Giuseppe Verdi: Duetto cor ad cor

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Erano passati vent’otto anni da quando Verdi aveva scritto il duetto d’amore tra Amelia e Riccardo nel Ballo in maschera. Nel mirabile duetto, che chiude il I atto di Otello, il musicista descrive un amore romantico dominato prevalentemente da forte e intima passione umana. In Verdi, ormai settantenne, questa stessa passione d’amore sarà vissuta nell’alveo di un sentimento più misterioso, quasi trasfigurato, nel rispondere al sereno invito a rivivere l’esperienza di un amore passato e mai spento tra la giovane patrizia veneziana e il Moro. Il duetto è incarnazione sonora di personaggi, sentimenti ed eventi; struggente nella sua pura tenerezza, estatico nel suo modulare trasognato, intenso nella sua sobria profondità cromatica, elevato nella sua architettura espressiva di trama musicale quasi inestricabile. Il duetto inizia con l’inno alla notte cantato da Otello sul tessuto suggestivo del suono caldo e profondo dei violoncelli divisi che, dopo il preludio, continuano a creare la mistica atmosfera, sublime alveo di quel canto. Lui e Lei rendono presente il passato rievocandolo con accenti di struggente nostalgia. Desdemona, mentre si abbandona sul cuore del suo “superbo guerrier”, ricorda, con “l’anima rapita” e “l’estasi in cor”, le sofferenze, le speranze, i gesti di pietà e gli abbracci col “dolce mormorare insieme” che fecero germogliare in lei l’intenso amore per lui. Il rivivere quelle memorie, riaccende in Otello l’intima gioia di quei gesti d’amore; gioia che qui si fa più estatica e struggente. “ E tu mi amavi”, canta lui a lei; e lei, con la stessa intensità melodica, gli risponde: “ ed io ti amavo”.

Quest’intima professione d’amore sembra quasi echeggiare quella degli sposi nel Cantico dei Cantici: “ Io sono del mio amato e il mio amato è mio” (Ct 6, 3). E’ la sigla di ogni rapporto cuore a cuore tra gli eterni Lui e Lei. Ritrovare l’amore è come scoprirlo per la prima volta. Siamo concordi con Dostoievskij quando affermava che l’inferno consiste nella tormentata incapacità d’amare. Il duetto d’amore, però, non è privo di ombre e d’inquietudini, in Otello, infatti, si annida il timore che il momento d’estasi, che sta gustando, sia l’ultimo a lui concesso: “Tale è il gaudio dell’anima che temo”; e questo “temo”, ripetuto due volte, è grido di paura, lanciato verso l’alto ed espresso sul fremito degli archi e il degradare degli accordi dei legni. Otello, volendo rendere eterno il gaudio di “quest’attimo divino”, evocando la morte, canta: “Venga la morte! E mi colga nell’estasi di quest’amplesso il momento supremo!” E ancora il Cantico dei Cantici afferma: “ Forte come la morte è l’amore” (Ct 8,6). Anche se la morte è vista come il potente avversario dell’amore, tuttavia Otello implora che questo momento paradisiaco rimanga per sempre sigillato nella morte. Manca la speranza o chiede eternità per il loro amore? Desdemona, intanto, risponde implorando: “Amor non muti col mutar degli anni”. E i due affidano così la loro invocazione alla “celeste schiera” perché risponda con l’Amen dell’esaudimento.

Culmine del notturno d’amore è il bacio che Otello chiede a Desdemona, mentre, al fremito degli archi, l’oboe e il clarinetto ne intonano la melodia su un accordo carico di pathos, estatico e appassionato insieme. La musica armonizza e fonde la tenerezza di Desdemona con la forza di Otello. Nel Cantico dei Cantici, il bacio è l’ouverture della sinfonia d’amore: “Mi baci con i baci della sua bocca” (1,2). Il bacio inebriante, simbolo della trasmissione dello stesso respiro e della medesima vita, è preludio di appassionata tenerezza all’intimità di quell’incontro in cui si consumerà l’amore ed esploderà la vita. Il momento dell’estasi si chiude con gli sguardi che Desdemona e Otello volgono verso l’immensa profondità dei cieli notturni. Fissano Venere, goccia di luminosissimo diamante in siderale cammino, e sul nome Venere, cantato da Otello, Desdemona innesta il nome dell’amato Otello, mentre i violoncelli, in un’autentica magia orchestrale, richiamano il tema iniziale del notturno d’amore.

Purtroppo, il serpente ingannatore si annida sempre nel cuore di Eva, di Giuda, di Jago e di chiunque tenta di distruggere ogni rapporto di sublime amore. Jago, scrisse Verdi a Boito, è “il demonio che muove tutto”. Quanti “Jago”, privi di sapienza e incapaci d’amare, con i loro falsi racconti, continuano a usare la loro perfida intelligenza per distruggere la concordia di chi vive l’intimità d’amore nella sapienza del cuore. Siamo sempre più persuasi che non c’è vita senz’amore. Un fiore che germoglia è prodigio d’amore. Un figlio che nasce non è prodotto di meschine vicende o invidie demoniache ma frutto squisito d’appassionato, fecondo amore.

 

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