia più letale dell’influenza. E i ritardi nelle vaccinazioni dovute agli allarmi (per ora) infondati rischiano di costare la vita a persone che si potevano salvare.

Il vaccino AstraZeneca e l’umana, troppo umana tendenza a vedere nessi dove non ci sono
di Luca Angelini
Il Punto | la newsletter del Corriere della Sera, 15 marzo 2021


Ma c’è davvero da aver paura del vaccino AstraZeneca, la cui somministrazione ieri è stata sospesa anche in Italia, Germania e Francia? Per rispondere, bisognerebbe per prima cosa capire su cosa si basi quella paura. In attesa che si pronunci – giovedì – l’Agenzia europea per il farmaco, non resta che affidarsi ai numeri. E i numeri, almeno quelli forniti da AstraZeneca, dicono che, come ha riportato Cristina Marrone su Corriere.it, fino all’8 marzo, «su un totale di 17 milioni di soggetti vaccinati con il vaccino anti-Covid di AstraZeneca, “ci sono stati 15 eventi di trombosi venosa profonda e 22 eventi di embolia polmonare segnalati tra coloro a cui è stato somministrato il vaccino”». Le statistiche dicono anche che, in media, in Italia ci sono 166 episodi di tromboembolismo al giorno indipendenti dal vaccino.
Il punto cruciale, però, è un altro: “dopo” aver ricevuto il vaccino non vuol dire “per colpa” del vaccino. Però, come spiega sul Guardian uno che se ne intende, visto che presiede il Winton Centre for Risk and Evidence Communication all’università di Cambridge, il punto vero è un altro. Ossia che noi umani abbiamo un’irrefrenabile tendenza a vedere nessi e cause anche dove non ci sono. Dopo aver citato i dati britannici molto incoraggianti sull’efficacia e la mancanza di effetti collaterali gravi del vaccino AstraZeneca (peraltro del tutto simili e comparabili a quelli del preparato di Pfizer/BioNTech), David Spiegelhalter conclude che «finora, questi vaccini si sono dimostrati straordinariamente sicuri. In effetti, è forse sorprendente che non ci siano state più segnalazioni di eventi avversi. Ci potrebbe senz’altro essere quale evento estremamente raro provocato dai vaccini anti Covid, ma finora non c’è alcun segno di ciò». Perciò, Spiegelhalter si augura che gli effetti avversi non ci siano sulla volontà di farsi vaccinare.
Poi arriva al punto cruciale: «Saremo mai capaci di resistere all’urgenza di trovare una relazione causale tra eventi distinti?». E la sua risposta merita di essere riportata per intero: «Un modo per arrivarci è promuovere il metodo scientifico e assicurarsi che chiunque capisca questo principio basilare. Testare un’ipotesi ci aiuta a vedere quali intuizioni o assunti sono corretti e quali no. In questo modo, i test randomizzati hanno dimostrato l’efficacia di alcuni trattamenti per il Covid che hanno salvato un gran numero di vite, dimostrandoci invece che altre sbandierate affermazioni su differenti trattamenti, come l’idrossiclorochina e il plasma iperimmune, non erano corrette. Ma non credo che potremmo mai liberarci razionalmente del tutto dalla fondamentale e spesso creativa spinta a trovare strutture anche dove non ce n’è nessuna. Forse dovremmo soltanto sperare in un’umiltà di fondo prima di proclamare di sapere perché qualcosa è accaduto».
