Il linguaggio cattolico è entusiasmante. Passa per tre livelli ma parte sempre dalla Fede in Dio

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Evangelizzare è entusiasmante, perché vuol dire imparare a parlare un linguaggio nuovo. Un nuovo linguaggio che raggiunge i confini della terra, utilizzando uno stile cattolico, capace di rinnovarsi nel tempo. Ma per parlare di Dio bisogna avere Fede in lui. Un linguaggio cattolico senza fede è un linguaggio incomprensibile.

Da ragazzi all’oratorio gli educatori ci assegnavano spesso un compito. L’invito era di tornare a giocare il giorno seguente, portando un nostro amico con noi. Nessuno sa meglio di noi, come parlare ai nostri amici, come convincere i nostri simili, per coinvolgerli in un’attività entusiasmante. A noi ragazzi piaceva sempre fermarci a parlare, a fine giornata, con Don Frans. Un prete erudito ma di campagna, un sacerdote e uno scrittore di storie per ragazzi. Il caro Don Frans, dalle parole fresche e brillanti, che toccavano i nostri cuori scalpitanti e la nostra Fede acerba, mentre indossavamo t-shirt sudate post-partita. Don Frans sapeva sempre tenere alta la nostra attenzione, mentre ci insegnava i tre livelli del linguaggio della Fede, affermando che “Dio passa sempre attraverso tre livelli, il livello della mente, il livello del cuore e il livello delle parole”. Masticando la sua immancabile caramella alla liquirizia (e pure questo mi ha trasmesso…), ci spiegava: “Se non facciamo passare Dio attraverso questi tre livelli, non riusciremo mai a parlare con Lui e non riusciremo mai a parlare di Lui”.

Don Frans ci ha trasmesso l’entusiasmo del linguaggio cattolico, un linguaggio semplice e comprensibile, fatto di parole piene di Fede. Perché avere Fede vuol dire avere un linguaggio contagioso. Sentire crescere la Fede dentro di noi è carburante per la mente, per il cuore e per le parole che escono dalla nostra bocca. Parole che raggiungono i nostri interlocutori, che verranno contagiati da una Fede entusiasmante. Perché una parola detta al momento giusto può salvare una vita, solo se quella parola è capace di toccare le corde della sensibilità di chi la accoglie e la sente propria.

Una parola accogliente salva dalla solitudine e dalla cultura del tempo vuoto; aiuta a superare la paura di parlare al mondo, sconfiggendo la cultura del nulla. Perché un cristiano non deve mai sentirsi solo. Con noi c’è sempre Dio, che non ci abbandona mai.

Le parole di Don Frans insegnavano ai ragazzi a crescere nel linguaggio cattolico nella consapevolezza, che la loro vita avrebbe cambiato la storia del mondo, con parole chiare e forti della loro fede.
Parole udibili e comprensibili, non interpretabili e senza doppi fini.
Parole dette fuori dai denti.
Parole capaci di rompere il silenzio della solitudine.
Parole capaci di far sentire i sordi.
Parole amorevoli e morbide, penetranti e potenti come quelle sussurrate da Santa Madre Teresa di Calcutta. Lei con la sua carità ha cambiato il mondo. Con i suoi gesti semplici di amore ha convertito i cuori delle persone, nel suo linguaggio di Fede, inconfondibilmente cattolico.

La palla da tennis che rappresenta le parole dei Superbi Spin Doctor, che finiscono sempre fuori campo.

Le mezze parole, le frasi non dette e lasciate a metà (che purtroppo si trovano sempre di più anche nelle parole dei commenti sui social, digitate con cuore e sinapsi spenti), sono i frammenti di scia delle palle a effetto colpite dai tennisti della comunicazione odierna. Superbi Spin-Doctor, che vorrebbero lasciare il segno nella storia, ma lasciano solo lo stampo di una palla ad effetto. Una palla, che atterra fuori dal campo della Fede e fuori della comprensione cognitiva, colpita da un linguaggio incomprensibile. Palle che si sgonfiano e che finiscono presto il loro effetto. Sono utili solo a non far morire di noia i raccattapalle, che le raccolgono a fondo campo.

Il linguaggio cattolico non è uno scoop giornalistico. Il linguaggio cattolico è un pensiero che passa attraverso un messaggio modellato dalla lingua del cuore. È un linguaggio con cui si parla al prossimo, attraverso la mente che elabora parole di Fede.
Parole che non giudicano per non essere giudicate.
Parole che amano per essere amate.

Detto questo, condividiamo di seguito l’articolo Capire la Chiesa guardandola attraverso lo specchio a firma dell’amico e collega Andrea Gagliarducci pubblicato ieri sul suo blog Vatican Reporting. Andrea sta insistendo molto sull’idea che non si usa più un linguaggio cattolico. Come abbiamo esposto prima, è un tema cruciale per la trasmissione della Fede e come conseguenza è alla base del vuoto culturale di oggi. Una società umana senza Dio è ridotta al nulla, paragonabile all’ectoplasma della paraspicologia.

