Ricordando Turoldo, innamorato di Dio nell’Anno della Fede
Il 6 febbraio 1992 moriva David Maria Turoldo, uno dei più rappresentativi esponenti di un cambiamento del cattolicesimo nella seconda metà del ‘900. Il suo impegno a cercare un confronto di idee deciso e talvolta duro, ma sempre dialettico, si tradusse nella fondazione, col suo fedele collaboratore fra’ Camillo De Piaz, del centro culturale Corsia dei Servi (il vecchio nome della strada che dal convento dei serviti conduceva al duomo), dedicato all’approfondimento dei problemi di attualità, italiani e internazionali, e delle dinamiche che andavano trasformando la città. Fu uno dei principali sostenitori del progetto Nomadelfia, il villaggio nato per accogliere gli orfani di guerra ‘con la fraternità come unica legge’, fondato da don Zeno Saltini nell’ex campo di concentramento di Fossoli presso Carpi: grazie alla sua abilità di oratore riuscì a raccogliere molti fondi presso la ricca borghesia milanese. Nel 1964 Turoldo decise di ristrutturare l’antica ex abbazia cluniacense di Sant’Egidio a Fontanella di Sotto il Monte Giovanni XXIII, il paese di origine di papa Giovanni XXIII, scomparso solo l’anno precedente. Fondò e divenne priore di una piccola comunità, ‘Casa di Emmaus’, presso la quale istituì il Centro di studi ecumenici ‘Giovanni XXIII’, aperto anche a persone atee e di altre fedi, come quella islamica, all’insegna di un ecumenismo radicale.
Nel presentare la raccolta ‘Il Grande Male’ Carlo Bo scriveva: “Padre David ha avuto da Dio due doni: la fede e la poesia. Dandogli la fede, gli ha imposto di cantarla tutti i giorni”. Per decenni Turoldo ha cantato, attuando inconsciamente un motto della tradizione giudaica mistica che invitava il fedele a ‘un canto ogni giorno, a un canto per ogni giorno’. La sua ispirazione era la fede, ma questa sua ispirazione non deve trarre in inganno semplificando un profilo di scrittore che fu contrassegnato anche dal tormento del dubbio e dalle inquietudini della coscienza di fronte a Dio, tanto che egli potrebbe figurare opportunamente tra i cantori del Deus absconditus, come affiora in particolare nei suoi ‘Canti Ultimi’. In ‘Anche Dio è infelice’, scritto due anni prima della morte, si può leggere: “E’ il silenzio la parte più grande di tutto il mistero di Cristo. Il silenzio di Dio; il silenzio della creazione; e della notte: Il silenzio dei tabernacoli. Silenzio, grembo dei mondi… E poi: come dire Dio e che cosa dire? Dio che tace non è già un annuncio? Tanto più che è difficile dire se Dio sia un suono oppure il silenzio … Di contro non stanno che le nostre parole sfocate; i nostri discorsi inutili e interminabili; e tutti uguali, questo gran dire, che poi non muta nulla, non trasforma, non fa soffrire nessuno…. Io penso veramente che Cristo abbia sofferto di più nel decidersi a parlare che nell’accettare la passione. Articolare un mistero dentro sillabe; dare un suono al silenzio; creare un’immagine a ciò che è al di là di ogni immagine: questa la grande impresa di Gesù”.
La poetica su Dio e su Gesù di David Maria Turoldo prorompe all’interno della produzione in prosa, come del resto si sprigionava improvvisa nella sua comunicazione orale. Una delle imprese maggiori è la consegna in versi delle preghiere alla liturgia festiva (Opere e giorni del Signore), oltre al costante esercizio poetico sui Salmi, da lui tradotti in collaborazione con Ravasi. In queste opere egli dimostra una percezione delle esigenze corali della preghiera comunitaria, a cui dedicò una parte notevole del suo impegno pastorale e della sua riflessione religiosa. Turoldo ha sempre ricercato la radicalità della Parola, la sua fedeltà alla Chiesa nello spiegare del valore del Concilio Vaticano II: ‘Servo e ministro sono della Parola’, si era autodefinito; scopo e ragion d’essere della sua poesia è stato quello di far cantare la Parola divina: “Dio e il Nulla – se pure l’uno dall’altro si dissocia…/ Tu non puoi non essere/ Tu devi essere,/ pure se il Nulla è il tuo oceano”.
E nell’Anno della Fede è importante riscoprire questo poeta, che ha aperto il suo cuore al dialogo con i non credenti per un’appassionante riscoperta dell’amore a Gesù: “Liberata l’anima ritorna agli angoli delle strade oggi percorse, a ritrovare i brani. Lì un gomitolo d’uomo posato sulle grucce, e là una donna offriva al suo nato il petto senza latte. Nella soffitta d’albergo una creatura indecifrabile: dal buio occhi uguali al cerchio fosforescente d’una sveglia a segnare ore immobili. E io a domandare alle pietre agli astri al silenzio: chi ha veduto Cristo?”