Si obietterà che anche il parere richiesto all’Ema sarà basato sulla scienza. Ma vale forse la pena riflettere anche su cosa voglia dire rallentare, seppur per pochi giorni, la campagna vaccinale. Lo si può fare, ad esempio, mettendo a confronto cosa sia successo, dall’inizio di quest’anno, in Gran Bretagna e in Italia. Anche al netto del lockdown più duro e prolungato in Gran Bretagna che da noi, i numeri fanno impressione. L’8 gennaio nel Regno Unito – che ha finora vaccinato circa 23 milioni di persone, poco più della metà con AstraZeneca – hanno superato i 68 mila contagi nelle 24 ore, con una media giornaliera, sulla settimana, di 59 mila. E il 22 gennaio hanno toccato i 1.401 decessi giornalieri e 1.241 di media settimanale. Il 14 marzo sono scesi a 4.618 contagi con media settimanale a 5.703, meno di un decimo di due mesi prima (decessi il 12 marzo 175, media settimanale 155). Qui in Italia il 9 gennaio eravamo a 19.976 contagi giornalieri e 16.666 di media settimanale (decessi l’8 gennaio 620 e media settimanale 470). Il 14 marzo i contagi erano saliti a 21.304 giornalieri e 22.237 settimanali. Due giorni prima, i decessi sono stati 380 nelle 24 ore e 328 nella settimana. Detto in modo più brutale, a inizio anno in Gran Bretagna si moriva di Covid più di due volte e mezza che da noi, adesso è il contrario, o quasi. E ci si contagiava più del triplo, mentre oggi la media inglese di contagi è un quarto della nostra. Gli effetti collaterali della vaccinazione ritardata sono letali.

Stress, noia, panico: la pandemia sta diventando anche un’epidemia per la salute mentale
di Elena Tebano, editorialista
Il Punto | la newsletter del Corriere della Sera, 15 marzo 2021


Dimenticarsi quello che si voleva dire a metà frase. Non riuscire a richiamare alla mente un nome o un volto. Entrare in una stanza per fare una cosa e non sapere più cosa. Avere la sensazione di non ricordarsi neppure più come era la vita prima. Sono alcuni degli effetti dello stress da pandemia sul cervello. Neppure i peggiori. Questo anno nella morsa dell’epidemia di Covid, infatti, ha avuto un impatto molto pesante sulla nostra salute mentale (un fatto che non sorprenderà nessuno), come spiegano da punti di vista diversi due interessanti articoli: uno di Ellen Cushing sull’Atlantic, e l’altro di Sophie McBain sul New Statesman.
Cushing descrive quella «nebbia mentale» in cui siamo finiti più o meno tutti. È una conseguenza del sovraccarico imposto dalla pandemia sulle nostre facoltà cognitive e insieme dei danni dell’isolamento. «Il nostro cervello è molto bravo a imparare cose diverse e a dimenticare quelle che non sono prioritarie» dice Tina Franklin, neuroscienziata del Georgia Tech. Dunque ha messo a riposo i meccanismi che attivava per fare cose come prendere l’autobus e andare al ristorante, e si concentra sul mantenere la distanza sociale e comportarsi in modo da evitare il rischio contagio. Per questo non ci ricordiamo più tante cose legate alla vita “di prima”.
«Andiamo tutti in giro con qualche lieve forma di deterioramento cognitivo» aggiunge Mike Yassa, un neuroscienziato della Università della California Irvine. «Sulla base delle nostre conoscenze del cervello, sappiamo che due cose gli fanno molto bene: l’attività fisica e le novità. Mentre una cosa che gli fa molto male è lo stress cronico e perpetuo». Vivere in pandemia significa dunque – aggiunge ancora Tina Franklin – «esporre continuamente le persone a microdosi di stress imprevedibile». E questo stress continuato modifica le regioni del cervello che controllano le funzioni esecutive, l’apprendimento e la memoria. Anche se non ce ne rendiamo conto, lo stress finisce per danneggiare le nostre funzioni mentali.
Tra le cose molto stressanti c’è «la noia prolungata». «Gli studi mostrano chiaramente che l’arricchimento ambientale – stare fuori casa, incontrare persone, fare i pendolari, tutti questi cambiamenti di cui siamo stati collettivamente privati – sono molto associati alla plasticità sinaptica», cioè alla capacità intrinseca del cervello di generare nuove connessioni e imparare nuove cose, e quindi di funzionare bene. Se mancano, anche il cervello funziona peggio.
