Il Papa e il clero di Roma. Una antologia
“Questa è la nostra vocazione sacerdotale: scegliere noi stessi la vita e aiutare gli altri a scegliere la vita”. E’ il 2 marzo del 2006, e Benedetto XVI spiega così al clero di Roma il senso della vocazione sacerdotale. Da quel primo, tradizionale incontro di inizio Quaresima, ne seguiranno altri sei, uno all’anno. In tutti, Benedetto XVI rinnoverà l’opzione fondamentale per la vita del cristiano; spiegherà il senso di essere sacerdoti in un mondo che rischia di diventare “vuoto di Dio”; sottolineerà la necessità della preghiera e dell’adorazione, l’importanza del diaconato. E sempre parlando della Sacra Scrittura, con la passione di chi ogni passo lo ha letto, meditato, studiato e ci ha trovato una lezione di vita. “La lettura della Sacra Scrittura – ha detto nel 2006 al clero deve essere sempre una lettura nella luce di Cristo. Solo così possiamo leggere e capire, anche nel nostro contesto attuale, la Sacra Scrittura e avere realmente luce dalla Sacra Scrittura. Dobbiamo comprendere questo: la Sacra Scrittura è un cammino con una direzione”.
Il Papa che ha fatto della sua teologia una coerenza di vita incontra ogni anno i sacerdoti di Roma per l’inizio della Quaresima. In nessuno di questi incontri c’è mai stato un copione prestabilito. All’inizio, Benedetto XVI si sottopone alle (molte) domande dei sacerdoti. Questi molte volte raccontano la loro esperienza pastorale, tanto che il Papa a un certo punto esclama “Come posso correggere i parroci, che lavorano così bene! Possiamo solo aiutarci reciprocamente”. Molte altre volte pongono dubbi, fanno domande di teologia e anche di pastorale. A tutti il Papa dà risposte esaurienti, parlando a braccio. Ed è in questi passaggi che si può notare di più il tratto umano e spirituale di Benedetto XVI. Che mette sul tavolo anche la sua esperienza di Papa. Parla dei lineamenta del Sinodo che verrà, racconta le sue esperienze di viaggio, parte dalla realtà concreta che gli viene esposta dalle visite ad limina, ma racconta anche le sue letture del momento – su tutte l’amato Sant’Agostino – segno di un Papa che non si è addormentato sulla sua conoscenza della scrittura, ma la continua ad alimentare. Nel 2011 e 2012, invece, il Papa parla a braccio, nella forma della lectio divina. Ma sono lunghi discorsi, che applicano le parole della Scrittura sulla vita di tutti i giorni. Chi ascolta il Papa non resta mai deluso. Nelle parole di Benedetto XVI si possono seguire tanti fili rossi, anno per anno. Proviamo a dipanarne qualcuno.
Scegliere la vita, vivere la conversione, trasmettere Cristo
Nel 2006, dopo aver segnalato che “l’opzione fondamentale” del sacerdote, e soprattutto del cristiano, è quella per la vita, si fa subito la domanda che chiunque gli farebbe: come si sceglie la vita? Come si fa? “Riflettendo – afferma – mi è venuto in mente che la grande defezione dal Cristianesimo realizzatasi nell’Occidente negli ultimi cento anni, è stata attuata proprio in nome dell’opzione per la vita. È stato detto – penso a Nietzsche ma anche a tanti altri – che il Cristianesimo è una opzione contro la vita. Con la Croce, con tutti i Comandamenti, con tutti i “No” che ci propone, ci chiude la porta della vita. Ma noi, vogliamo avere la vita, e scegliamo, optiamo, finalmente, per la vita liberandoci dalla Croce, liberandoci da tutti questi Comandamenti e da tutti questi “No”. Vogliamo avere la vita in abbondanza, nient’altro che la vita. Qui subito viene in mente la parola del Vangelo di oggi: “Chi vorrà salvare la propria vita, la perderà, ma chi perderà la propria vita per me, la salverà” (Lc 9, 24). Questo è il paradosso che dobbiamo innanzitutto tener presente nell’opzione per la vita. Non arrogandoci la vita per noi ma solo dando la vita, non avendola e prendendola, ma dandola, possiamo trovarla. Questo è il senso ultimo della Croce: non prendere per sé ma dare la vita”.
