Numeri ufficiali Covid-19 del 5 febbraio 2021. Restare a casa il più possibile. Siamo in guerra: decessi e mancate nascite un vero abisso. La lezione del dodo

Si conferma “la necessità di mantenere la drastica riduzione delle interazioni fisiche tra le persone” e di “restare a casa il più possibile”. È fondamentale poi che “la popolazione eviti tutte le occasioni di contatto con persone al di fuori del proprio nucleo abitativo che non siano strettamente necessarie”. Lo si legge nella bozza di monitoraggio settimanale Istituto Superiore della Sanità-Ministero della Salute.
“Sappiamo che noi italiani abbiamo un rapporto spesso ‘rilassato’ con le regole. In parte è il segreto della nostra creatività, nasce anche da qui il famoso pensiero laterale. Luca Angelini spiega nel articolo che segue in fondo [*] però, a partire da una ricerca fatta su 50 Paesi, che in tempo di epidemia non seguire le regole costa molti morti in più e che dovremmo imparare a variare i nostri atteggiamenti al variare delle condizioni” (Elena Tebano, editorialista – Il Punto | la newsletter del Corriere della Sera, 5 febbraio 2021). Per non fare la fine del dodo [*] [foto di copertina]…
Ringraziando i nostri lettori e sostenitori, ricordiamo che è possibile inviare comunicazione presso l’indirizzo di posta elettronica del “Blog dell’Editore”: QUI.
I dati Covid-19 ufficiali del Ministero della salute di oggi venerdì 5 febbraio 2021
Ricoverati con sintomi: 19.575 (-168) (-0,85%)
In terapia intensiva: 2.142 (-9) (-0,42%) [con 132 nuovi ingressi del giorno] [*]
Deceduti: 90.618 (+377) (+0,42%)
Vaccinati [**] e percentuale sulla popolazione (aggiornato al 5 febbraio 2021 Ore 14:30): 987.995 (1,64%)
[*] Dato molto importante, perché permette di verificare al di là del saldo quante persone sono effettivamente entrate in terapia intensiva nelle ultime 24 ore oggetto della comunicazione.
[**] Persone che hanno completato la vaccinazione (prima e seconda dose). Vaccinazione in tempo reale: QUI https://lab24.ilsole24ore.com/numeri-vaccini-italia-mondo/.
Il sistema “Tutor” per verificare il “trend” dell’epidemia
Media giornaliera dei decessi: 259 (+1)

Tabella con i decessi al giorno, il totale dei decessi e la media giornaliera dei decessi [A cura dello Staff del “Blog dell’Editore”]: QUI.
Il punto della situazione a cura di Lab24
Proseguono i segnali di criticità sulla fase attuale dell’epidemia. La scarsa attendibilità dei dati che la fotografano, di cui abbiamo parlato più volte, viene da qualche tempo accentuata dal numero crescente dei test rapidi: che insistono su una tipologia di popolazione diversa (soprattutto soggetti sottoposti a screening periodico) rispetto a quella dei tamponi molecolari (popolazione generale). La prima e più importante ricaduta rischia di essere una sottostima dei nuovi casi individuati, replicando la situazione vissuta lo scorso dicembre: quando una fase di ripresa dell’epidemia, poi controllata grazie alla zona rossa nazionale di fine anno, era stata mascherata a causa del basso numero di test che certificavano invece un arretramento del contagio.
La realtà era emersa dai numeri delle terapie intensive, in particolare dei nuovi ingressi giornalieri, che descrivevano una situazione opposta. Ed è proprio a questo parametro che dobbiamo guardare, più che al numero totale dei ricoverati in area critica: che risente ovviamente, al ribasso, dei decessi quotidiani che restano tutt’ora vicini ai 400 di media giornaliera. Ricordiamo inoltre che il numero dei ricoverati in area medica è meno significativo: questo perché il ricovero in area critica non ha alternative possibili, mentre quello nei reparti di Medicina generale nei casi più trattabili può essere sostituito da un’assistenza in ambito domestico.