L’altra grande minaccia alla salute mentale durante la pandemia è il dolore non rielaborato, quello di cui si occupa l’articolo del New Statesman. Che parte raccontando l’enorme quantità di sofferenza che devono affrontare i medici e soprattutto le infermiere e gli infermieri, coloro che stanno più accanto ai malati quando muoiono isolati dai loro cari. «A volte, entro dieci minuti dall’arrivo al lavoro, un medico o un infermiere avrà un attacco di panico e non sarà in grado di continuare, dice Andrew Breen, il direttore clinico della cura critica degli adulti al Leeds Teaching Hospital. Ogni giorno si imbatte in uno dei suoi collaboratori che singhiozza nel corridoio – scrive McBain-. L’unità ha iniziato a descrivere l’ansia anticipatoria che molti sentono prima del loro turno come pre-TSD – disturbo pre-traumatico da stress. Breen si è preoccupato di ciò che questa pressione e questo dolore stavano facendo ai suoi colleghi. “Non è solo piangere alla fine di una giornata difficile, sta cambiando chi sei, come senti te stesso, la tua personalità”, dice. Un sondaggio su 709 infermieri di assistenza critica, pubblicato sulla rivista Occupational Medicine a gennaio, ha scoperto che quasi la metà di loro riportava sintomi coerenti con PTSD (sindrome post traumatica da stress, ndr), grave depressione o ansia, o problemi di alcolismo. Uno su cinque tra gli infermieri intervistati ha riferito pensieri recenti di autolesionismo o di credere che sarebbe stato meglio morire. Il sondaggio è stato condotto in giugno e luglio, ben prima che la seconda ondata colpisse la Gran Bretagna. Breen ha descritto la pressione a cui è sottoposto il suo personale come una “bomba a orologeria”».
Se il personale sanitario è quello più esposto al dolore, non significa che il resto della popolazione sia al riparo. Sia perché moltissime persone hanno perso amici e parenti nell’epidemia, sia perché anche chi non ha avuto perdite nelle sue cerchie di affetti sente il dolore degli altri. «Le epidemie mortali generano sempre epidemie parallele di natura psicologica o esistenziale, meno tangibili ma altrettanto virulente» ha scritto il sociologo di Yale Nicholas Christakis nel suo libro del 2020, Apollo’s Arrow.
«Il filo che collega le nostre varie risposte emotive alla pandemia è la nostra comune esperienza di perdita. Non tutte le nostre perdite sono della stessa entità, ma quasi tutti sono alle prese con la perdita: di persone care, di mezzi di sostentamento, di esperienze di vita fondamentali (matrimoni, lauree, anni di scuola o università). C’è la perdita del futuro che avevamo immaginato per noi stessi, la consapevolezza che il mondo come lo conoscevamo una volta non sarà più lo stesso. La risposta più immediata e naturale alla perdita è il dolore» spiega McBain.
«Molte persone dicono di provare una pesante tristezza, ma quello che stanno descrivendo è il dolore», ha sintetizzato lo psicologo David Kessler sul Guardian. Il problema è che molte persone non sanno nemmeno identificare questo dolore “indiretto” e quindi non possono né rielaborarlo, né sanarlo. E il dolore non rielaborato fa malissimo alla salute, non solo mentale. Spesso consuma le persone. Succede in particolare, scrive McBain, «quando le persone mancano di sostegno sociale e quando le circostanze della morte di una persona sono difficili per altre ragioni. È normale dopo aver subito un lutto sentirsi in colpa, ma nella pandemia molte persone sono lasciate a chiedersi se hanno trasmesso il virus che ha ucciso la persona che amavano, e molti sono tormentati dalla consapevolezza che così tante morti di Covid avrebbero potuto essere evitate». Il tutto è acuito dall’isolamento.
Come spiega lo psicologo Darian Leader non possiamo elaborare il lutto – cioè il dolore inevitabile della perdita – in isolamento; il lutto è un compito sociale. «Una perdita, dopo tutto, richiede sempre un qualche tipo di riconoscimento, un senso che sia stato testimoniato e reso reale», scrive Leader.
Che fare dunque? Dobbiamo trovare forme per condividere e riconoscere il nostro dolore. È uno dei motivi per cui la preghiera di Papa Francesco nella Piazza San Pietro vuota, un anno fa, è stata così potente e toccante: ha reso tangibile il dolore di tutti. Abbiamo bisogno, atei e credenti, di altri momenti così: che ci aiutino a riconoscere il nostro comune senso di perdita. Senza negare il dolore, ma dandogli un senso condiviso.

