La Chiesa sia coraggiosa nel difendere il bene integrale dell’uomo

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Difesa dei diritti umani, libertà religiosa, obiezione di coscienza. Nel consueto discorso di inizio anno agli ambasciatori accreditati presso la Santa Sede, Benedetto XVI incentra tutto su questi tre pilastri su cui si è da sempre strutturata la diplomazia internazionale della Santa Sede. Una diplomazia la cui agenda è il bene comune, costantemente in dialogo con le autorità. Un dialogo – spiega il Papa – “che ha a cuore il bene integrale, spirituale e materiale di ogni uomo, e mira a promuoverne la dignità trascendente”.

 

Da questi tre pilastri, scaturiscono tutti gli sforzi diplomatici della Santa Sede. Non c’è un’agenda sociale ed una agenda della vita, non c’è il Vangelo e la diplomazia, come se la diplomazia della Santa Sede  potesse essere qualcosa di separato dalla verità evangelica. C’è una diplomazia che scaturisce direttamente dal Vangelo, dall’insegnamento di Gesù Cristo. Scriveva il filosofo cristiano
Emmanuel Mounier: “Quando Cristo ha detto: ‘Il mio regno non è di questo mondo’, non ci ha detto che noi non siamo di questo mondo, ma che il suo messaggio non era direttamente destinato alla felice sistemazione di questo mondo. A questa sistemazione noi vogliamo lavorare affrontando direttamente le difficoltà dell’ora, e non avvilire la trascendenza cristiana con sistemazioni zoppicanti, ridicole davanti al mondo e ridicole davanti a Dio”.

Queste parole erano contenute in un libretto che Mounier intitolava – ed era il 1946 – “Agonia del cristianesimo?”. Oggi, il punto interrogativo di quel titolo sembra essere diventato un punto esclamativo. Ma non riguarda solo il cristianesimo. Riguarda tutte le religioni. “La pace sociale – dice Benedetto XVI agli ambasciatori – è messa in pericolo anche da alcuni attentati alla libertà religiosa: talvolta si tratta di marginalizzazioni della religione nella vita sociale, in altri casi di intolleranza, o persino di violenza nei confronti di persone, di simboli identitari e di istituzioni
religiose”.

Ma l’agonia della religione non è data solo dal fatto che ogni pensiero religioso è stato in qualche modo colpito a morte. È dato anche dal fatto che sempre più la società ha messo da parte Dio. “E’ proprio l’oblio di Dio, e non la sua glorificazione, a generare la violenza – dice Benedetto XVI – Infatti quando si cessa di riferirsi ad una verità oggettiva e trascendente, come si può realizzare un autentico dialogo?”

E’ stato questo il cuore del primo messaggio per la Giornata Mondiale per la Pace da Benedetto XVI, Nella verità la pace. Da notare che negli ultimi anni i temi del Messaggio sono diventati sempre più ampi, quasi a voler indicare una “onnicomprensività” dei problemi – ma creando forse anche un impatto comunicativo minore. Il Papa cita gli ultimi due, Beati gli operatori di Pace (2013) e Educare i giovani alla giustizia e alla pace (2012) e li indirizza direttamente alle istituzioni. Ci servono istituzioni che operino per la pace, ci servono istituzioni che promuovano una educazione alla giustizia e alla pace.

Nella panoramica mondiale di Benedetto XVI, si comincia dai conflitti  in Siria e Iraq e nelle varie nazioni africane, si passa alla richiesta di una soluzione diplomatica nella contesa israelo-palestinese e all’esempio del Libano come paese in cui la pluralità delle tradizioni religiose è una risorsa per il Paese e si arriva a parlare del fatto che “in diversi Paesi, anche di tradizione cristiana, si è lavorato per introdurre o ampliare legislazioni che depenalizzano o liberalizzano l’aborto”. Il caso recente delle Filippine è quello più emblematico e fresco, ma l’ultimo rapporto sulla Dottrina Sociale nel mondo segnala il caso dell’Argentina, con quattro modifiche di legge conseguenti che hanno portato ideologicamente ad una “ricostruzione” del concetto stesso di essere umano.

I pilastri diplomatici della Santa Sede sono diritti umani, libertà religiosa e obiezione di coscienza perché da questi temi scaturiscono a cascata tutte le problematiche affrontate. Particolarmente, il diritto all’obiezione di coscienza è continuamente sotto attacco, tanto che Benedetto XVI non perde occasione di sottolinearlo. Questi tre pilastri riguardano direttamente l’essere umano. Un essere umano che deve essere libero di professare e vivere la propria religione, libero di non sottostare alle coercizioni di leggi Statali quando queste mettono in discussione le sue credenze e la sua umanità,
e considerato nella sua integralità, come persona umana. Una persona che non si esaurisce nel soggetto individuale, ma è trascendente, possiede un valore che eccede l’esperienza dell’esistenza.

L’allarme sui “nuovi diritti” che alienavano la persona umana era già contenuto nell’enciclica Immortale Dei di Leone XIII, il Papa che in qualche modo ha dato inizio alla Dottrina Sociale della Chiesa. Una Dottrina Sociale che per molti inizia con l’enciclica Rerum Novarum. In realtà, c’è tutto un corpus di encicliche “sociali” leoniane, cui l’Immortale Dei da un quadro teologicamente fondato, presentando il modello di una società cristiana e l’anti-modello del “diritto nuovo” per cui le esigenze della legge di Dio vengono rifiutate. È questo anti-modello che si sta affermando in sede internazionale, inserendo – per esempio – in maniera strisciante il diritto all’aborto nelle risoluzioni ONU, in modo che tutte le legislazioni nazionali debbano adeguarsi ad accettarlo nel proprio ordinamento. Per questo, il Papa sottolinea che “soprattutto nell’Occidente, vi sono umerosi equivoci  sul significato dei diritti umani e dei doveri ad essi correlati”.

Ma forse il problema è ancora più profondo.  E si collega con l’omelia che Benedetto XVI ha tenuto nel giorno dell’Epifania, Messa in cui – ormai per tradizione – il Papa ordina dei vescovi. Quale sarà la loro agenda? “L’umiltà della fede, del credere insieme con la fede della Chiesa di tutti i tempi, si troverà ripetutamente in conflitto con l’intelligenza dominante di coloro che si attengono a ciò che apparentemente è sicuro. Chi vive e annuncia la fede della Chiesa, in molti punti non è conforme alle opinioni dominanti proprio anche nel nostro tempo”. Quindi, il vescovo deve avere “il coraggio di contraddire gli orientamenti dominanti”. Ed è il coraggio che è richiesto agli operatori di pace e a quanti si impegnano nella difesa dei diritti umani. È il coraggio che deve avere la Chiesa.

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