Italiani e politica. Contano più i risultati che le parole

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Le parole della politica perdono il legame con le origini: il federalismo? È di destra; l’uguaglianza resiste a sinistra. Sono alcuni dei dati che emergono dall’indagine esplorativa sui sentimenti degli italiani nei confronti della politica, realizzata nel mese di luglio dall’Iref, l’Istituto di ricerca delle Acli, su un campione di 1500 individui rappresentativi della popolazione italiana per sesso, età e ripartizione geografica.

La ricerca è stata effettuata su un campione di 1500 individui rappresentativi della popolazione italiana per sesso, età e ripartizione geografica. Al primo posto negli umori degli italiani c’è la rabbia nei confronti della “casta (32%), seguono lo sconforto (29%) e persino il disgusto (25%). Ma il quadro non è del tutto nero. E’ alta la percentuale di chi nutre ancora speranza nei confronti della politica (30%). Una speranza non accompagnata da altrettanta fiducia (15%), ma che è il segno, secondo le Acli, “di un’aspettativa alta nei confronti di chi oggi governa il Paese”.

Passando dai sentimenti ai comportamenti, il 18% degli intervistati dichiara di non interessarsi di politica, mentre 6 italiani su 10 dichiarano di tenersi informati sulle vicende politiche. E dove si parla di politica? Soprattutto in famiglia (38%) oppure al lavoro (15%). Le parole tradizionali della politica – lavoro, libertà, pace – perdono la loro connotazione originaria. Non sono cioè – per la maggior parte degli italiani – ‘né di destra né di sinistra’. I consueti vocabolari e armamentari retorici appaiono sempre più insufficienti. La parola più marcata ideologicamente è ‘federalismo’, che è ‘di destra’ per il 55% degli italiani. A destra anche la sicurezza (40%), l’identità (32%), la famiglia (31%) e la legalità (29%). Dall’altra parte, uguaglianza (38%), solidarietà (33%) e partecipazione (31%) rimangono le parole che caratterizzano di più la sinistra.

La semplificazione del quadro politico seguita alle ultime elezioni è stata ‘salutare’ per il 40% degli intervistati, mentre per il 30% si è trattato di un impoverimento del pluralismo politico. Un altro dato dell’indagine dell’Iref riguarda la pregiudiziale politica: solo il 17% degli intervistati non voterebbe mai un politico perché “di destra”, il 15% direbbe no se fosse “di sinistra”. 6 italiani su 10 voterebbero indistintamente a destra o sinistra se il politico fosse “capace di risolvere i problemi del Paese” e “onesto”.

Gli stessi contenitori politici tengono sempre meno: il 32% degli intervistati non si sente rappresentato da nessuna tra le definizioni politiche vigenti. Le convinzioni ideologiche non contano ormai nulla per più di un italiano su due (56%), perché contano solamente i risultati ottenuti dai governi. Eppure non è solo al pragmatismo che guardano gli italiani. Tra il post-ideologico e l’antipolitica, la partita dei valori rimane aperta al momento del voto. Gli italiani infatti dichiarano di scegliere in base alle proprie convinzioni personali, ‘i valori in cui credo’, per il 38%. Il 30% valuta il programma politico più efficace e concreto, mentre solo il 10% dichiara di subire il fascino dei leader carismatici e comunicativi. E quali sono questi valori in cui credono gli italiani? Al primo posto la famiglia (81%), quindi il lavoro sicuro (33%), l’amicizia (15%), la fede religiosa (15%), l’autonomia e la libertà individuale (11%). Come si possono leggere questi dati? Nel secondo paragrafo della ricerca, dedicato a “quel che resta delle ideologie”, si sottolinea che “la maggioranza relativa degli italiani si colloca variamente al centro (46,6%), con posizioni decisamente più sfumate”.

Da parte sua, in apertura del 41mo Incontro nazionale di studi dell’associazione, Andrea Olivero, presidente nazionale delle Acli, ha affermato: “Una democrazia senza valori è un’espressione, a ben vedere, intimamente contraddittoria, dal momento che la democrazia che non si esaurisca in procedure formalmente corrette può fare appello ai valori condivisi proprio perché essa stessa è un valore. Del resto, non a caso quella alla democrazia è una delle nostre fedeltà fondative”. E ancora: “Se vogliamo ri-accendere i motori del cambiamento e aprire una nuova stagione di speranza, che ci faccia uscire da questo tempo contrassegnato dalle passioni tristi, dobbiamo avere il coraggio di orientare il nostro impegno verso le relazioni, la cittadinanza e la partecipazione civica… Dobbiamo insomma trasformare la speranza da atteggiamento psicologico in virtù politica. Come cristiani, da virtù teologale a principio trasformativo della realtà”.

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