Unioni di fatto. Fatto sta che finora…

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Poche parole a volte possono bastare. Anche perché è assai poco saggio strapparsi le vesti prima ancora di aver capito se sia lecito e giusto farlo. A breve, i ministri Gianfranco Rotondi e Renato Brunetta presenteranno una proposta di legge sulle coppie di fatto. Un’iniziativa personale, non una proposta di governo, per regolare “un fenomeno che non è marginale”, ha spiegato Rotondi. Anticipate le linee generali, che sembrano mettere al centro soltanto i diritti individuali e non quelli della coppia: l’assistenza in caso di malattia, la successione, i diritti relativi all’alloggio, ma non la reversibilità della pensione.

Dopo le polemiche sui Dico, ci sarà tempo per discutere sulla nuova proposta, man mano che il testo prenderà forma. Sta di fatto che in questi giorni, come si poteva immaginare facilmente, lo sport più praticato è quello di prendere posizione, assestarsi su un crinale e giocare di sponda con l’avversario di turno: come i soldati che scavano le trincee per prepararsi all’affondo o reggere a quello del nemico.

Adoperare ad uso proprio espressioni altrui risulta talvolta poco elegante, soprattutto quando se ne ricava l’impressione di “usare” – piuttosto che “omaggiare” – l’autore citato. Eppure le parole spese a suo tempo da un insigne giurista (nonché cardinale di Santa Romana Chiesa) restano di una chiarezza disarmante riguardo agli scopi e agli intenti: “Le unioni di fatto sono un fatto e dai fatti nascono diritti e doveri reciproci. Perciò è giusto e doveroso che lo Stato li regoli: ignorarli non mi sembra opportuno né concepibile secondo diritto. Ma la regolamentazione non deve creare equivoci, fare assomigliare le unioni di fatto ai matrimoni o essere un primo passo per un’equiparazione” (card. Mario Francesco Pompedda, già prefetto della Signatura apostolica).

Fra quelle righe ci trovate tutto: l’unione che si configura come “fatto”, il “fatto” di doverci avere a che fare in quanto realtà sociale, i diritti e i doveri che ne derivano (oh si, anche i doveri, questi sconosciuti…), la regolamentazione statale e la peculiarità del matrimonio, che altra cosa è e altra cosa deve rimanere. Chiare le premesse, più facili i punti di incontro e le conclusioni. Assenti – o antitetiche – le premesse, inevitabile un clima di scontro che non porterà frutti. A giudicar la situazione, allo stato attuale non c’è motivo di strapparsi le vesti. E a ben vedere, sarà bene non strapparsele neppure dopo, ma semplicemente ragionare, proporre, dialogare, incalzare e mettere in evidenza ogni punto debole delle proprie e delle altrui posizioni. Non dovrebbe essere difficile a chi crede ancora alla forza delle proprie idee.

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