I due pannelli sopravvissuti del Trittico di Heinrich von Werl, pala completata dal pittore fiammingo Robert Campin a Colonia nel 1438. Il pannello centrale è andato perdutp. I due pannelli rimanenti sono ora nel Prado a Madrid.

Capire la Chiesa guardandola attraverso lo specchio
di Andrea Gagliarducci,
Vatican Reporting, 24 febbraio 2021


“Come ha detto Papa Francesco ‘Le tragedie naturali sono la risposta della terra al nostro maltrattamento. E io penso che se chiedessi al Signore che cosa pensa, non credo mi direbbe che è una cosa buona: siamo stati noi a rovinare l’opera del Signore’.” La citazione non viene da una omelia, né dal discorso di un alto prelato. È una citazione del discorso del Premier Mario Draghi, quando si è presentato davanti al Senato a chiedere la fiducia. Ed è una citazione che dice molte cose, e che apre ad una riflessione più ampia.

Draghi è stato descritto come “un devoto” cattolico in molti profili, ne è stata esaltata la formazione alla scuola dei gesuiti, ne è stata magnificata la vicinanza in Vaticano, è stato persino sottolineato come Papa Francesco lo abbia nominato membro della Pontificia Accademia delle Scienze appena aveva terminato il suo incarico di presidente della Banca Centrale Europea, e si è andati a rileggere il discorso che ha fatto lo scorso anno al Meeting  CL di Rimini, considerato un suo manifesto programmatico.

Eppure, quando si tratta di scegliere una citazione di Papa Francesco, Draghi non trova di meglio che andare a riprendere un passaggio che riguarda l’ecologia. Ed è una chiara scelta di campo. Perché, nel suo discorso al Senato – leggere per credere – Draghi ha parlato di economia, ma non ha mai parlato di tdemografia. Non ha mai parlato del tema della vita, che pure è fondamentale per far ripartire il Paese, ma ha piuttosto parlato di parità di genere. Non ha mai parlato di famiglia. Ha prima di tutto rivendicato la legittimità del suo governo, quindi ha chiesto unità per far fronte alla crisi, e quindi è andato, e ha poi stilato una sua agenda, che include anche l’agenda “verde”, notando come il problema ambientale potrebbe essere alla base della pandemia del COVID-19. Non è stato un discorso di un politico cattolico. Non poteva né doveva esserlo.

La questione non è di poco conto. Il mondo cattolico non ha rappresentanti. Non ha formato intellettuali. Non ha formato politici. Se oggi guardiamo al pensiero cattolico in Italia, scopriamo che quasi non esiste. È messo fuori dal dibattito generale. È inesistente nell’impatto mediatico.

Ma lo è perché lo stesso pensiero cattolico si è appiattito sull’agenda secolare. Anzi, ha dato al linguaggio secolare una importanza superiore a quella del linguaggio che invece il cattolicesimo ha sviluppato da secoli. Un linguaggio che punta, come dice la Bibbia, ad aiutare “il povero, l’orfano, la vedova” (cioè, gli ultimi della società), ma partendo dal presupposto, fortissimo, che è Dio che dona la vita, e che la vita donata da Dio viene diffusa dalla famiglia.

È la politica che entra nella Chiesa e la snatura. Perché la cura della casa comune, l’attenzione per i migranti, il sostegno ai poveri sono tutte cause penultime. A tutti piace una Chiesa che si mette in campo per aiutare chi non ce la fa. Aiuta lo Stato, solleva tutti dalle proprie responsabilità. E infatti Draghi, nel suo discorso, cita anche i dati Caritas, dando così loro la legittimità di dati dei Paesi reali.

Quando, però, la Chiesa deve parlare delle cose ultime, e quindi partire dalla difesa della vita e della dignità di ogni essere umano, viene sempre silenziata. Certo, non è solo colpa del Papa. Si deve riconoscere a Papa Francesco ha usato parole durissime per condannare l’aborto, per difendere la famiglia. I suoi discorsi all’Europa contengono sempre un accenno al problema demografico, in maniera quasi pastorale, ma convinta.

Eppure, resta anche in Papa Francesco l’idea di un linguaggio politico, concreto, pragmatico al limite del cinico, che si va a riversare anche nei suoi scritti, nelle sue idee. Papa Francesco è il primo a credere in una Chiesa profondamente presente sul campo, una Chiesa – come dice lui – ospedale da campo. Ma forse non si rende conto che un ospedale da campo è sempre in emergenza, e non può dare cure e soluzioni, ma solo panacee. Per un cattolico, però, Cristo è la cura, Cristo è la soluzione. Non è un momento temporaneo.