Torniamo dunque alle terapie intensive e ai dati dell’ultima settimana epidemiologica (30 gennaio – 5 febbraio) che si chiude proprio oggi (domani vedremo i numeri complessivi più in dettaglio). I nuovi ingressi giornalieri in area critica sono stati 944, contro i 971 della settimana precedente (-2,78%). Nella Regione più colpita, la Lombardia, i nuovi ingressi dell’ultima settimana sono stati 137, contro i 133 della settimana precedente (+3,0%). Questi valori riflettono in larga parte i contagi contratti nel periodo epidemiologico16-22 gennaio: quando i dati ufficiali avevano invece registrato una forte flessione dei nuovi casi: -22,01% a livello nazionale, -22,72% in Lombardia.
Sulla base di quei dati sono stati decisi gli allentamenti, con l’80% della popolazione italiana in zona gialla. L’attuale andamento dei nuovi ingressi in area critica racconta una storia diversa, e alza il livello di attenzione verso una possibile ripresa dell’epidemia: forse iniziata, in modo silente, proprio a partire da quando sono state rimosse le più stringenti misure di mitigazione. Questo tema avrà un peso centrale nella prossima analisi settimanale (Fonte Il Sole 24 Ore).
Regno Unito, moltissimi bimbi ricoverati in ospedale con una rara malattia post-Covid
Si chiama “Paediatric Inflammatory Multi-System Syndrome” (PIMS) ed è una nuova malattia che sta colpendo, nel Regno Unito, soprattutto i bambini. Sindrome post-virale che un bambino su 5.000 può contrarre circa un mese dopo aver avuto il Covid-19, comporta eruzioni cutanee, una temperatura corporea fino a 40 °C, pressione sanguigna molto bassa, problemi addominali. Due bambini sembrano essere morti a causa di questo nuovo morbo (Fonte SkyTG24).

Vincenzo De Luca: “In Campania forte ripresa dei contagi”
“Stiamo assistendo ad una ripresa forte dei contagi, da una settimana viaggiamo con un tasso di positivi estremamente pesante, sui 1.500 nuovi positivi con un tasso del 10% di contagio”. Così il Governatore della Regione Campania, Vincenzo De Luca, in diretta Facebook. “Dopo settimane di zona gialla, siccome nessuno ha messo in atto controlli indispensabili, stiamo registrando una ripresa grave di contagi”, ha aggiunto De Luca individuando i due principali canali: movida e scuola. “Dobbiamo dire con chiarezza al Governo che è arrivato il momento di prendere decisioni nazionali adeguate al contagio”, ha sottolineato (Fonte SkyTG24).

Siamo in guerra
Lo diciamo da tempo, siamo in guerra e le conseguenze di questa guerra peseranno sul futuro. Oltre alle fra poco 100.000 decessi, le mancate nascite sono un vero abisso indecifrabile e un incalcolabile danno umano di cui nessuno parla.
Il Presidente dell’Istituto Nazionale di Statistica, Giancarlo Blangiardo, in “Primi riscontri e riflessioni sul bilancio demografico del 2020” conferma le anticipazioni determinate dal Covid-19 e dei suoi effetti, diretti e indiretti: impennata dei morti, crollo delle nascite, dimezzamento del numero dei matrimoni. I dati sui primi 10 mesi del 2020.
Previsti 726.000 morti (più 80.000 circa). Negli ultimi cent’anni si era andati oltre circa un secolo fa (1920) e nel pieno dell’ultimo conflitto mondiale (1942-1944). “Un risultato che, nella storia del nostro Paese – scrive Blangiardo – si era visto unicamente nel 1918, allorché l’epidemia di spagnola, contribuì a determinare circa metà degli 1,3 milioni dei decessi registrati in quel catastrofico anno”.
Previsti meno di 400.0000 nascite (meno 300.000 circa). Non si era mai andati peggio negli oltre 150 anni di unità nazionale. E prosegue la pressione per l’aborto, contro le voce pro vita, contro l’obiezione di coscienza dei medici.