Ma come trasmettere questa fede? E soprattutto, come trasmetterla ai più giovani? Il problema viene posto dai parroci di Roma a Benedetto XVI nel 2007. E lui spiega che è prima di tutto importante “che i giovani trovino persone – sia della loro età che più mature – nelle quali possano vedere che la vita cristiana oggi è possibile ed anche ragionevole e realizzabile”. E questo esempio è importante, perché ci sono dubbi sia sulla realizzabilità della vita cristiana (“perché le altre strade sono molto lontane dal modo di vivere cristiano”), e sulla ragionevolezza (“perché a prima vista sembra che la scienza ci dica cose totalmente diverse e quindi non si possa aprire un percorso ragionevole verso la fede, così da mostrare che essa è una cosa in sintonia col nostro tempo e con la ragione”). E nel 2008 sottolinea: “Mi sembra che questo sia il punto fondamentale nella nostra cura pastorale per i giovani, per tutti ma soprattutto per i giovani: attirare l’attenzione sulla scelta di Dio, che è la vita. Sul fatto che Dio c’è. E c’è in modo molto concreto. E insegnare l’amicizia con Gesù Cristo”.
C’è un percorso da fare. “Non possiamo pensare – afferma – di vivere subito una vita cristiana al cento per cento, senza dubbi e senza peccati. Dobbiamo riconoscere che siamo in cammino, che dobbiamo e possiamo imparare, che dobbiamo anche convertirci man mano. Certo, la conversione fondamentale è un atto che è per sempre. Ma la realizzazione della conversione è un atto di vita”.
Che cosa sia la “conversione”, Benedetto XVI lo spiega al clero di Roma durante la lectio divina del 2011, tutta dedicata al ministero sacerdotale. “Le cose – spiega spirituali – appaiono un po’ “dietro” la realtà: “Metanoia”, cambiamento del pensiero, vuol dire invertire questa impressione. Non le cose materiali, non i soldi, non l’edificio, non quanto posso avere è l’essenziale, è la realtà. La realtà delle realtà è Dio. Questa realtà invisibile, apparentemente lontana da noi, è la realtà. Imparare questo, e così invertire il nostro pensiero, giudicare veramente come il reale che deve orientare tutto è Dio, sono le parole, la parola di Dio. Questo è il criterio, Dio, il criterio di tutto quanto faccio. Questo realmente è conversione, se il mio concetto di realtà è cambiato, se il mio pensiero è cambiato”.
È un grande percorso, che deve essere anche al centro della vita sacerdotale. Anzi, deve essere alla base della vocazione sacerdotale. E si torna al concetto del mondo senza Dio, del mondo che ritiene irragionevole l’opzione cristiana. “La grande sofferenza della Chiesa di oggi nell’Europa e nell’Occidente – dice Benedetto XVI nel 2012 – è la mancanza di vocazioni sacerdotali, ma il Signore chiama sempre, manca l’ascolto. Noi abbiamo ascoltato la sua voce e dobbiamo essere attenti alla voce del Signore anche per altri, aiutare perché ci sia ascolto, e così sia accettata la chiamata, si apra una strada della vocazione ad essere Pastori con Cristo”.
La sete di Dio
C’è il dramma della mancanza di ascolto verso Dio. Ma di certo c’è sete di Dio. “Ho avuto poco tempo fa – dice Benedetto XVI ai sacerdoti della diocesi di Roma nel 2008 – la visita ad limina di Vescovi di un paese dove più del cinquanta per cento si dichiara ateo o agnostico. Ma mi hanno detto: in realtà tutti hanno sete di Dio. Nascostamente esiste questa sete. Perciò prima cominciamo noi, con i giovani che possiamo trovare”. Aggiunge poco dopo: “Nelle visite ad limina dei Vescovi di Paesi ex comunisti, vedo sempre di nuovo come in quelle terre siano rimasti distrutti non solo il pianeta, l’ecologia, ma soprattutto e più gravemente le anime. Ritrovare la coscienza veramente umana, illuminata dalla presenza di Dio, è il primo lavoro di riedificazione della terra. Questa è l’esperienza comune di quei Paesi. La riedificazione della terra, rispettando il grido di sofferenza di questo pianeta, si può realizzare soltanto ritrovando nell’anima Dio, con gli occhi aperti verso Dio”.
