“Nel Concilio Vaticano II Tradizione e rinnovamento si sono abbracciati” (Parte II) Intervista a monsignor Agostino Marchetto

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Lei ha definito il Concilio il suo “secondo amore storico”. Quanta fatica le costano questi studi, che peraltro ha condotto anche durante il suo ministero in giro per il mondo?

Sono stato medievista fino al 1990, poi il mio professore, monsignor Maccarrone, m’invitò a indagare l’età contemporanea, perché è un’età importantissima, in cui si gioca il presente, frutto di 2000 anni di storia, e il futuro. Il binomio fondamentale delle mie ricerche è episcopato e primato pontificio, e la storia è stata un aiuto per la mia missione. Ricordo l’esame di storia che mi fece Giovanni Paolo II quando mi ha mandato in Bielorussia, prima di partire… A volte però mancava il tempo, perché bisogna avere a cuore la pastorale. Ho fatto 20 anni d’Africa e sono stato anch’io vescovo africano: andavo in giro, amministravo i sacramenti, predicavo la parola di Dio, visitavo le comunità come gli altri vescovi. E poi, quale nunzio, dovevo curare l’aspetto diplomatico, come strumento al servizio della pace, della comprensione, della libertà di coscienza, di religione. La permanenza in Africa spiega il genere letterario del mio essere storico. Come si vede dai miei libri, sono note, recensioni anche abbastanza ponderose: un genere non minore, diceva il cardinale Bea che se ne intendeva, perché non c’è vera recensione se non aiuta il procedere della ricerca scientifica. Era anche un po’ un rifugio. Dunque non solo fatica, ma anche una gioia e la possibilità di avere uno spiraglio sull’universale pure quando si è immersi in una località che a volte è di guerra, contrasto, tribalismo, fame, malattie.

Parlando del Concilio, lei non usa il termine evento…

Se con “evento” s’intende grande avvenimento, non ho difficoltà. Io ho sempre scritto Magno Concilio Vaticano, e la mia ammirazione, che è anche frutto di fede, è proprio per questa realtà che noi abbiamo: questo filo rosso che si trova nella storia della Chiesa, e sono i Concili ecumenici e l’altro grande filo rosso che è il primato del vescovo di Roma. Ma quando i teologi parlano in contesto storico, “evento” significa un’altra cosa, che non è più nella linea della teologia. Dopo il prevalere nella storiografia civile della storia del lungo periodo, a partire dal 1950 nasce l’histoire événementielle… Perché ci sia un evento, ci vuole la ripercussione mediatica, che facilita l’esplosione e l’accettazione di questo tipo di storia. Ma caratteristica dell’evento è la rottura. Se gli storici della Chiesa assumono questa parola, è già un’interpretazione nel senso della rottura, o della rivoluzione.

Quanta attenzione è oggi prestata allo spirito del Concilio e quanta al corpo (i documenti)?

Dico sempre che lo spirito, che è l’anima, è l’anima di questo corpo, e il corpo è corpo di quest’anima. Anche il Papa ha ripetuto che non ci può essere una contraddizione tra spirito e corpo conciliare e lo spirito si ricava da questo corpo conciliare. Molto si è puntato su questo, al fine di introdurre ciò che si voleva, cioè quello che l’autore pensava dovesse essere lo spirito del Concilio, limitando la sua interpretazione. È l’aspetto ideologico dell’interpretazione…

Quanto sono univoci i diari dei vari Padri conciliari? Quanto attendibili?

Univoci no, attendibili in quanto diari. Evidentemente ciascun Padre reagisce e scrive a caldo, e talvolta il giorno dopo corregge se stesso o chiede perdono, come ad esempio fece il cardinale Siri, e questa per me è anche la grandezza di un uomo. Facendo i confronti con gli Acta Sinodalia, che sono gli atti ufficiali, ci si rende poi conto che chi scriveva il diario non sapeva diverse cose. Molti riportavano le voci, e ci sono tanti giudizi anche affrettati o parziali. Per cui il confronto tra i diari privati è fondamentale e tra di essi c’è una graduatoria. Perché un autore sceglie alcuni diari sui quali basare i suoi studi, e non altri? Questo filtro che ciascuno attua rivela chi usa il filtro. Le fonti devono avere una loro gerarchia: prima vanno quelle ufficiali – negli Atti sono contenuti tutti gli interventi, orali e scritti ma, con qualche eccezione, non sono pubblicati i lavori interni delle varie commissioni – e poi le varie fonti private.

