Eritrea: investitori minerari violano i diritti umani
In una relazione che esamina le operazioni delle risorse della miniera di Nevsun, Human Rights Watch ha dichiarato che una piccola azienda canadese è stato costretta a utilizzare una proprietà dello Stato contraente per costruire alcune infrastrutture intorno al sito minerario. La ditta ha una lunga esperienza di distribuzione di presunto lavoro forzato in relazione con i suoi progetti, secondo Human Rights Watch, che ha intervistato quattro eritrei che hanno lavorato al progetto Bisha. Gli eritrei intervistati da Human Rights Watch hanno lavorato al progetto come operai coscritti, descrivendo ‘terribili condizioni di vita e il lavoro forzato a salari miseri’. Un ex militare di leva ha detto che è stato arrestato e imprigionato per diversi mesi dopo aver lasciato il posto di lavoro per partecipare al funerale di un parente. Negli ultimi anni, la ricchezza minerale, in gran parte inutilizzata, dell’Eritrea ha fornito una spinta necessaria per le sue prospettive economiche; ma nonostante ciò è uno dei paesi più poveri del mondo, al 177 posto su 187 paesi nell’Indice dell’Undp: il paese è governato da uno dei regimi più chiusi.
Infatti Abba Mussie Zerai, sacerdote eritreo, è, allo stesso tempo, sconsolato e irritato dall’insensibilità che organizzazioni internazionali, Egitto, Israele e Stati Uniti hanno dimostrato nei confronti del dramma che i profughi eritrei ed etiopi vivono nella penisola del Sinai. Lui, insieme a un gruppo di operatori umanitari e giornalisti, denuncia il problema e chiede interventi per evitare nuove morti, ma ricevendo risposte interlocutorie: “E’ un problema dimenticato. Sembra che a nessuno importi della loro sorte. Eppure decine di persone continuano a morire, a essere torturate, a essere violentate… Attualmente sappiamo che nel Sinai ci sono tra i 250 e i 300 profughi eritrei ed etiopi. Sono stati sequestrati dalle bande di beduini. Quegli stessi trafficanti che contrabbandano armi, cibo e droga verso Israele e Gaza. Li tengono negli scantinati delle ville che si sono costruiti con i lucrosi proventi delle loro attività illecite. Li picchiano, li torturano. Le ragazze sono violentate e talvolta rimangono incinte”.
Questi profughi sono quasi tutti giovani scappati dal loro Paese per fuggire alla miseria e alla guerra. Dopo essere transitati per il Sudan arrivano in Egitto. Da qui, cercando di raggiungere Israele, sono costretti ad affidarsi ai beduini per attraversare il Sinai. Questi appartengono a grandi clan che vivono di traffici illeciti e solitamente li rapiscono chiedendo un ingente riscatto per il rilascio: “Due anni fa chiedevano fino a $ 8.000 a persona. Oggi il riscatto medio si aggira su $ 60.000 a persona. Le comunità di eritrei in Europa, Stati Uniti e Canada fanno collette per raccogliere le somme. Conosco famiglie che hanno venduto tutte le loro cose più preziose per pagare. Chi non può pagare chiede ad amici e conoscenti. Ogni settimana ricevo persone che mi chiedono soldi per i loro parenti nel Sinai. Faccio appelli durante le messe affinché i fedeli raccolgano il necessario. Ormai però le comunità non ce la fanno più a sopportare il peso del ricatto”.
Abba Mussie, insieme a una delegazione di eritrei, nel 2010 è stato ricevuto da funzionari del Dipartimento di Stato Usa che hanno promesso che avrebbero fatto pressioni sull’Egitto per intervenire nel Sinai: “In effetti, pressioni ci sono state. Ma sradicare questo traffico è complicato perché alimenta la corruzione e ci sono troppe connivenze a livello politico. L’Egitto poi, in questi mesi, è sconvolto da troppe tensioni interne per preoccuparsi dei profughi eritrei”. Infatti ai profughi che non riescono a pagare vengono asportati organi (reni, fegato, cuore, ecc.) che poi sono venduti agli ospedali: “Sappiamo che nel Sinai gira una clinica mobile con medici compiacenti. Questi asportano gli organi che vengono poi, conservati in celle frigorifere, sono trasportati in ospedali egiziani o di altri Paesi arabi. A documentarlo sono alcuni filmati (con immagini molto forti). E’ uno scandalo che non può continuare”.