A nessuno piace essere trattato come un suddito imbecille
Un articolo di Bechis sul Tempo aiuta a capire come stanno le cose. Nel Regno Unito hanno avuto 502 morti per vaccino, eppure vanno avanti: perché il rischio c’è, ma è lo 0,00236%
Tempi.it, 16 marzo 2021

Nel marasma di commenti che appaiono oggi sui giornali ce ne è uno, quello di Franco Bechis sul Tempo, che aiuta meglio di altri a ragionare (e “ragionare”, oggi, è cosa rara). Soprattutto, Bechis mostra sangue freddo, senza farsi prendere dalla tentazione di fare la “ola no vax” per il presunto fallimento di Astrazeneca o di ricominciare la litania sul “vaccino miracoloso” come tanta stampa nostrana.
Scrive il direttore del Tempo: «Da anni in Italia la questione vaccinale è diventata terreno di uno scontro ideologico e non scientifico. Si è ironizzato offrendo caricature sulle manie dei no-vax, ma lo Stato non si è rivelato meno ideologico di loro. Ho conosciuto e vissuto, toccando con mano, il muro di gomma che le autorità sanitarie hanno innalzato per evitare la registrazione di quelli che si chiamano “reazioni avverse”, che invece esistono: lievi, meno lievi e tragiche. Tanto è che ogni bugiardino di ogni medicinale messo in commercio ne riporta, sia pure in modo sintetico: le medicine servono a curare nella stragrande maggioranza dei casi, ma possono in qualche caso uccidere invece che guarire. Tutte, e questo dipende anche dalla storia medica del paziente a cui si somministrano».
Pfizer e Astrazeneca
Il punto è, dice Bechis, che bisognerebbe essere più “trasparenti”, non nel senso “grillino” del termine (che poi sappiamo che fine si fa), ma nel senso di essere franchi e precisi nell’indicare le possibilità e gli effetti dei medicinali che si somministrano, chiarendo che fanno bene e che possono avere controindicazioni indesiderate e non prevedibili.
Bechis fa l’esempio dell’Inghilterra dove Mhra – la loro Aifa – periodicamente pubblica report a disposizione della opinione pubblica.
«L’ultimo esistente sul sito raccoglie tutti i dati delle reazioni avverse delle vaccinazioni nel periodo fra il 9 dicembre e il 28 febbraio scorso. In quell’arco di tempo sono stati somministrati nel Regno Unito 10,7 milioni di prime dosi del vaccino Pfizer/BioNtech e 800 mila seconde dosi. In più 9,7 milioni di prima dose da fiale AstraZeneca. In tutto 21,2 milioni di dosi di vaccini che stanno immunizzando la popolazione».
Reazioni avverse: 0,00236%
Ecco cosa dicono i report: «Sapete quante reazioni avverse sono state registrate ai due vaccini? In tutto 296.431, e 201.622 seguivano la vaccinazione AstraZeneca, le altre 94.809 quella Pfizer/Biontech. Mentre qui scoppia il terremoto per 5-6 morti sospette e si ferma la vaccinazione, nel Regno Unito le morti post vaccino registrate ufficialmente da Mhra sono state 502, cento volte di più. Qui è in corso un terremoto, in Gran Bretagna la popolazione conosce questi numeri eppure non è mai stata sospesa nemmeno un minuto la vaccinazione. Perché essendo da sempre informati, sanno fare un calcolo semplice: le 502 morti che qui sembrano pazzesche, dagli inglesi sono prese per quello che rappresentano: lo 0,00236% dei vaccinati. Chi il mattino esce per andare a fare la sua dose in un centro di vaccinazione sa già che quella fiala può essere letale più o meno per uno solo ogni 50 mila vaccinati: il rischio c’è, ma non sembra altissimo».
Se prometti miracoli, ma non sei Gesù o Superman, poi la gente non ti crede più. Se dici le cose come stanno (“non esiste il rischio zero, ma una ragionevole approssimazione al vero”), è più facile che ognuno, liberamente, ti segua. È banale, ma è così: a nessuno piace essere trattato come un suddito imbecille.
