Una famiglia di pittori Peter Brueghel e i suoi discendenti in mostra al Chiostro del Bramante fino al 2 giugno 2013
Dopo una prima sala all’insegna dei temi teologici e religiosi – rilevanti nella congiuntura storica del primo Protestantesimo, con in evidenza la Maddalena e i Re Magi – la pittura fiamminga, pur non abbandonando temi dottrinari religiosi e politico-sociali (le forze naturali, la pace e la guerra, i santi e la Madonna), si apre alla raffigurazione del quotidiano (nei Brueghel: la vita dei contadini delle Fiandre) e delle manifestazioni della cultura popolare (la danza, la festa, i proverbi, il lavoro dei campi). Una cultura popolare che sarà rivalutata nell’800 dai Romantici tedeschi come portatrice di una forma di vita semplice e finanche rozza, comunque generatrice di una mitopea autentica, e che sarà alla base di tanta letteratura per i fanciulli del Novecento. Il pubblico di oggi si aggira ammirato per le sale del Chiostro: la fame di immagini dipinte è tanta – lo abbiamo spesso sottolineato – come è tanta la soddisfazione di poter osservare da vicino, con calma e concentrazione, protesi verso le tele, un’arte densa di contenuti culturali e morali. Io penso che la povertà di contenuti sia il limite più grande – al di là dell’analfabetismo tecnico – delle arti visive del secondo Novecento. Una miseria dei contenuti, più che delle forme, da cui cerchiamo il riscatto tornando a rivedere la grande figurazione dal Rinascimento al Romanticismo.
Vorrei anche sottolineare la prossemica delle mostre di pittura: il fare gruppo, il cercare spazio per la visione, l’aggirare gli altri visitatori, il ricercare la giusta posizione per le proprie esigenze visive: uno scegliere e selezionare figure e prospettive, un muoversi ed un agire la visione che è tanto lontano dall’immobilità, con il telecomando in mano, sul divano di casa, cui la televisione ci ha abituati. Certamente nella mostra al Chiostro – costruita con un centinaio di dipinti provenienti, per lo più, da Collezioni private e non con le grandi opere che restano blindate nei maggiori musei europei – non si vedono i dipinti più noti e celebrati di Brueghel. Per quelli sarà giusto effettuare del buon turismo culturale per vederli nei loro luoghi geografici e culturali. Nella mostra si vede invece, ben documentata con quadri mai esposti in italia, l’evoluzione tematica della pittura post-rinascimentale fiamminga (avendo già apprezzato l’olandese Vermeer). Dopo essersi impegnati sui temi realistici e fiabeschi, i Brueghel si cimentano con i virtuosismi figurativi della pittura minuziosa e fotografica di fine ‘500 e di prima età barocca.
Oltre i pannelli di marmo e di rame fittamente ricoperti di insetti splendidamente disegnati da Jan van Kassel il Vecchio (anche lui parente dei Brueghel), si apre il grande capitolo dei vasi di fiori e della natura silente o natura morta, come è detta da noi. Le raffigurazioni di fiori hanno, peraltro, un significato mistico e religioso, riferito alla caducità della bellezza e della vita terrena e naturale, che lascia un senso di inquietudine e di sottile melanconia – più del tetro memento mori controriformistico – nell’animo di chi guarda le tante chiome colorate, i petali, gli steli e qualche farfalla o coccinella tra le foglie dei gambi recisi. Non mancano i riferimenti espliciti alla Bibbia, ai Vangeli, o ai Padri della Chiesa, ma sono posti all’interno delle forme della vita sociale del tempo: in paesaggi e scenari di fiumi, di porti e di campagne che tolgono la vicenda sacra dall’astrazione metafisica e dall’enfasi retorica per collocarla nel presente storico. Una mostra interessante e brillante quella dei Brueghel, con tante opere poco conosciute ed in cui – come accade solo nelle esposizioni ben impaginate e curate – i contenuti estetici e artistici si bilanciano piacevolmente con gli intenti didascalici e storici.