Previsti 85.000 matrimoni (meno 50% circa). “Il calo della nuzialità appare, oltre che intenso – annota ancora Blangiardo – anche assai generalizzato così che, stante la persistente diffusione delle nascite provenienti da coppie coniugate (pari a 2/3 del totale secondo i dati del 2019), sembra legittimo aspettarsi, pressoché ovunque, un fattore aggiuntivo negli scenari di ulteriore caduta della natalità che potrebbero caratterizzare l’immediato futuro”. Nel 47,8% dei casi, i nuovi nati sono anche primogeniti, frutto di una scelta di genitorialità maturata entro un rapporto di coppia stabile. E, considerando che al matrimonio si arriva sempre più tardi, non è troppo difficile ipotizzare che nella maggior parte di quelle famiglie non ci saranno altre nascite. Una previsione che getta un’ombra sulla possibilità di rivedere la primavera dopo l’ormai lunghissimo inverno demografico che stiamo attraversando.
Per i matrimoni religiosi (solo il 30% circa del totale) è peggio: un calo del 70% circa.
Tutto questo vorrà pur dire qualcosa. Faremo la fine del dodo [*]?
LIVELLI DA GUERRA E INFLUENZA SPAGNOLA
METÀ ITALIANI NEL 2100
Culle vuote nove mesi dopo il lockdown: -21,6% di nascite a dicembre. “È la paura per il futuro”
di Matteo Gamba
Le Iene, 5 febbraio 2021
Dai primi dati dall’Istat emerge oggi, per un conto fisiologico delle mensilità, il drastico “rinvio dei concepimenti” per paura e incertezze sul futuro. In un anno nero che vede tristi record, mai toccati dall’unità d’Italia o solo con guerra o influenza spagnola. Tra questi: oltre 700mila decessi nel 2020 e saldo tra nascite e morti a meno 300 mila. Tutto questo in un paese che secondo uno studio recente vedrà già nel prossimo secolo la popolazione dimezzata da 60 milioni a 30.
“È verosimile immaginare che in questi primi nove mesi del 2020, così come accadde per la caduta delle nascite al tempo della grande paura per l’esplosione nucleare di Chernobyl del 1986, ci siano stati frequenti rinvii nelle scelte riproduttive”, spiega oggi il presidente dell’Istat Gian Carlo Blangiardo nella pubblicazione “Primi riscontri e riflessioni sul bilancio demografico del 2020”, che si basa appunto sui primi dati di quest’anno in attesa di quelli definitivi.
A fine anno si sono iniziati a vedere, per un conto fisiologico delle mensilità, gli effetti di questo minor numero di concepimenti. Nei primi mesi nelle 15 città prese in considerazione le nascite erano diminuite del 5,21%. Da novembre con la fine delle gravidanze di marzo si era arrivati al -8,21%. La tendenza si è confermata e molto ampliata a dicembre con un picco del -21,6%. Si prevedono tassi analoghi in forte calo anche per il 2021, almeno nei primi sei mesi, e questa tendenza riguarderà tutta l’Europa secondo un altro studio.
Contribuiscono altri due fattori: l’arrivo del 17% in meno di migranti, che di solito hanno tassi di natalità più alti, e il crollo dei matrimoni, dimezzati. Sono stati 85mila nei primi dieci mesi del 2020 contro i 170mila dello stesso periodo del 2019 e in Italia due figli su tre nascono in coppie sposate. Le nozze sono diminuite per problemi di organizzazione con le restrizioni anti-contagio e ancora una volta per le incertezze sul futuro, con forti preoccupazioni anche strettamente economiche.
In 150 anni di unità d’Italia non siamo mai scesi sotto le 400mila nascite l’anno, potrebbe succedere con i dati definitivi 2020. Le 420mila del 2019 erano già il minimo storico. A questo va ad aggiungersi l’aumento drammatico dei decessi con il coronavirus. Nel 2020 hanno superato i 700mila: nella nostra storia questa soglia era stata superata solo con l’influenza spagnola del 1920 e durante la Seconda guerra mondiale.
I 726mila morti annui previsti equivalgono a 1990 al giorno, 223 in più rispetto alla media degli ultimi cinque anni, un numero quasi sovrapponibile ai circa 250 morti al giorno per Covid registrati tra il 20 febbraio e il 31 dicembre. L’anno si chiude così con un saldo demografico negativo tra nascite e morti di oltre 300mila persone. Un livello toccato in questo caso solo durante l’epidemia di influenza spagnola di un secolo fa, in un anno terribile che contò allora un milione e 300mila morti.