Com’è schizofrenica la curva pandemica dei giornali
Avete già deciso se morire di Covid o di AstraZeneca? Da tre giorni il tweet fissato dell’account Twitter di Repubblica recita: «A chi critica il titolo di oggi: la nostra opinione è nell’editoriale in prima pagina di Luca Fraioli, totale fiducia nei vaccini. Ma le opinioni partono dalla cronaca, e cioè cancellerie europee in allarme e 9 paesi che sospendono AstraZeneca. Un anno fa fummo accusati di “infodemia” quando raccontammo i primi morti a Codogno o quando anticipammo il primo dpcm che chiudeva il nord Italia. Allora come ora facciamo il nostro mestiere».
È un po’ poco per giustificare la schizofrenia delle opinioni del giornale di Scalfari e dei giornali in generale da un anno a questa parte. Se è vero che il 26 gennaio 2020 Repubblica titolava, col carattere cubitale che le è consono, in prima pagina “La grande paura cinese. ‘Il virus si espande’”, è anche vero che ai titoli drammatici sulla paralisi del nord sono seguiti quelli enfatici per incitare a riaprire Milano; e che ai titoli, criticatissimi, del 12 marzo su “AstraZeneca, paura in Europa”, sono seguiti quelli lapidari del 13 marzo “Il vaccino AstraZeneca è sicuro”. E ora che l’Aifa l’ha sospeso in tutta Italia?
Rep, dal virus letale al virus fantasia
Di orrore per il virus in terrore per il vaccino, Repubblica non è l’unica a dover rendere conto ai lettori di una sua curva pandemica. Certo, non manca in qualunque edizione di qualunque quotidiano il contorno del virgolettato catastrofista del virologo, la guida a “cosa si può fare e cosa no”, la foto dell’assembramento degli untori di turno, la variazione del numero dei contagi, il grido flebile dell’imprenditore in miseria. Accozzati a capocchia.
Tanto che se l’11 marzo Repubblica dedicava un servizio a tutta pagina a “I dimenticati della pandemia”, il ristoratore costretto a chiudere, la famiglia di lavoratori senza aiuti e con figli a casa, un drammatico appello a riaprire le scuole, il 14 marzo la paginata era dedicata invece a “Il cuoco, l’ostetrica, il burattinaio e l’Italia che torna in lockdown ‘Non va tutto bene ma resistiamo’” che si chiudeva così: «Se virus vuol dire fantasia, non poca ne hanno avuta gli studenti del liceo fiorentino Marco Polo, che nel corso della loro ultima assemblea online hanno invitato Sara Brown, “sex performer” e attivista. Tema dell’incontro: “La pornografia: l’intimità non è un tabù. Parliamone”. Chi l’ha detto che la didattica a distanza non funziona?».
Occhio al vaccino, evviva il vaccino
Come si è passati da miseria e disperazione a resilienza e comicità? Facile, dopo i canonici due giorni di allarmi, panico, con picchi quasi di negazionismo no vax, Draghi parlava e Rep. annunciava in prima pagina “L’immunità a settembre”, con tutti i catenacci d’ordinanza; “Il piano Draghi-Figliuolo: 500 mila vaccinati al giorno da metà aprile, task force nelle zone di maggiore contagio”, “Reclutati 120 mila tra medici e dentisti, la somministrazione delle dosi anche nelle parrocchie e in farmacia”, “Speranza: settimane dure, ma svolta vicina e AstraZeneca è sicuro”. Il 15 marzo, cioè ieri, ampio attacco al governatore Cirio che aveva sospeso AstraZeneca, “L’ira del ministero: ‘Sui vaccini decide l’Aifa, nessun potere alle Regioni’”. Peccato che a metà giornata l’Aifa e il ministero prendessero la stessa decisione della regione incriminata.
Le varianti del Corriere
Per nulla allarmista su AstraZeneca il Corriere dà sempre invece il meglio sui numeri. Dopo un anno di convivenza di editoriali di Luciano Fontana per la ripresa graduale e di articolesse di Paolo Giordano per la chiusura immediata, la narrazione sulle varianti killer e terapie intensive al collasso (in 48 ore “Boom di contagi, il 70 per cento da variante inglese. ‘Le altre ondate erano niente in confronto a questa’”, “In un giorno 255 nuovi ricoveri. Soglia critica superata in 11 regioni”, “Dall’Abruzzo al Piemonte intensive al limite”, “La variante inglese ha moltiplicato i casi in Lombardia”) che ha avuto il suo picco nel “Contagi su da sei settimane” il 13 marzo, decelerava il giorno successivo: “Terza ondata del virus. Così la crescita rallenta”, “Secondo le proiezioni il picco sarà tra sette giorni poi l’epidemia comincerà a ‘sgonfiarsi da sola’”.