Che ci fa allora lo storico con questi diari?

Prima deve cercare di interpretarli. Leggerli è già una grande difficoltà. Anche ascoltando le registrazioni in latino, diventa molto difficile avere il testo. E poi c’è da predisporre l’apparato critico, metterli nell’arena degli studi, consultare le varie fonti. In fondo, cosa facciamo noi con i giornali? Io, almeno, cerco di leggere le varie tendenze per farmi un giudizio. Ma se posso andare all’origine, alla fonte dei vari fatti, forse sono fortunato. E siamo fortunati ad avere 62 grossi volumi, scritti in latino, anche se questo è un guaio per moltissima gente…

Quali sono, secondo lei, i testi davvero di riferimento per chi volesse conoscere meglio il Concilio?

Escludo gli ultimi libri pubblicati, la cui lettura non ho ancora completato. Per chi volesse introdursi al Vaticano II, il volume di Zambarbieri (“I concili del Vaticano”) potrebbe ancora fare al caso. Nei miei libri, comunque, emerge dalla critica quali sono quelli che considero maggiormente e quelli che considero meno, perché i giudizi non sono tutti uguali. In genere, poi, indico gli aspetti positivi e anche le critiche.

Qual è stata l’importanza del Concilio per la Chiesa e per il mondo?

Il Concilio è una “icona” della Chiesa. La grande questione è che la Chiesa ha compiuto un certo passo, ma l’altra parte ha deluso nella risposta. E cioè: io credo che la Chiesa si sia messa nella disposizione di dialogo con il mondo contemporaneo, abbia fatto una sua conversione, ma direi che non si è incontrata l’altra parte, è svanita, sia per la questione filosofica, sia per quella materialistica, l’individualismo, le rotture, le violenze, per cui la questione dell’evangelizzazione si ripropone. Qual era la finalità del Concilio? Presentare la buona notizia da parte di una Chiesa che cercava di essere meno sfigurata rispetto a quello che era il pensiero del Signore. Per fortuna la Chiesa è universale, e questo ci conforta, ma il secolarismo è un grande fenomeno. Il pensiero di Dio scompare e anche noi siamo inseriti nel mondo di oggi e abbiamo i nostri problemi.

È questo il futuro del Concilio?

V’era chi proponeva di fare un Terzo Concilio per superare le “incongruenze” del Secondo… Illusione! Finché la Chiesa è cattolica, dovrà considerare l’aspetto Tradizione, che si evolve, omogeneamente, ma non la si può mica annullare, altrimenti non sei più cattolico. E nella Tradizione ci sono temi ostici per l’uomo contemporaneo…

Alla presentazione del suo volume ai Musei Capitolini, il cardinale Farina l’ha definita uno “storico di razza”, auspicando che ci doni “un’opera sistematica, completa ed esaustiva” della storia del Concilio Vaticano II. Ha in mente dei progetti per nuove fatiche editoriali?

L’anno prossimo dovrebbe uscire, in occasione dei miei 70 anni, il libro “Episcopato e primato pontificio”, che potrà essere utile per il dialogo ecumenico. Quanto al Concilio, ho il desiderio, ma ho 72 anni e un’opera così vasta non è facile per uno solo. Ho insegnato quand’ero in Mozambico, ma non ho avuto una cattedra e quindi non ho un’equipe, vediamo! Intanto leggo molto, ed è fondamentale. Adesso, con tutti i libri sul Concilio che vengono pubblicati, è difficile stargli dietro, ma devo farlo, questo è il compito. L’Anno della fede è stato occasione per molti di rimettere mano all’aratro. A volte c’è anche un’inflazione, ma è normale e attesta un interesse che rimane, perché è un grande avvenimento e la Chiesa ha dimostrato di voler riprendere un dialogo di salvezza con l’uomo contemporaneo.

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