Vietnam e Santa Sede, verso i pieni rapporti diplomatici?

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Non ci sono stati grandi discorsi, e nemmeno grandi novità. Eppure la visita resa da Nguyen Phu Trong, segretario del Partito Comunista Vietnamita, a Benedetto XVI segnala che c’è tutta la volontà di “normalizzare” i rapporti tra Santa Sede e Vietnam. E questo significa prima di tutto permettere all’inviato speciale della Santa Sede di risiedere nel paese, cosa che per ora non è possibile. E, in seconda battuta, di allacciare piene relazioni diplomatiche bilaterali tra i due Paesi. La visita di Trong è resa ancora più significativa dalle recenti tensioni che ci sono state in Vietnam. Tra le ultime, la distruzione di un convento di carmelitani ad Hanoi e la condanna a pesanti pene detentive per tredici cattolici. Sembra che il Vietnam abbia però volontà di superare questa situazione. Il viaggio a Roma del Segretario del Partito Comunista vietnamita è un segnale importante in tal senso. Il solo fatto che il numero due della delegazione vietnamita – accolta, come da protocollo, dall’arcivescovo Georg Gaenswein, prefetto della Casa Pontificia – fosse il vicepremier del governo vietnamita la dice lunga su dove stia il vero potere politico-decisionale in Vietnam.

Dove c’è tutto l’interesse ad aprirsi al mondo e migliorare i rapporti con la Santa Sede. Il Vietnam ha la seconda comunità cattolica più grande del sudest asiatico dopo le Filippine e conta più di 6 milioni di cattolici su una popolazione di 89 milioni a maggioranza buddista. Nonostante la Costituzione preveda formalmente il rispetto della libertà religiosa, “incidenti” e persecuzioni dei cattolici si verificano frequentemente da parte del regime, che ha preso il potere nel 1976 invadendo il Sud e riunificando il paese.

Il comunicato ufficiale della Santa Sede definisce “cordiali” i colloqui che Trong ha avuto con Benedetto XVI prima e con il segretario di Stato Bertone e il segretario per i Rapporti con gli Stati Mamberti dopo. Sempre il comunicato ci tiene a sottolineare l’ “auspicio che presto possano essere risolte alcune situazioni pendenti e che possa rafforzarsi la proficua collaborazione esistente”.

Una collaborazione che è ripresa nel 2007, quando il Primo Ministro vietnamita Nguye’n Tan Dung fece visita a Benedetto XVI. Un incontro preparato da più di venti visite compiute in Vietnam da delegazione vaticane di vario livello fin dal 1973, che aprì la porta alla ripresa della relazioni tra Vietnam e Santa Sede. I rapporti diplomatici si erano interrotti con la caduta di Saigon, nel 1975, e non erano più ripresi. Si è creato un gruppo congiunto di lavoro Vietnam- Santa Sede, che si è già incontrato tre volte. Questo ha portato, nel 2011, alla possibilità per la Santa Sede di nominare un inviato speciale per il Vietnam. È Leopoldo Girelli, che è anche nuzio apostolico di Singapore (dove risiede) e delegato apostolico in Malesia e Brunei. Girelli ha potuto visitare tutte e 26 le diocesi del Vietnam, mentre già dal 2008 la Santa Sede – dopo decenni di difficoltà e di veti – aveva potuto nominare sette vescovi in Vietnam, e questi avevano potuto ordinare centinaia di sacerdoti.

Ora tutti sono in attesa del passaggio successivo, ovvero la nomina di un rappresentante della Santa Sede residente ad Hanoi. Il governo vietnamita è particolarmente interessato a questo tipo di soluzione, per portare avanti un dialogo più fluido. Nell’incontro di oggi con Benedetto XVI non c’è stato nessun impegno ufficiale in questa direzione, eppure la sola presenza di Trong basta a far comprendere che è quella l’intenzione.

Ci sono, però, dei nodi critici da affrontare. Come il decreto del governo vietnamita, entrato in vigore lo scorso anno. Un documento nato anche a seguito dell’incontro – nel 2011 – tra una delegazione cinese e alti funzionari del governo vietnamita. In quell’occasione, la vice-presidente de Parlamento Tong Thi Phong ha sottolineato che “il Vietnam prenderà sempre più come modello la politica della Cina in materia di religione”. Entrato in vigore il primo gennaio del 2012, il decreto è formato da cinque capitoli e 46 articoli. Il terzo regola le “organizzazioni religiose” e il quarto le “attività religiose”. Il decreto impone ai religiosi un “programma educativo” sulla storia del Vietnam e la sua legislazione, promosso e tenuto da esponenti dei dicasteri degli Interni, della Giustizia e dell’Istruzione e chiede ai membri del clero di redigere un’apposita domanda nel caso di viaggi all’estero per conferenze e chiedere il “permesso” delle autorità nel caso di trasferimenti in una zona diversa del Paese.

Un documento che di primo acchito ha destato la preoccupazione delle comunità religiose vietnamite. Ma il decreto è fatto – a detta di tutti – di formule vaghe e ambigue. Tanto che dall’episcopato vietnamita sembra sia arrivato un giudizio non del tutto negativo sul decreto, che sarebbe  solo in apparenza restrittivo, ma nasconderebbe dietro la sua vaghezza e ambiguità la volontà di aprire ad una maggiore libertà religiosa.

Così, la diplomazia di Hanoi si mantiene in equilibrio: da un lato, il rapporto con la superpotenza cinese, necessario anche per evitare un conflitto regionale (ci sono da allentare le tensioni nel mar Cinese meridionale, in particolare nelle acque antistanti le isole Spratly e Paracel – zona strategica sia per le tratte marittime, sia per i giacimenti di gas naturale e petrolio – al centro di una disputa che vede coinvolti Vietnam, Filippine, Cina, Taiwan, Malaysia e Brunei); dall’altra la volontà di arrivare finalmente ai pieni rapporti diplomatici con la Santa Sede.

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