Un’ondata di ottimismo anch’essa figlia di quel “Vaccini, 500 mila al giorno” in prima pagina, “Entro settembre l’80 per cento sarà immunizzato” che si estende anche il giorno successivo perfino in tema di varianti con l’intervistona al professore Franco Locatelli, titolata «Lotta alle varianti, con le nuove regole diffusione dei contagi giù dopo le festività».
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E oggi, oggi per dirla con lo stesso titolo che la Stampa ha usato per tre giorni (corredandolo con i “no panico” di Draghi e gli “è sicuro” degli esperti), “AstraZeneca è un caso”. E la curva pandemica dei giornali flette di nuovo: Repubblica affida alla foto in prima pagina della ristoratrice 22enne Camilla Moccia, rannicchiata tra le pentole nel suo bistrot a Ostia, il senso della sconfitta, “La primavera della disperazione”, di più, nel paginone dedicato alla titolare del bistrot, “simbolo dell’atmosfera che stiamo vivendo”, il titolo diventa “La ristoratrice e il coraggio di mostrare la disperazione”: «Sono i giorni della disperazione, gente, si abbia il coraggio di dirlo – scrive Stefano Massini – se non altro per risparmiarci faticose ipocrisie, magari travestite da quello che Vasily Grossman archiviava come l’oppio assurdo dell’ottimismo fine a se stesso». Eh.
Stampa come un anno fa
Da Grossman a Seneca anche il Corriere si rassegna al caffè di Gramellini in prima («Quando, spero il prima possibile, mi toccherà porgere il braccio magari proprio ad AstraZeneca, cercherò di ricordarmi le parole del filosofo e quasi omonimo Anneo Seneca: “Sono meno da temere proprio quelle cose che ci fanno più paura»). Quanto alla Stampa, punta sulla foto di Piazza di Spagna deserta con Trinità dei Monti sorvolata da un uccellaccio e sul reportage “Un anno dopo, tra silenzi, vuoti e solitudine ecco il nuovo lockdown che spaventa l’Italia”, «Di nuovo come un anno fa – scrive Gabriele Romagnoli -. Niente come un anno fa».
“L’Emilia resta regione rossa”: il 26 gennaio 2020 il Resto del Carlino titolava così in prima pagina sulla vittoria alle urne del Pd di Bonaccini. Ma allora “zona rossa” non era sinonimo di lockdown, disperazione, vaccinazione e nemmeno di quella zona tra fatto e lettore, la nuova prateria della narrativa giornalistica e delle sue curve pandemiche.
È un vaccino, non un miracolo
Adesso che sembra di essere ritornati nello sconforto perché “la soluzione” (cioè il vaccino) sembra non essere più “la soluzione”, occorrerà ripetersi una verità tanto cruda quanto inconfutabile: qui nessuno fa miracoli.
A dirla tutta, Tempi è da un po’ che lo scrive – andatevi a rileggere Giancarlo Cesana e Corrado Sanguineti sul numero di febbraio –, non per disfattismo, ma per semplice realismo. Non puoi chiedere una certezza assoluta a chi (i virologi, i politici) non può dartela, così come non puoi riporre una speranza incondizionata in ciò che, come la scienza, non può offrire risposte definitive alle tue domande più importanti. Puoi chiedere una ragionevole approssimazione al bene e questo, al momento, è ciò che ci dà il vaccino: per contrastare il Covid, è meglio farlo che non farlo.
Risposte per ogni evenienza
Qui nessuno fa miracoli, e di sicuro non li fanno né lo Stato demiurgo, come lo chiama Amicone, né la scienza, che ha tempi suoi e non “forzabili” e che invece noi abbiamo dovuto manomettere per avere al più presto “la soluzione”. Ora che pare – e questo “pare” è molto importante – siamo di fronte a possibili e non dimostrati effetti collaterali letali del vaccino AstraZeneca, è chiaro che ci si fermi e si verifichi.