Se il 2020 si configura come un anno nero, le previsioni su un drastico crollo della popolazione in Italia erano già consolidate. Nel 2100 gli italiani saranno 30 milioni invece degli attuali 60 per un calo progressivo della natalità che riguarderà un po’ tutto il mondo dopo decenni di tendenza alla sovrappopolazione.
A sostenerlo è lo studio più significativo e recente sul tema realizzato da un team internazionale sulla base di un modello statistico elaborato dalla University of Washington e pubblicato su The Lancet. Ve ne abbiamo appena parlato nell’articolo che potete leggere cliccando qui. Qui sotto ritrovate riassunti in grafica i dati principali delle previsioni mondiali e europee.
La ricerca prevede nel mondo un picco di 9,7 miliardi persone nel 2064 dagli attuali 7,8, per iniziare poi una discesa a 8,8 nel 2100 (due miliardi in meno delle proiezioni Onu a 10,9 per quell’anno). Molti paesi occidentali, ma anche l’India e la Cina, dimezzata a 700 milioni, vedranno cali più o meno grandi, che coinvolgeranno 183 nazioni su 195. Solo gran parte dell’Africa e del Medio Oriente continueranno a crescere, e molto, fino a veder triplicare la popolazione.
Abbiamo parlato di queste tendenze con Antonio Golini, ex presidente dell’Istat, luminare della demografia e autore del recente libro-intervista “Italiani poca gente” con il giornalista del Tg1 Marco Valerio Lo Prete e con prefazione di Piero Angela. Proprio parlando con il maestro del giornalismo scientifico Piero Angela avevamo affrontato questo tema, assieme ai problemi nella partenza dell’assegno unico per le famiglie (poi varato, da luglio 2021 e non da gennaio, con meno fondi e ancora “a rischio” nella sua applicazione per la crisi di governo), anche nel servizio di Filippo Roma e Marco Occhipinti del 22 ottobre che potete vedere cliccando qui.
Se in tanti sollecitano misure per contrastare il calo della natalità. Golini è di altro parere. “Lottiamo da decenni contro la sovrappopolazione”, ci ha detto nell’intervista. “Non è detto che sia un male, anche per la lotta alla fame nel mondo e per quella per l’ambiente, se ci troveremo nel 2100 con un calo globale delle nascite e metà abitanti in Italia. Comunque sia, dovremo adattarci per forza perché la tendenza è inarrestabile. Ce la faremo economicamente: ci aiuterà la tecnologia”.
Speriamo. Intanto però le previsioni di quello studio rischiano di dover essere aggiornate in peggio con i nuovi cali demografici dovuti al coronavirus: nel 2100 in Italia saremo allora meno di 30 milioni?
[*] La sindrome del dodo [foto di copertina], o del perché le società poco rispettose delle regole sono più a rischio Covid
di Luca Angelini, editorialista
Il Punto | la newsletter del Corriere della Sera
Venerdì 5 febbraio 2021
Le società meno avvezze a rispettare le regole sono quelle che hanno pagato il più alto tributo di vittime al Covid-19. Può sembrare un’idea intuitiva, se non banale. Ma Michele Gelfand, psicologa culturale dell’Università del Maryland e autrice di Rule Makers, Rule Breakers: How Tight and Loose Cultures Wire the World, con il suo gruppo di lavoro ha preso in esame 50 Paesi per dimostrarlo in modo scientifico (la ricerca è stata appena pubblicata su Lancet Planetary Health).