Se si guarda la Chiesa nello specchio, se si guarda la Chiesa secondo le aspettative degli altri, ci si trova una Chiesa le cui parole vengono svuotate di significato. Tutto è scristianizzato, nonostante sia profondamente cristiano. Cristo scompare dall’orizzonte.

Davvero la Chiesa vuole autopercepirsi in questo modo? Non si trattta solo delle parole del Papa, ma anche del modo in cui gli stessi media cattolici raccontano la vita, la storia, le opere. Il Papa è più che altro una scusa per molti, una giustificazione del fatto che nessuno si vuole davvero impegnare a trovare soluzioni pratiche, concrete, vere e cristiane.

Vale per i politici, vale in tutti i campi. Non basta giocare con le parole. Serve essere intellettuali, essere politici, essere economisti. Serve sapere fare analisi, elaborarle e farlo in una ottica cristiana. Ed è questo che manca, purtroppo, al mondo cattolico oggi.

Tutto, in fondo, si riduce ad una ricerca che non porta a niente. Nei giorni immediatamente successivi al discorso per la fiducia di Draghi, Padre Antonio Spadaro, Direttore della Civiltà Cattolica, firmava sul Fatto Quotidiano un editoriale in cui spiegava che “Il Papa di strada non parla da prete”.

Al di là del modo in cui viene descritto il modo comunicativo di Papa Francesco, colpisce dell’articolo l’idea che trovare un nuovo linguaggio stia a significare in qualche modo che ci si debba liberare del linguaggio che ha fornito il nerbo alla vita della Chiesa. E questo con l’idea che “il linguaggio teologico rischia di diventare un prodotto della debolezza del logos occidentale”.

In pratica, la teologia potrebbe causare fraintendimenti, mentre un linguaggio istintivo, basato non sulle parole ma sul gesto (altra immagine dell’articolo di Padre Spadaro) potrebbe non creare fraintendimenti perché più vicino al cuore delle persone. Addirittura, Padre Spadaro arriva a dire che Papa Francesco non fa un discorso, ma frammenti di discorso, come i frammenti di discorso amoroso di Roland Barthes.

Il punto è che Barthes era, a mio avviso, piuttosto spaventato dal linguaggio. Così spaventato dall’idea di fare una cosa compiuta, di raccontare in un romanzo vero, che scrive i  “Frammenti di un discorso amoroso”. Non sa raccontare l’amore, allora lo scompone. Non è nemmeno cubismo. È esercizio di stile.

Paragonare il discorso del Papa a quello dei Frammenti di Barthes potrebbe far pensare, dunque, che il Papa non creda in quello che dice, ma ci gioca. E, in fondo, dirlo tradisce un po’ il dettame evangelico di parlare per “sì, sì, no, no” perché “il resto viene dal maligno”. Dire che non si parli da prete significa, in fondo, dire che si vuole essere fraintesi, in nome di un dialogo in cui l’identità viene persa.

Il problema è che molti cattolici pensano che questo dialogo – o meglio, il dialogo fatto così – sia necessario. Che i principi possano essere messi da parte, e che sono anche inutili. Che i discorsi pragmatici siano gli unici che contano.

È esattamente quello che il mondo vuole che i cattolici pensino. Ed è esattamente il problema alla base del fatto che Draghi possa citare Papa Francesco solo sul dato ecologico, e il mondo cattolico, invece di notare le mancanze del discorso, abbia esaltato quel discorso per una citazione del Papa, ma non abbia considerato le idee che sono alla base della dottrina cattolica.

E torna, così, la profezia del filosofo Gianni Vattimo, consegnata al Corriere della Sera qualche anno fa.

 “Voi cattolici avete resistito impavidi per quasi due secoli all’assedio della modernità. Avete ceduto proprio poco prima che il mondo vi desse ragione. Se tenevate duro ancora per un po’, si sarebbe scoperto che gli ‘aggiornati’, i profeti del futuro postmoderno eravate proprio voi, i conservatori. Peccato. Un consiglio da laico: se proprio volete cambiare ancora, restaurate non riformate. È tornando indietro, verso una tradizione che tutti vi invidiano e che avete gettato via, che sarete più in sintonia con il mondo d’oggi, che uscirete dall’insignificanza in cui siete finiti ‘aggiornandovi’ in ritardo. Con quali risultati poi? Chi avete convertito da quando avete cercato di rincorrerci sulla strada sbagliata?”.

È questo, probabilmente, il grande tema oggi. È questo ciò che dovrebbe scuotere le coscienze dei comunicatori cattolici.

Foto di copertina: il pittore fiammingo Robert Campin nel pannello a sinistra del Trittico di Heinrich von Werl inserisce uno specchio convesso dietro la figura di Giovanni Battista.

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