È l’unico modo di realizzare un mondo giusto, perché “non possiamo riparare tutte le distruzioni del passato, tutte le persone ingiustamente tormentate e ucciso”. Si può fare- sostiene il Papa – solamente partendo dalla consapevolezza che la giustizia può essere creata solo da Dio stesso, perché questa “deve essere giustizia per tutti, anche per i morti. E, come dice Adorno, un grande marxista, sola la risurrezione della carne potrebbe creare la giustizia”.
Viene da qui la grande speranza del cristianesimo, che guarisce l’essere umano, che lo restituisce anche dopo tante cose sbagliate, dopo tanti peccati. E’ – dice il Papa – “il grande dono che la Chiesa offre. E che, per esempio, la psicoterapia non può offrire. La psicoterapia oggi è così diffusa e anche necessaria di fronte a tante psichi distrutte o gravemente ferite. Ma le possibilità della psicoterapia sono molto limitate: può solo cercare un po’ di riequilibrare un’anima squilibrata. Ma non può dare un vero rinnovamento, un superamento di queste gravi malattie dell’anima. E perciò rimane sempre provvisoria e mai definitiva. Il sacramento della penitenza ci dà l’occasione di rinnovarci fino in fondo con la potenza di Dio — ego te absolvo — che è possibile perché Cristo ha preso su di sé questi peccati, queste colpe. Mi sembra che questa sia proprio oggi una grande necessità”.
L’amicizia con Gesù e la semplicità della fede
Alla base di tutto, c’è però la riscoperta dell’amore di Cristo, dell’amicizia con Gesù. “La Quaresima, per noi stessi – dice il Papa nel 2006 – dovrebbe essere il tempo per rinnovare la nostra conoscenza di Dio, la nostra amicizia con Gesù, per essere così capaci di guidare gli altri in modo convincente alla opzione per la vita, che è innanzitutto opzione per Dio”. E poi plaude alla proposta di un sacerdote di creare – nei cinque settori della diocesi di Roma – cinque luoghi di adorazione perpetua. Perché è vero che con la Costituzione conciliare della liturgia “è stata riscoperta soprattutto tutta la ricchezza dell’eucarestia celebrata”, ma poi si è scoperto anche che senza adorazione l’eucarestia celebrata “perde profondità e anche ricchezza umana”, perché “l’adorazione è un entrare con la profondità del nostro cuore in comunione con il Signore che si fa presente corporalmente nell’Eucaristia”.
C’è bisogno di comunione. “Il grande problema proprio di questo tempo – nel quale ognuno, volendo avere la vita per sé, la perde perché si isola e isola l’altro da sé – è di ritrovare la profonda comunione che alla fine può venire soltanto da un fondo comune a tutte le anime, dalla presenza divina che ci unisce tutti. Mi sembra che la condizione sia di superare la solitudine e anche di superare l’incomprensione, perché anche quest’ultima è il risultato del fatto che il pensiero oggi è frammentato. Ognuno cerca il suo modo di pensare, di vivere, e non c’è una comunicazione in una profonda visione della vita”.
Si deve partire dalla consapevolezza che il Vangelo, in fondo, è semplice, ed è questo che va raccontato: la semplicità e la gioia del Vangelo. “Non dovremmo coprire la semplicità della Parola di Dio – dice Benedetto XVI nel 2009 – in valutazioni troppo pesanti di avvicinamenti umani. Mi ricordo un amico che, dopo aver ascoltato prediche con lunghe riflessioni antropologiche per arrivare insieme al Vangelo, diceva: ma non mi interessano questi avvicinamenti, io vorrei capire che cosa dice il Vangelo! E mi sembra spesso che invece di lunghi cammini di avvicinamento, sarebbe meglio — io l’ho fatto quanto ero ancora nella mia vita normale — dire: questo Vangelo non ci piace, siamo contrari a quanto dice il Signore! Ma che cosa vuole dire? Se io dico sinceramente che a prima vista non sono d’accordo, abbiamo già l’attenzione: si vede che io vorrei, come uomo di oggi, capire che cosa dice il Signore. Così possiamo senza lunghi circuiti entrare nel vivo della Parola”.
