E’ qui Gesù, il mio tormento
“Senza neppure chiedersi il perché, la gente si smarrisce in quella strana atmosfera di allegrezza, di riposo, di poesia, di bontà e, data l’abitudine, trova tutto molto naturale […]. Come è possibile che esista un giorno così differente dagli altri 364 giorni dell’anno? Come si spiega che per l’occasione l’umanità si comporti esattamente al contrario del solito? […] Se in questo giorno gli uomini ci trovano tanta gioia a essere buoni, se si sentono così in pace con se stesi, perché non ci danno dentro, perché non perseverano, perché non si abbandonano definitivamente dopo averne provate le delizie, alle tentazioni del bene?”. E’ un’interessante provocazione fuoriuscita, 58 anni fa, dalla penna di uno tra i più grandi maestri del giornalismo italiano, Dino Buzzati, a proposito del Natale. Alle domande di Buzzati – che possiamo fare nostre ancora oggi – c’è chi risponde col tono sarcastico di chi crede di poter spiegare tutto, definendo il Natale una semplice e pia usanza folcloristica, carica di luci colorate, musiche natalizie e regali, capace di generare nella nostra realtà una semplice atmosfera bonaria e consolatoria, dove per un istante (giusto il tempo di 24/48 ore) l’uomo libera i propri sentimenti diventando improvvisamente buono.
I tratti distintivi del Natale cristiano dicono però altro, descrivono Dio stesso, “in Persona”, e non in modo generico o illusorio, ma nella carne! Cristo entra, infatti, nella storia dell’uomo e la attraversa fino a saggiarne le ribellioni e le infedeltà, perché il dono della salvezza – pagata a caro prezzo! – si realizzi concretamente attraverso l’opportunità di un incontro reale e personale con Dio. “Ormai questo mondo e la sua sorte – scriveva il teologo Karl Rahner – sono realtà che gli appartengono. Ormai esso non è solo una sua opera ma una parte di Lui stesso. Ora non sta più a guardarne il corso, ma Egli stesso è dentro di esso; adesso si aspetta Egli stesso qualcosa da esso, come ce lo aspettiamo noi; ora ricadono su di Lui la nostra sorte, la nostra gioia terrena e la nostra stessa afflizione”. Se il Natale non è tutto questo, ci troviamo allora di fronte ad una ingannevole e romantica illusione.
Guardiamoci dal considerare il Natale un componimento poetico, leggendario e romantico; si tratta piuttosto di compiere una scelta, difficile se volete ma pur sempre una scelta, così come riporta uno dei racconti personali e forse meno noti di Luigi Pirandello a proposito del Natale, qui di seguito proposti in sintesi finale : “Sentivo da un pezzo sul capo inchinato tra le braccia come l’impressione d’una mano lieve, in atto tra di carezza e di protezione. Ma l’anima mia era lontana, errante pei luoghi veduti fin dalla fanciullezza […]. – E per costoro – disse Gesù entro di me – sarei contento, se per la prima volta io nascessi veramente questa notte. […] – Cerco un’anima, in cui rivivere. Tu vedi ch’ìo son morto per questo mondo, che pure ha il coraggio di festeggiare ancora la notte della mia nascita. Non sarebbe forse troppo angusta per me l’anima tua, se non fosse ingombra di tante cose, che dovresti buttar via.
Otterresti da me cento volte quel che perderai, seguendomi e abbandonando quel che falsamente stimi necessario a te e ai tuoi: questa città, i tuoi sogni, i comodi con cui invano cerchi allettare il tuo stolto soffrire per il mondo… Cerco un’anima, in cui rivivere: potrebbe esser la tua come quella d’ogn’altro di buona volontà. – La città, Gesù? – io risposi sgomento. – E la casa e i miei cari e i miei sogni? - Otterresti da me cento volte quel che perderai – ripeté Egli levando la mano dal mio petto e guardandomi fisso con quegli occhi profondi e chiari. – Ah! io non posso, Gesù… – feci, dopo un momento di perplessità, vergognoso e avvilito, lasciandomi cader le braccia sulla persona. Come se la mano, di cui sentivo in principio del sogno l’impressione sul mio capo inchinato, m’avesse dato una forte spinta contro il duro legno del tavolino, mi destai in quella di balzo, stropicciandomi la fronte indolenzita. E qui, è qui, Gesù, il mio tormento! Qui, senza requie e senza posa, debbo da mane a sera rompermi la testa”.