Inno dell’ Amicizia

L’amico?
La persona su cui puoi contare.
L’amico?
La persona che non mette in atto cautele.
L’amico?
La persona che non fugge dinanzi al tuo dolore.
L’amico?
La persona che ti porta fuori della tua sofferenza.
L’amico?
La persona che ti fa guardare oltre prolungando la tua visione.
L’amico?
La persona che non si rassegna alle parole di violenza e di morte.
L’amico?
La persona che non ti lega, ma ti libera da tutto ciò che ti lega e ti opprime.
L’amico?
La persona che dà calore ed energia alla tua vita con dinamismi di gratuità.
L’amico?
La persona che nel silenzio percepisce “cuore a cuore” le tue parole di verità.
“Ecco il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi. Nessuno ha amore più grande di chi dona la propria vita per i suoi amici. Voi siete miei amici se fate ciò che vi comando” (Gv 15, 12-14). L’amore salvifico d’amicizia discende dal Padre a Gesù, da Gesù ai suoi, dai suoi a tutti gli uomini. La morte di Gesù è il segno della radicalità del dono di sé. L’amico è, innanzitutto, la persona che dona amore e accoglie amore, non è l’individuo senza cuore e senza volto, imbrattato di egoismo ipocrita e falsità opportunistica per alleanze diaboliche e distruttive.
Aristotele, in Etica Nicomachea, così scrive: “Coloro che amano a causa dell’utile, amano per via del bene che proviene a loro e quelli che amano a causa del piacere amano per via di ciò che di piacevole proviene a loro e non in quanto la persona amata è quello che è, bensì in quanto essa è utile o piacevole. Perciò queste amicizie sono accidentali: infatti, chi è amato non è amato per via di quello che è, ma perché procura chi un bene, chi un piacere. Simili amicizie, quindi, sono facilmente caduche, poiché le persone non restano sempre uguali; se, infatti, esse non sono più piacevoli o utili, cessano di essere in amicizia. L’utile non dura, ma cambia a seconda delle circostanze. Svanendo, quindi, il motivo per cui costoro erano amici, si scioglie anche l’amicizia giacché l’amicizia era in rapporto a esso” (III, 1156°).
La riflessione di Aristotele sta in contrappunto con quanto Cicerone fa dire a Lelio sul concetto di fedeltà come fondamento dell’amicizia. Nell’opera ciceroniana Laelius, lo scrittore, affermando che non può esserci vera amicizia senza fides reciproca, così scrive: “Base della stabilità e della coerenza, che cerchiamo nell’amicizia, è la fiducia. Nulla è stabile di ciò che è infido. Conviene pertanto scegliere la persona semplice, socievole e di sensibilità affine, cioè che reagisca alle situazioni come noi. Tutto ciò contribuisce alla fedeltà. Non può essere affidabile un carattere complesso e tortuoso, non può essere neppure leale e stabile chi non reagisce come noi e ha una sensibilità diversa. Bisogna aggiungere che l’amico non deve provare gusto nel calunniare o nel credere a calunnie mosse da altri… l’amicizia può esistere soltanto tra i virtuosi. Solo l’uomo virtuoso, che si può chiamare anche saggio, sa osservare due norme dell’amicizia. Innanzitutto deve evitare tutto ciò che è finto o simulato; persino l’odio dichiarato è più nobile che nascondere il proprio pensiero dietro un’espressione del volto. Poi, non solo le accuse lanciate da altri, ma neppure nutrire sospetti, supponendo che l’amico si sia comportato male. Infine conviene aggiungere la dolcezza delle parole e dei modi, condimento per nulla trascurabile dell’amicizia. Il cattivo umore e la costante severità comportano sì un tono di sostenutezza, ma l’amicizia dev’essere più rilassata, più libera, più dolce, più incline a ogni forma di amabilità e di cortesia” (Laelius, 65-66).
Sant’Agostino, parlando di Semina Verbi, dice che la letteratura, la filosofia, la mitologia pagana, se intese rettamente, furono una sorta di preludio al Vangelo. Poeti e sapienti greci, in certo senso, erano profeti. Le pagine citate sull’amicizia di Aristotele e di Cicerone sembrano essere preludio alle pagine della Santa Scrittura.
Modello e sorgente della vera amicizia è quella che Dio stringe con l’uomo: con Abramo (Is 41,8; Gen 18,17 ss); con Mosè (Es 33, 11); con i profeti (Am 3,7). Il Siracide così la descrive:
“Una bocca amabile moltiplica gli amici,
una lingua affabile le buone relazioni” (VI, 5).
“C’è chi è amico quando gli fa comodo,
ma non resiste nel giorno della tua sventura.
C’è anche l’amico che si cambia in nemico
E scoprirà i vostri litigi a tuo disonore” (v. 8-9)
“Un amico fedele è rifugio sicuro:
chi lo trova, trova un tesoro” (v. 14)
“Un amico fedele è medicina che dà vita:
lo troveranno quelli che temono il Signore.
Chi teme il Signore sa scegliere gli amici:
come è lui, tali saranno i suoi amici” (v. 16-17).
Inviando il Figlio suo in mezzo a noi, Dio s’è mostrato “amico degli uomini” (Tt 3,4). Gesù, infatti, ha dato all’amicizia un volto di carne: “Non vi chiamo più servi ma amici”, comunicando loro i segreti del Padre (cf Gv 15,15). Il tipo del vero amico di Gesù, fedele fino alla croce, è “il discepolo che Gesù amava” (Gv 13,23) cioè “il discepolo che rende testimonianza” Gv 21, 20-24) cioè l’amico intimo di Gesù (Gv 19,26; 20,2; 21,7). Il discepolo amico che Gesù ama potrebbe essere la figura simbolica ideale e reale del cristiano perfetto che testimonia il Vangelo. I veri discepoli, amici amati, di Gesù sono coloro che non solo trasmettono “informazioni” su di Lui ma lo seguono nel dono di sé. L’amore d’amicizia che, insieme alla fede, contraddistingue le comunità cristiane nel loro vivere nel mondo, definisce oltre al rapporto dei discepoli con Gesù, anche il rapporto dei discepoli tra di loro. Anzi, da questo il mondo potrà riconoscere i veri discepoli: dall’amore che avranno tra di loro (Gv 13, 35).
L’amicizia, come l’amore, più che un sentimento è un comportamento, è qualcosa di concreto, tutti possono vederlo perché il cristianesimo si esprime nell’amore e dove non c’è amore non c’è cristianesimo. La vera amicizia sgorga dall’amore, ma qual è il fondamento del vero amore? “In questo è l’amore: non che noi abbiamo amato Dio, ma che egli ha amato noi e ha mandato il suo figlio per essere propiziazione per i nostri peccati. Diletti, se Dio ci ha così amati, anche noi dobbiamo amarci gli uni altri” (Gv 4, 10). Qual è la misura? Non più “ama il prossimo tuo come te stesso” ma “amatevi come io ho amato voi” (Gv 15,9). Non è nuovo il comandamento, è nuovo il tipo d’amore e la sua modalità. Gesù non solo lo ha insegnato, lo ha anche incarnato. Con quale coscienza si può celebrare l’Agape se ciò che celebriamo non è innanzitutto fede creduta, amata e vissuta? Giovanni, al prossimo da amare, impone, non il titolo o il ruolo o la posizione sociale-ecclesiale, ma il nome e il volto del fratello in umanità e fede.