Questo virus si fa beffe di una società dominata dall’ansia di fornire le risposte giuste per ogni evenienza; questo virus si fa gioco della nostra perenne tentazione di sentirci a posto perché è tutto sotto controllo. Invece, non è mai così, nemmeno quando non c’è una pandemia.
Cosa chiedere al vaccino
Questo non significa essere disfattisti o scettici: al contrario, significa confidare nell’ingegno umano (come ci disse il cardinale Ruini in un’intervista di un anno fa) e sapere che – la storia millenaria ce lo insegna – siamo sempre stati capaci di venire a capo dei problemi che ci si sono posti di fronte. Certo, sarebbe tutto più semplice se chi ha responsabilità maggiori (gli scienziati, i politici) non creasse false aspettative come se fosse onnipotente. A un vaccino si può chiedere di proteggerci, non di fare miracoli.

Foto EPA/Georgi Licovski.

Beati noi che abbiamo il “vaccino democratico”
Alla fine meno male che ci sono le Big Pharma. Questi che partono dalle ricerche di Stato per riempire le provette anglo-svedesi, poi finisce che qualche problemino – come anticipato ieri mattina qui e confermato col blocco del vaccino praticamente in tutta Europa – lo pongono. Adesso vediamo cosa deciderà l’Ema. Ma non facevano prima a trattare con Putin, noi ci mettiamo la logistica voi ci passate lo Sputnik V e vi paghiamo per fabbricarlo in Europa?
No. Hanno così tanto a cuore il bene della popolazione che hanno anteposto la logica della geopolitica e degli interessi (supposti) dell’Occidente alla logica di pace e collaborazione con Mosca. Figuriamoci. C’è Biden adesso. Mica quel mascalzone di Trump. È tutto come la logica del povero buon Enrico Letta: «Adesso chiederemo conto alla Lega perché sta al governo». Ma chiediti perché il Pd ci sta da dieci anni, chiunque passi da Roma, Franza o Spagna.
Peccato per i giornali e le tv
Perciò sono arrivati a minare preventivamente la fiducia nel vaccino russo (che invece a quanto pare è superiore a quello vikingo) e a enfatizzare quanto siamo superiori noi che abbiamo “il vaccino democratico”. Mentre loro sono pericolosi e leghisti perché ce l’hanno “autoritario”.
Bene comunque anche così. Perché comunque la superiorità di una democrazia si vede anche in questa capacità di fermarsi e nell’orientamento a cercare di fare le cose giuste. Peccato per i giornali e le tv. Dovrebbero lavorare di più e meglio, invece di appiattirsi su quanto è bello che un pennuto metta sotto i piedi la bandiera italiana a Sanremo ed evitare di sollevare questioni se “lo dice l’Europa”.
Le tre opzioni che abbiamo
Adesso i casi sono tre, se putacaso l’Ema prendesse ancora tempo.
O a breve la situazione si sblocca perché così, a naso, non è il vaccino ma potrebbe essere l’ambaradan produttivo e di confezionamento che perde (o prende) aria da qualche parte.
O ci chiudiamo fino a settembre aspettando che risolvano i problemi di AstraZeneca lassù in Europa vikinga.
Oppure, terza ipotesi, siamo ancora in Quaresima, facciamo ancora in tempo a cospargerci il capo di cenere e bussiamo alla porta di Mosca. Altrimenti provate a supplicare che ci dia qualche aiutino quel Joe Biden che è così egualitario, antirazzista e di sinistra.
Io resto in zona bianca
Per quanto mi riguarda, per non saper né leggere né scrivere, il mio vaccino è che sono da mesi in zona bianca. Smart working. E pedalare. Teoricamente parlando avrei dovuto essere in cima alla lista di tutti i vaccini invernali del ricettario Ssn: antipneumococco, antinfluenzale, anti-Covid. Naturalmente non ne ho fatto uno. Sarebbe un peccato morire. Ma a quanto pare l’Ema la pensa come me.

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