La missione del sacerdote
Qual è la missione del sacerdote? Benedetto XVI lo spiega nei dettagli nell’incontro del 2010. La missione del sacerdote – dice – è “combinare, collegare queste due realtà apparentemente così separate, cioè il mondo di Dio – lontano da noi, spesso sconosciuto all’uomo – e il nostro mondo umano. La missione del sacerdozio è di essere mediatore, ponte che collega, e così portare l’uomo a Dio, alla sua redenzione, alla sua vera luce, alla sua vera vita”. E quindi “il sacerdote deve essere dalla parte di Dio, e solamente in Cristo questo bisogno, questa condizione della mediazione è realizzata pienamente”. È questo il motivo per cui è necessario che il Figlio di Dio si faccia uomo: “perché ci sia il vero ponte, ci sia la vera mediazione. Gli altri devono avere almeno un’autorizzazione da Dio o, nel caso della Chiesa, il Sacramento, cioè introdurre il nostro essere nell’essere di Cristo, nell’essere divino. Solo con il Sacramento, questo atto divino che ci crea sacerdoti nella comunione con Cristo, possiamo realizzare la nostra missione”.
Il Sacramento – spiega il Papa – è fondamentale, perché “nessuno si fa sacerdote da se stesso; solo Dio può attirarmi, può autorizzarmi, può introdurmi nella partecipazione al mistero di Cristo; solo Dio può entrare nella mia vita e prendermi in mano. Questo aspetto del dono, della precedenza divina, dell’azione divina, che noi non possiamo realizzare, questa nostra passività – essere eletti e presi per mano da Dio – è un punto fondamentale nel quale entrare”.
Ma il sacerdote deve anche vivere fino in fondo la sua umanità, essere “uomo in tutti i sensi – spiega il Papa – cioè deve vivere una vera umanità, un vero umanesimo; deve avere un’educazione, una formazione umana, delle virtù umane; deve sviluppare la sua intelligenza, la sua volontà, i suoi sentimenti, i suoi affetti; deve essere realmente uomo, uomo secondo la volontà del Creatore, del Redentore, perché sappiamo che l’essere umano è ferito e la questione di ‘che cosa sia l’uomo’ è oscurata dal fatto del peccato, che ha leso la natura umana fino nelle sue profondità. Così si dice: ‘ha mentito’, ‘è umano’; ‘ha rubato’, ‘è umano’; ma questo non è il vero essere umano. Umano è essere generoso, è essere buono, è essere uomo della giustizia, della prudenza vera, della saggezza. Quindi uscire, con l’aiuto di Cristo, da questo oscuramento della nostra natura per giungere al vero essere umano ad immagine di Dio, è un processo di vita che deve cominciare nella formazione al sacerdozio, ma che deve realizzarsi poi e continuare in tutta la nostra esistenza. Penso che le due cose vadano fondamentalmente insieme: essere di Dio e con Dio ed essere realmente uomo, nel vero senso che ha voluto il Creatore plasmando questa creatura che siamo noi”.
L’umiltà
Nella straordinaria lectio divina, del 2012, Benedetto XVI parla anche dell’umiltà. Ha appena proclamato l’Anno della Fede – che lui chiama “Anno del Catechismo”, perché si deve combattere “l’analfabetismo religioso” – e sottolinea ancora una volta la necessità di un cammino verso Dio che non è mai isolato, è un cammino comune. Ed è un cammino che va fatto con l’umiltà, mettendo sempre Gesù al centro. “Accettare me stesso e accettare l’altro – dice il Papa ai sacerdoti della sua diocesi – vanno insieme: solo accettando me stesso nel grande tessuto divino posso accettare anche gli altri, che formano con me la grande sinfonia della Chiesa e della creazione. Io penso che le piccole umiliazioni, che giorno per giorno dobbiamo vivere, sono salubri, perché aiutano ognuno a riconoscere la propria verità ed essere così liberi da questa vanagloria che è contro la verità e non mi può rendere felice e buono. Accettare e imparare questo, e così imparare ad accettare la mia posizione nella Chiesa, il mio piccolo servizio come grande agli occhi di Dio. E proprio questa umiltà, questo realismo, rende liberi. Se sono arrogante, se sono superbo, vorrei sempre piacere e se non ci riesco sono misero, sono infelice e devo sempre cercare questo piacere. Quando invece sono umile ho la libertà anche di essere in contrasto con un’opinione prevalente, con pensieri di altri, perché l’umiltà mi dà la capacità, la libertà della verità. E così, direi, preghiamo il Signore perché ci aiuti, ci aiuti ad essere realmente costruttori della comunità della Chiesa; che cresca, che noi stessi cresciamo nella grande visione di Dio, del «noi», e siamo membra del Corpo di Cristo, appartenente così, in unità, al Figlio di Dio”.