Gelfand ci tiene a precisare che ci sono pro e contro sia nelle società inclini a seguire molto le regole che in quelle che tendono a seguirle poco (senza entrare nei dettagli della classificazione, tra le prime rientrano, ad esempio, Singapore, il Giappone la Cina, la Corea del Sud e l’Austria; tra le seconde Usa, Regno Unito, Italia, Israele, Brasile e Spagna: nell’articolo su Lancet c’è un grafico con i diversi Paesi). Ma ciò è vero, scrive Gelfand in un intervento sul Guardian, «fino a quando non arriva una pandemia globale. Già a marzo iniziai a preoccuparmi del fatto che le culture “rilassate”, con il loro spirito incline alla rottura delle regole, ci avrebbero messo più tempo a piegarsi alle misure di sanità pubblica, con conseguenze potenzialmente tragiche. Speravo sarebbero diventate più rigorose. Tutti i nostri modelli computerizzati pre Covid suggerivano che l’avrebbero fatto. Ma non è stato così». Dalla ricerca appena pubblicata è, infatti, emerso che, a ottobre 2020, le culture “rilassate” hanno avuto, in media, 5 volte più casi e quasi 9 volte più vittime di quelle “rigide”.
E, nonostante i tragici risultati, chi non rispetta le regole, rivela un sondaggio YouGov in 22 Paesi, continua ad avere meno paura del Covid di chi le osserva: «nelle società “rigide” il 70% della popolazione aveva paura di contrarre il Covid, in quelle “rilassate” solo il 49%». Una spiegazione sta in quella che si potrebbe chiamare la sindrome del dodo, uccello ormai estinto di Mauritius. Le società più rigide nel rispetto delle regole sono, in genere, quelle con una storia di minacce croniche (disastri naturali, malattie infettive, carestie o invasioni) alle spalle. Chi ha dovuto affrontarne di meno, si è invece potuto permettere il lusso del lassismo. Come il dodo che, vissuto per secoli senza predatori, ha «abbassato» le sue difese e, all’arrivo dell’uomo, finì estinto nel giro di cent’anni.
Gli evoluzionisti, spiega Gelfand, lo chiamano evolutionary mismatch: alcuni tratti affinati in un certo ambiente possono diventare punti deboli quando l’ambiente cambia di colpo. Dichiarazioni improvvidamente rassicuranti di vari leader a inizio pandemia, da Donald Trump a Boris Johnson – ma si possono fare molti altri esempi, vicini e lontani, a piacimento – hanno peggiorato la situazione, impedendo che la minaccia venisse percepita in tutta la sua gravità. Ma, spiega Gelfand, trovare le parole e gli argomenti giusti (quella che lo studio chiama una «coordinata, chiara e coerente comunicazione del rischio») per convincere a seguire le regole chi non è abituato a farlo, non è facile. A suo avviso bisogna, per prima cosa, far capire che la minaccia è concreta, anche se un virus, a differenza di un nemico in armi, non si vede. Ma, allo stesso tempo, non bisogna esagerare in catastrofismo, che spesso si traduce in passività e rassegnazione. A questo scopo, è utile far comprendere che i sacrifici, oltre che utili a sconfiggere la minaccia, saranno temporanei. E che più durezza può tradursi in meno durata delle restrizioni.
«Ciò di cui tutte le nazioni hanno bisogno – scrive Gelfand – è di essere culturalmente ambidestre, ossia capaci di adattarsi ad essere “rilassate” o “rigide” a seconda di quanto pericolose sono le condizioni». A occhio e croce, sembra più facile dirlo che farlo. Ma qualcuno, assicura la psicologa americana, c’è riuscito: «I kiwi (soprannome dei neozelandesi, ndr) sono notoriamente “rilassati”, ma hanno preso fin da subito alcune delle misure più restrittive e tenuto a bada il loro spirito allergico alle regole, limitando così il numero di morti per Covid a soli 25». Probabilmente non è stato l’unico fattore decisivo (lo stesso studio consiglia, ad esempio, di approfondire il ruolo delle convinzioni personali dei leader sul Covid e quello della polarizzazione politica). Ma sempre meglio seguire l’esempio dei kiwi che quello del dodo. (Anche se qualcuno sostiene che, con le nuove varianti in arrivo, sulle vaccinazioni anche i neozelandesi dovrebbero darsi una mossa).
Foto di copertina: il dodo, o dronte (Raphus cucullatus Linnaeus, 1758) era un uccello columbiforme della famiglia Columbidae, endemico dell’isola di Mauritius. Era incapace di volare, si nutriva di frutti e nidificava a terra. Si estinse rapidamente nella seconda metà del XVII secolo in seguito all’arrivo sull’isola dei portoghesi e dei neerlandesi.